La tematica del ne bis in idem ha conosciuto, nell’ultimo quinquennio, una nuova giovinezza. A partire dalla ormai celebre sentenza Grande Stevens, pronunciata il 4 Marzo del 2014 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, interno ed europeo, è stato particolarmente intenso e pare, ad oggi, ben lungi dall’arrestarsi. Come noto, le Corti di Strasburgo e Lussemburgo, a suon di pronunce non sempre lineari, hanno infine delineato una (quasi) comune nozione di ne bis in idem: dal divieto assoluto di instaurazione o proseguimento di un secondo giudizio a carico di un medesimo soggetto già punito per il medesimo fatto, in via definitiva, con una sanzione penale o sostanzialmente penale – nel pieno rispetto del côté processuale dell’istituto in parola –, le Corti hanno poi ripiegato su quello che molti addetti ai lavori definiscono ne bis in idem sostanziale; in breve, è permesso lo svolgimento di due procedimenti distinti – penale ed amministrativo – in dipendenza di un medesimo fatto illecito, a patto che tra gli stessi possa ravvisarsi una sufficiently close connection in substance and time. Tanto premesso, il focus del presente lavoro vuole insistere sui fruitori diretti degli approdi della giurisprudenza sovranazionale: i giudici interni. Si procederà dunque all’analisi del tutt’altro che semplice lavoro interpretativo svolto dai giudici del merito e di legittimità, con particolare attenzione alle questioni maggiormente problematiche ed ancora irrisolte. Come noto, l’ambito normativo ove per eccellenza è impiegato il doppio binario sanzionatorio è quello degli illeciti finanziari – la vicenda Grande Stevens, per l’appunto, originò proprio da un caso di market abuse –, disciplinati dal Testo Unico Finanza (d.lgs. 58/1998, da ora in avanti TUF). Troverà dunque spazio anche un sintetico ma necessario commento alla disciplina di tali reati, anche a seguito dal recente d.lgs. 107/2018, entrato in vigore l’estate scorsa: la riforma adegua – rectius, avrebbe dovuto adeguare – la normativa interna ad un Regolamento europeo noto come MAR (Reg. (UE) n. 596/2014) che, relativamente al tema in oggetto, se da un lato non censurava tout court la scelta degli Stati Membri di prevedere il doppio binario sanzionatorio, dall’altro evidenziava il necessario rispetto del divieto di bis in idem. Tra le battute finali, alcune riflessioni in merito al carattere fondamentalmente sanzionatorio – e non sostanziale – che il divieto di doppio giudizio ha ormai assunto ed alle motivazioni che hanno spinto e continuano a spingere il legislatore italiano a mantenere, nonostante le numerose criticità di cui s’è dato conto, lo schema del doppio binario. Da ultimo, si proverà ad individuare una soluzione – l’unica soluzione? – che possa permettere di uscire dal tunnel del doppio binario.

Il perimetro operativo del ne bis in idem nella giurisprudenza sovranazionale e nazionale. È tempo di bilanci.

Ludovica Deaglio
2019-01-01

Abstract

La tematica del ne bis in idem ha conosciuto, nell’ultimo quinquennio, una nuova giovinezza. A partire dalla ormai celebre sentenza Grande Stevens, pronunciata il 4 Marzo del 2014 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, interno ed europeo, è stato particolarmente intenso e pare, ad oggi, ben lungi dall’arrestarsi. Come noto, le Corti di Strasburgo e Lussemburgo, a suon di pronunce non sempre lineari, hanno infine delineato una (quasi) comune nozione di ne bis in idem: dal divieto assoluto di instaurazione o proseguimento di un secondo giudizio a carico di un medesimo soggetto già punito per il medesimo fatto, in via definitiva, con una sanzione penale o sostanzialmente penale – nel pieno rispetto del côté processuale dell’istituto in parola –, le Corti hanno poi ripiegato su quello che molti addetti ai lavori definiscono ne bis in idem sostanziale; in breve, è permesso lo svolgimento di due procedimenti distinti – penale ed amministrativo – in dipendenza di un medesimo fatto illecito, a patto che tra gli stessi possa ravvisarsi una sufficiently close connection in substance and time. Tanto premesso, il focus del presente lavoro vuole insistere sui fruitori diretti degli approdi della giurisprudenza sovranazionale: i giudici interni. Si procederà dunque all’analisi del tutt’altro che semplice lavoro interpretativo svolto dai giudici del merito e di legittimità, con particolare attenzione alle questioni maggiormente problematiche ed ancora irrisolte. Come noto, l’ambito normativo ove per eccellenza è impiegato il doppio binario sanzionatorio è quello degli illeciti finanziari – la vicenda Grande Stevens, per l’appunto, originò proprio da un caso di market abuse –, disciplinati dal Testo Unico Finanza (d.lgs. 58/1998, da ora in avanti TUF). Troverà dunque spazio anche un sintetico ma necessario commento alla disciplina di tali reati, anche a seguito dal recente d.lgs. 107/2018, entrato in vigore l’estate scorsa: la riforma adegua – rectius, avrebbe dovuto adeguare – la normativa interna ad un Regolamento europeo noto come MAR (Reg. (UE) n. 596/2014) che, relativamente al tema in oggetto, se da un lato non censurava tout court la scelta degli Stati Membri di prevedere il doppio binario sanzionatorio, dall’altro evidenziava il necessario rispetto del divieto di bis in idem. Tra le battute finali, alcune riflessioni in merito al carattere fondamentalmente sanzionatorio – e non sostanziale – che il divieto di doppio giudizio ha ormai assunto ed alle motivazioni che hanno spinto e continuano a spingere il legislatore italiano a mantenere, nonostante le numerose criticità di cui s’è dato conto, lo schema del doppio binario. Da ultimo, si proverà ad individuare una soluzione – l’unica soluzione? – che possa permettere di uscire dal tunnel del doppio binario.
2019
10/2019
1436
1451
diritto penale, ne bis in idem, illeciti finanziari, doppio binario sanzionatorio, CEDU, corte di giustizia UE, Corte Costituzionale
Ludovica Deaglio
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1765948
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