Con il decreto in commento, il Tribunale per i minorenni di Trieste affronta due distinte questioni di grande rilevanza sociale. La prima concerne an e il quomodo il padre non affidatario in stato di cattività carceraria possa continuare a esercitare il proprio ruolo genitoriale. L’importanza quali-quantitativa del tema è di tutta evidenza. La relazione genitoriale tra il detenuto e la prole è messa a dura prova da una molteplicità di fattori: la lontananza del genitore dalla vita quotidiana del figlio a causa della reclusione; lo stigma sociale che accompagna il carcere; il setting delle visite, che avvengono in ambiente carcerario. I bambini che entrano il carcere ogni anno per incontrare il proprio genitore sono circa centomila (fonte: Bambinisenzasbarre.org, 2013). Numerose sono le organizzazioni nazionali e internazionali che si occupano di promuovere i diritti dei minori figli di genitori detenuti, anche organizzando e gestendo all’interno degli istituti penitenziari spazi di accoglienza per i bambini in visita ai genitori detenuti, sensibilizzando il personale carcerario, studiando opportuni interventi legislativi e individuando e diffondendo le buone pratiche. La seconda questione affrontata nella pronuncia in commento riguarda invece la tutela del diritto di visita del padre non affidatario nel caso di ingiustificate condotte interdittive od ostruzionistiche della madre affidataria che intralci sistematicamente i contatti padre-figlio. Le accuse di inefficienza mosse all’attuale sistema, pur riformato sul punto dalla legge n.54/2006, dalle associazioni di padri separati appaiono tutt’altro che peregrine. La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha – nel recente passato – ripetutamente condannato il nostro Paese per inadeguata protezione del diritto paterno di visita in casi di comportamento ostruzionistico della madre affidataria. Sebbene il focus della pronuncia in commento sia la tutela del diritto paterno alla frequentazione con la prole minore, i principi di diritto enucleati appaiono evidentemente funzionali alla protezione del migliore interesse del minore. Il riconoscimento del diritto di visita del padre protegge infatti il diritto del figlio “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi” (art. 155 comma 1° cod. civ.). Peraltro, poiché per ragioni socio-culturali le madri continuano nella grande maggioranza dei casi a essere scelte come genitore coabitante, il diritto del genitore non affidatario ai contatti con i figli si configura essenzialmente come una “questione di genere”. I principi di diritto enunciati tuttavia appaiono ovviamente applicabili anche ai rari casi in cui il minore conviva con il padre e il genitore non affidatario in stato di detenzione sia la madre.

Restare padre dietro le sbarre: il diritto del figlio e del padre detenuto alla reciproca frequentazione [nota a Trib. min. Trieste, decr. 23.8.2013]

LONG, JOELLE
2014-01-01

Abstract

Con il decreto in commento, il Tribunale per i minorenni di Trieste affronta due distinte questioni di grande rilevanza sociale. La prima concerne an e il quomodo il padre non affidatario in stato di cattività carceraria possa continuare a esercitare il proprio ruolo genitoriale. L’importanza quali-quantitativa del tema è di tutta evidenza. La relazione genitoriale tra il detenuto e la prole è messa a dura prova da una molteplicità di fattori: la lontananza del genitore dalla vita quotidiana del figlio a causa della reclusione; lo stigma sociale che accompagna il carcere; il setting delle visite, che avvengono in ambiente carcerario. I bambini che entrano il carcere ogni anno per incontrare il proprio genitore sono circa centomila (fonte: Bambinisenzasbarre.org, 2013). Numerose sono le organizzazioni nazionali e internazionali che si occupano di promuovere i diritti dei minori figli di genitori detenuti, anche organizzando e gestendo all’interno degli istituti penitenziari spazi di accoglienza per i bambini in visita ai genitori detenuti, sensibilizzando il personale carcerario, studiando opportuni interventi legislativi e individuando e diffondendo le buone pratiche. La seconda questione affrontata nella pronuncia in commento riguarda invece la tutela del diritto di visita del padre non affidatario nel caso di ingiustificate condotte interdittive od ostruzionistiche della madre affidataria che intralci sistematicamente i contatti padre-figlio. Le accuse di inefficienza mosse all’attuale sistema, pur riformato sul punto dalla legge n.54/2006, dalle associazioni di padri separati appaiono tutt’altro che peregrine. La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha – nel recente passato – ripetutamente condannato il nostro Paese per inadeguata protezione del diritto paterno di visita in casi di comportamento ostruzionistico della madre affidataria. Sebbene il focus della pronuncia in commento sia la tutela del diritto paterno alla frequentazione con la prole minore, i principi di diritto enucleati appaiono evidentemente funzionali alla protezione del migliore interesse del minore. Il riconoscimento del diritto di visita del padre protegge infatti il diritto del figlio “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi” (art. 155 comma 1° cod. civ.). Peraltro, poiché per ragioni socio-culturali le madri continuano nella grande maggioranza dei casi a essere scelte come genitore coabitante, il diritto del genitore non affidatario ai contatti con i figli si configura essenzialmente come una “questione di genere”. I principi di diritto enunciati tuttavia appaiono ovviamente applicabili anche ai rari casi in cui il minore conviva con il padre e il genitore non affidatario in stato di detenzione sia la madre.
2014
1
45
51
separazione dei coniugi; padre non affidatario detenuto; affidamento della prole; diritto di visita
J. LONG
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