Ambiente Dickinson, frutto di diverse collaborazioni e intrecci artistici (critica letteraria, poesia, scultura, fotografia), è innanzitutto l’indagine dei vari ambienti in cui visse e operò il “mito di Amherst”, primo dei quali la Homestead paterna, un’enorme casa di mattoni rossi circondata da un ampio giardino. È lì che tra il 1830 e il 1886 si consumò un’esistenza complessa ed enigmatica, capace ancora oggi di generare interrogativi sulle relazioni tra dimora umana, ruoli di genere, natura e scrittura femminile. Tali relazioni, qui affrontate con un approccio ecocritico, intendono dimostrare come la dissacrante poesia di Emily Dickinson fosse un potente veicolo di sovversione della predominante ideologia della domesticità e al contempo sonoro controcanto della retorica del dominio. Ne consegue che, al fine di valutare il suo apporto al discorso sulle interrelazioni tra la natura e la cultura americana del diciannovesimo secolo, occorre collocare la sua opera in una prospettiva di netto contrasto con la tradizione del tempo. Pur non dimostrando mai una piena consapevolezza ecologica, e dunque raramente considerata “nature poet” a tutti gli effetti, Emily Dickinson offrì (come tutti gli ecopoeti secondo le indicazioni fornite da J. Scott Bryson) “una visione del mondo che riconosce il valore dell’interrelazione tra due […] desideri interdipendenti, entrambi tentativi di rispondere all’attuale divorzio tra l’umanità e il mondo più-che-umano”, mondo che la poetessa esplorò dai suoi personalissimi osservatori (le colline e i boschi circostanti, il giardino di casa, la stanza al primo piano) per approdare alla moderna conclusione che tale “conoscibilità” ha limiti che né il patriarcato, né la Chiesa e nemmeno la scienza sono in grado di superare.

Ambiente Dickinson. Poesie, sculture, nature

FARGIONE, Daniela
2013-01-01

Abstract

Ambiente Dickinson, frutto di diverse collaborazioni e intrecci artistici (critica letteraria, poesia, scultura, fotografia), è innanzitutto l’indagine dei vari ambienti in cui visse e operò il “mito di Amherst”, primo dei quali la Homestead paterna, un’enorme casa di mattoni rossi circondata da un ampio giardino. È lì che tra il 1830 e il 1886 si consumò un’esistenza complessa ed enigmatica, capace ancora oggi di generare interrogativi sulle relazioni tra dimora umana, ruoli di genere, natura e scrittura femminile. Tali relazioni, qui affrontate con un approccio ecocritico, intendono dimostrare come la dissacrante poesia di Emily Dickinson fosse un potente veicolo di sovversione della predominante ideologia della domesticità e al contempo sonoro controcanto della retorica del dominio. Ne consegue che, al fine di valutare il suo apporto al discorso sulle interrelazioni tra la natura e la cultura americana del diciannovesimo secolo, occorre collocare la sua opera in una prospettiva di netto contrasto con la tradizione del tempo. Pur non dimostrando mai una piena consapevolezza ecologica, e dunque raramente considerata “nature poet” a tutti gli effetti, Emily Dickinson offrì (come tutti gli ecopoeti secondo le indicazioni fornite da J. Scott Bryson) “una visione del mondo che riconosce il valore dell’interrelazione tra due […] desideri interdipendenti, entrambi tentativi di rispondere all’attuale divorzio tra l’umanità e il mondo più-che-umano”, mondo che la poetessa esplorò dai suoi personalissimi osservatori (le colline e i boschi circostanti, il giardino di casa, la stanza al primo piano) per approdare alla moderna conclusione che tale “conoscibilità” ha limiti che né il patriarcato, né la Chiesa e nemmeno la scienza sono in grado di superare.
2013
Prinp Editore
Saggi
i
103
9788897677352
http://www.prinp.com/?sez=negozio&sub=1&lid=473
Emily Dickinson; Poesia; ecocritica; nature; Scultura
Daniela Fargione
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/141137
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