L’Università sempre più si è investita nella rilevazione della qualità dei processi che attiva e degli esiti che produce. Si tratta di una richiesta rivolta a tutte le istituzioni formative (e di servizio), per giustificare la loro efficacia ed efficienza, e di una istanza comparativa per individuare gli enti che forniscono un servizio migliore, consentendo così all’utente di scegliere in base agli esiti conseguiti. Definire la qualità dell’offerta accademica è assai complesso e varia a seconda della prospettiva che si assume. L’ambito che più ha fatto emergere dibattiti riguarda la rilevazione degli esiti a medio e lungo termine da attribuire ai percorsi universitari. Si tratta infatti, innanzitutto di definire la tipologia di risultati da considerare, di individuare gli strumenti da utilizzare per accertarli, i tempi, i modi… Rispetto alla tipologia di esiti, si può, per esempio, adottare una visione più restrittiva, valorizzando solo gli apprendimenti disciplinari specialistici (scarsamente comparabili). Si può invece centrare l’attenzione su competenze trasversali, rilevando, per esempio, lo sviluppo di processi cognitivi di primo e soprattutto di secondo livello, presupponendo che siano in qualche modo promossi in tutti i corsi di studio. La capacità critica degli studenti a fine curricolo è stata oggetto, per esempio, di una recente ampia indagine comparativa che ha considerato diversi corsi di studio, anche in Italia, dimostrando però alcuni limiti (Coggi, 2016). Un approccio più recente al problema mette in luce che i curricoli universitari in realtà possono agire su un ampio spettro di esiti, identificando fattori non solo di tipo cognitivo, ma anche emotivo-affettivi, relazionali ed etici. Secondo un filone di studi attuale, per esempio, le pratiche didattiche in Università sono da considerarsi efficaci se favoriscono: a breve termine, apprendimenti significativi, soddisfazione personale e benessere individuale, e a lungo termine, il conseguimento della laurea, del successo lavorativo (working readiness e working success), di una buona maturazione personale (professionisti responsabili) e di adeguate competenze di cittadinanza (Kahu, 2013). Sulla qualità degli apprendimenti promossi dall’offerta formativa accademica, si sono focalizzati molti studi da tempo, che hanno indagato le relazioni tra diverse tipologie di docenza universitaria e i risultati conseguiti (Trigwell, Prosser, Waterhouse, 1999). In specifico, su strategie utili per promuovere apprendimenti di alto livello (con l’attivazione dei processi cognitivi superiori) si sono centrati ampi contributi, di cui citeremo alcuni esiti (Romero et al 2014). Un ulteriore filone di studi, con numerosi apporti internazionali, ha preso invece in considerazione la capacità dell’offerta formativa accademica di incoraggiare l’acquisizione di quelle che vengono definite soft skill o competenze trasversali, attualmente particolarmente valorizzate in ambito lavorativo. Nel presente contributo vengono approfonditi dunque gli strumenti che ha l’Università per promuovere apprendimenti significativi e le soft skills, soffermandoci preliminarmente sugli studi che hanno identificato una variabile intermedia, su cui agirebbe l’esperienza universitaria (intesa in senso ampio, come l’insieme della didattica, delle relazioni con altri studenti e docenti, del contesto di frequenza, di studio e di residenza…). Si tratta del “coinvolgimento” (engagement) degli studenti.

Apprendimento di qualità in università

RICCHIARDI, Paola
2017-01-01

Abstract

L’Università sempre più si è investita nella rilevazione della qualità dei processi che attiva e degli esiti che produce. Si tratta di una richiesta rivolta a tutte le istituzioni formative (e di servizio), per giustificare la loro efficacia ed efficienza, e di una istanza comparativa per individuare gli enti che forniscono un servizio migliore, consentendo così all’utente di scegliere in base agli esiti conseguiti. Definire la qualità dell’offerta accademica è assai complesso e varia a seconda della prospettiva che si assume. L’ambito che più ha fatto emergere dibattiti riguarda la rilevazione degli esiti a medio e lungo termine da attribuire ai percorsi universitari. Si tratta infatti, innanzitutto di definire la tipologia di risultati da considerare, di individuare gli strumenti da utilizzare per accertarli, i tempi, i modi… Rispetto alla tipologia di esiti, si può, per esempio, adottare una visione più restrittiva, valorizzando solo gli apprendimenti disciplinari specialistici (scarsamente comparabili). Si può invece centrare l’attenzione su competenze trasversali, rilevando, per esempio, lo sviluppo di processi cognitivi di primo e soprattutto di secondo livello, presupponendo che siano in qualche modo promossi in tutti i corsi di studio. La capacità critica degli studenti a fine curricolo è stata oggetto, per esempio, di una recente ampia indagine comparativa che ha considerato diversi corsi di studio, anche in Italia, dimostrando però alcuni limiti (Coggi, 2016). Un approccio più recente al problema mette in luce che i curricoli universitari in realtà possono agire su un ampio spettro di esiti, identificando fattori non solo di tipo cognitivo, ma anche emotivo-affettivi, relazionali ed etici. Secondo un filone di studi attuale, per esempio, le pratiche didattiche in Università sono da considerarsi efficaci se favoriscono: a breve termine, apprendimenti significativi, soddisfazione personale e benessere individuale, e a lungo termine, il conseguimento della laurea, del successo lavorativo (working readiness e working success), di una buona maturazione personale (professionisti responsabili) e di adeguate competenze di cittadinanza (Kahu, 2013). Sulla qualità degli apprendimenti promossi dall’offerta formativa accademica, si sono focalizzati molti studi da tempo, che hanno indagato le relazioni tra diverse tipologie di docenza universitaria e i risultati conseguiti (Trigwell, Prosser, Waterhouse, 1999). In specifico, su strategie utili per promuovere apprendimenti di alto livello (con l’attivazione dei processi cognitivi superiori) si sono centrati ampi contributi, di cui citeremo alcuni esiti (Romero et al 2014). Un ulteriore filone di studi, con numerosi apporti internazionali, ha preso invece in considerazione la capacità dell’offerta formativa accademica di incoraggiare l’acquisizione di quelle che vengono definite soft skill o competenze trasversali, attualmente particolarmente valorizzate in ambito lavorativo. Nel presente contributo vengono approfonditi dunque gli strumenti che ha l’Università per promuovere apprendimenti significativi e le soft skills, soffermandoci preliminarmente sugli studi che hanno identificato una variabile intermedia, su cui agirebbe l’esperienza universitaria (intesa in senso ampio, come l’insieme della didattica, delle relazioni con altri studenti e docenti, del contesto di frequenza, di studio e di residenza…). Si tratta del “coinvolgimento” (engagement) degli studenti.
2017
La scuola e l'università tra passato e presente
Franco Angeli
Percorsi di ricerca
201
213
978-88-917-5907-8
Ricchiardi, Paola
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1638195
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