È difficile trovare un autore, come Jean-Jacques Rousseau, che abbia esercitato un’influenza così estesa e così profonda, non solo nell’ambito di discipline specifiche, come la filosofia politica, l’antropologia culturale, la pedagogia, la letteratura, ma anche nella formazione del “senso comune”. Ed è un’influenza che si allunga nel tempo senza apparentemente cessare o diminuire d’intensità. Discorso scontato, si dirà. E certo in parte lo è. Lo diventa meno, però, se proviamo a verificare come quest’influenza si è manifestata e si manifesta tutt’ora. La presenza di Rousseau non è, infatti, una presenza avvertita, per così dire, da lontano, ma è una presenza vitale: “Jean-Jacques” riemerge in mille modi nei nostri discorsi, siano essi discorsi da specialisti o da semplici cultori. Non è certamente un autore solo per l’accademia, anzi forse è tra quelli che meno si prestano a essere irrigiditi in schemi interpretativi più o meno fissi o in categorie generalizzanti. In fin dei conti, vorrà dire pur qualcosa se molti uomini d’azione, anche dei rivoluzionari (Che Guevara in testa), portavano in tasca il Contratto sociale (magari ignorando le pagine in cui Rousseau si dichiara avversario acerrimo di ogni “rivoluzione” e ne intuisce, preoccupato, i segni nell’atmosfera della vecchia Europa). Ed è anche significativo che l’Emilio abbia accompagnato generazioni non solo di dotti pedagogisti, ma anche di maestri di scuola, affascinati dall’idea dell’“educazione secondo natura”, di padri e madri conquistati letteralmente da questo ideale (forse, meno innocente o anche semplicemente meno facile di quanto possa sembrare). E la Nuova Eloisa è stato il romanzo d’amore per eccellenza del ’700 in tutta Europa, e non ha cessato di esserlo neppure nel secolo successivo, anche se poi lentamente è stato soppiantato da ben altri stili narrativi. In Italia si è letto Rousseau, nel secolo scorso e in particolare nella seconda metà di esso, prevalentemente come filosofo politico, letto “da sinistra” o “da destra”, etichettato come capostipite della democrazia moderna o, del tutto all’opposto, come iniziatore della tradizione “totalitaria”. Comunque sia, la dimensione politica è stata predominante. Tanto da far recedere spesso (non sempre) sullo sfondo gli altri aspetti del suo pensiero, con l’effetto di trovarsi alla fine in mano un Rousseau dimidiato, e soprattutto un Rousseau del quale molti elementi rimanevano inspiegabili, oscuri, problematici, contraddittori, proprio in ragione del fatto che i “principi del diritto politico” venivano letti a prescindere dai loro fondamenti antropologici, morali, religiosi, autobiografici. Forse, se si può dare una caratterizzazione degli studi su Rousseau, non solo in Italia, negli ultimi trenta-quaranta anni, questa consiste precisamente nel superamento di tale parzialità, cioè nel fatto che gli studiosi hanno progressivamente allargato la prospettiva. E ciò con un duplice esito: collegare in modo più sistematico il Rousseau politico alla sua produzione non politica (ma, non per questo, non politicamente significativa) e sondare con un’attenzione molto forte la produzione autobiografica di “Jean-Jacques”, dalle Confessioni, ai Dialoghi, alle Fantasticherie. In quest’ambito, forse, il tema predominante è stato quello dell’“autenticità”. Rousseau è stato considerato uno degli autori essenziali per comprendere la “radici” dell’identità del soggetto moderno, e per affrontare i problemi dell’identità anche ben oltre iconfini della modernità. E non c’è dubbio che il collegamento tra la produzione politica e la produzione autobiografica abbia dato risultati interessanti, così come li ha dati l’interpretazione della Nuova Eloisa come romanzo in cui cominciano a emergere questioni cruciali del legame sociale, a partire da quei legami essenziali che sono il rapporto d’amore e la relazione familiare. Questo volume può essere letto come l’espressione di questa tendenza a una comprensione allargata di Rousseau, in cui il nesso tra antropologia e politica emerge in modo particolarmente accentuato, sia esso filtrato passando per il romanzo pedagogico o per il romanzo che ci narra di Julie e Saint-Preux o, infine, per la singolare “storia dell’anima” iniziata con le Confessions.

Rousseau e la politica dei segni: dalla "Morale sensitive" alle "Considérations sur le gouvernement de Pologne"

MENIN, Marco
2012-01-01

Abstract

È difficile trovare un autore, come Jean-Jacques Rousseau, che abbia esercitato un’influenza così estesa e così profonda, non solo nell’ambito di discipline specifiche, come la filosofia politica, l’antropologia culturale, la pedagogia, la letteratura, ma anche nella formazione del “senso comune”. Ed è un’influenza che si allunga nel tempo senza apparentemente cessare o diminuire d’intensità. Discorso scontato, si dirà. E certo in parte lo è. Lo diventa meno, però, se proviamo a verificare come quest’influenza si è manifestata e si manifesta tutt’ora. La presenza di Rousseau non è, infatti, una presenza avvertita, per così dire, da lontano, ma è una presenza vitale: “Jean-Jacques” riemerge in mille modi nei nostri discorsi, siano essi discorsi da specialisti o da semplici cultori. Non è certamente un autore solo per l’accademia, anzi forse è tra quelli che meno si prestano a essere irrigiditi in schemi interpretativi più o meno fissi o in categorie generalizzanti. In fin dei conti, vorrà dire pur qualcosa se molti uomini d’azione, anche dei rivoluzionari (Che Guevara in testa), portavano in tasca il Contratto sociale (magari ignorando le pagine in cui Rousseau si dichiara avversario acerrimo di ogni “rivoluzione” e ne intuisce, preoccupato, i segni nell’atmosfera della vecchia Europa). Ed è anche significativo che l’Emilio abbia accompagnato generazioni non solo di dotti pedagogisti, ma anche di maestri di scuola, affascinati dall’idea dell’“educazione secondo natura”, di padri e madri conquistati letteralmente da questo ideale (forse, meno innocente o anche semplicemente meno facile di quanto possa sembrare). E la Nuova Eloisa è stato il romanzo d’amore per eccellenza del ’700 in tutta Europa, e non ha cessato di esserlo neppure nel secolo successivo, anche se poi lentamente è stato soppiantato da ben altri stili narrativi. In Italia si è letto Rousseau, nel secolo scorso e in particolare nella seconda metà di esso, prevalentemente come filosofo politico, letto “da sinistra” o “da destra”, etichettato come capostipite della democrazia moderna o, del tutto all’opposto, come iniziatore della tradizione “totalitaria”. Comunque sia, la dimensione politica è stata predominante. Tanto da far recedere spesso (non sempre) sullo sfondo gli altri aspetti del suo pensiero, con l’effetto di trovarsi alla fine in mano un Rousseau dimidiato, e soprattutto un Rousseau del quale molti elementi rimanevano inspiegabili, oscuri, problematici, contraddittori, proprio in ragione del fatto che i “principi del diritto politico” venivano letti a prescindere dai loro fondamenti antropologici, morali, religiosi, autobiografici. Forse, se si può dare una caratterizzazione degli studi su Rousseau, non solo in Italia, negli ultimi trenta-quaranta anni, questa consiste precisamente nel superamento di tale parzialità, cioè nel fatto che gli studiosi hanno progressivamente allargato la prospettiva. E ciò con un duplice esito: collegare in modo più sistematico il Rousseau politico alla sua produzione non politica (ma, non per questo, non politicamente significativa) e sondare con un’attenzione molto forte la produzione autobiografica di “Jean-Jacques”, dalle Confessioni, ai Dialoghi, alle Fantasticherie. In quest’ambito, forse, il tema predominante è stato quello dell’“autenticità”. Rousseau è stato considerato uno degli autori essenziali per comprendere la “radici” dell’identità del soggetto moderno, e per affrontare i problemi dell’identità anche ben oltre iconfini della modernità. E non c’è dubbio che il collegamento tra la produzione politica e la produzione autobiografica abbia dato risultati interessanti, così come li ha dati l’interpretazione della Nuova Eloisa come romanzo in cui cominciano a emergere questioni cruciali del legame sociale, a partire da quei legami essenziali che sono il rapporto d’amore e la relazione familiare. Questo volume può essere letto come l’espressione di questa tendenza a una comprensione allargata di Rousseau, in cui il nesso tra antropologia e politica emerge in modo particolarmente accentuato, sia esso filtrato passando per il romanzo pedagogico o per il romanzo che ci narra di Julie e Saint-Preux o, infine, per la singolare “storia dell’anima” iniziata con le Confessions.
2012
La filosofia politica di Rousseau
Franco Angeli
Il limnisco. Cultura e scienze sociali
209
213
9788820402020
http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_libro.aspx?ID=20210
Marco Menin
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/134662
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