Quella di Crispi fu a partire dal 1878 la conquista della leadership del ‘partito della maggioranza’, vero perno del sistema di governo di cui l’uomo politico dette una lettura fortemente ideologica - legata al tema dell’unità nazionale e della riscoperta della politica estera - puntando sul consenso carismatico come unica soluzione possibile al problema della direzione politica del meccanismo riformatore. La presa d’atto di una società che si autorganizzava, di una libertà che si definiva come libertà dallo Stato (e non nello Stato), di un associazionismo che usciva dalle tradizionali coordinate elitarie e individualistiche, dell’avvio insomma di processi di democratizzazione, conduceva il Crispi presidente del Consiglio al tentativo di imbrigliare e di rimodellare il sociale utilizzando gli strumenti complementari delle riforme e della repressione, ma anche trasformando il mito elitario del Risorgimento in quella religione secolare a largo consenso di ‘popolo’. L’ispirazione garibaldina restò un punto fermo nella sua ideologia sia in tema di riforma dello Stato e di allargamento delle sue basi nella società, sia nella sottolineatura del ‘fatto militare’ come luogo di partecipazione politica tale da potere garantire alle prime formulazioni del colonialismo un certo consenso di massa. La grande novità, intorno alla quale avrebbe ruotato la riflessione di tutte le correnti di opposizione radicale e borghese al golittismo, fu che la declinazione crispina del garibaldinismo assumeva il valore di ipotesi politica radicalmente alternativa rispetto alla tradizionale traiettoria di sviluppo della società italiana nel suo essere primo vero tentativo di innovare il rapporto tra società, politica e opinione pubblica nel passaggio alla «Terza Italia»; un’ipotesi il cui fallimento aprì la strada, dopo Abba Garima, alla prassi dell’integrazione tendenzialmente burocratico-corporata del sistema giolittiano.

Crispi leader della Terza Italia: profilo di un governo

ADORNI, Daniela
2009-01-01

Abstract

Quella di Crispi fu a partire dal 1878 la conquista della leadership del ‘partito della maggioranza’, vero perno del sistema di governo di cui l’uomo politico dette una lettura fortemente ideologica - legata al tema dell’unità nazionale e della riscoperta della politica estera - puntando sul consenso carismatico come unica soluzione possibile al problema della direzione politica del meccanismo riformatore. La presa d’atto di una società che si autorganizzava, di una libertà che si definiva come libertà dallo Stato (e non nello Stato), di un associazionismo che usciva dalle tradizionali coordinate elitarie e individualistiche, dell’avvio insomma di processi di democratizzazione, conduceva il Crispi presidente del Consiglio al tentativo di imbrigliare e di rimodellare il sociale utilizzando gli strumenti complementari delle riforme e della repressione, ma anche trasformando il mito elitario del Risorgimento in quella religione secolare a largo consenso di ‘popolo’. L’ispirazione garibaldina restò un punto fermo nella sua ideologia sia in tema di riforma dello Stato e di allargamento delle sue basi nella società, sia nella sottolineatura del ‘fatto militare’ come luogo di partecipazione politica tale da potere garantire alle prime formulazioni del colonialismo un certo consenso di massa. La grande novità, intorno alla quale avrebbe ruotato la riflessione di tutte le correnti di opposizione radicale e borghese al golittismo, fu che la declinazione crispina del garibaldinismo assumeva il valore di ipotesi politica radicalmente alternativa rispetto alla tradizionale traiettoria di sviluppo della società italiana nel suo essere primo vero tentativo di innovare il rapporto tra società, politica e opinione pubblica nel passaggio alla «Terza Italia»; un’ipotesi il cui fallimento aprì la strada, dopo Abba Garima, alla prassi dell’integrazione tendenzialmente burocratico-corporata del sistema giolittiano.
2009
Le “Tre Italie”. Dalla presa di Roma alla Settimana rossa (1870-1914)
UTET
226
237
9788802081052
D. Adorni
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