Il concetto di sostenibilità e l’integrazione dei saperi (Anna PERAZZONE – Centro Interuniversitario IRIS) Sono passati più di 20 anni da quando all’interno del cosiddetto rapporto Brundtland (WCED, Our Common Future, 1987) l’idea di sviluppo sostenibile è stata formalizzata e definita per la prima volta. Da allora sono molti gli studiosi di ambiti disciplinari differenti che hanno ripreso questo concetto e si sono cimentati in definizioni più o meno operative, a partire da visioni del mondo anche molto diverse. In alcuni casi alla dizione originale si è preferito il termine sostenibilità che poneva minor ambiguità rispetto al confronto diretto fra due termini che possono essere visti come antitetici: sviluppo da una parte, sostenibile dall’altra. Sta di fatto che in questo tentativo di integrare tre differenti prospettive (ecologica, economica ed equità sociale) né eminenti studiosi, né convegni e simposi internazionali sono riusciti in due decenni a fare chiarezza su un concetto che rimane per molti versi vago e dai contorni indefiniti. Innanzitutto, quando si parla di sostenibilità, “chi/che cosa” sostiene “chi/che cosa”? Le risposte a questa domanda si collocano in un continuum tra una visione del mondo tecnocentrica e una visione geocentrica e rivelano come, al di là dello slogan, siano spesso poco condivisi i presupposti valoriali sottesi all’idea stessa di sostenibilità. Tali sistemi di valori vengono, fra l’altro, influenzati in modo significativo da una varietà di idee sulla natura della scienza, e quindi sul ruolo che gli scienziati possono svolgere nei processi decisionali che hanno a che fare con le problematiche socio-ambientali. Su questo, a nostro modo di vedere, esiste un problema epistemologico di fondo. L’immaginario di una scienza certa, oggettiva, imparziale e perciò immediatamente applicabile alla sfera decisionale, politico-normativa è ancora profondamente radicato nella cultura collettiva, anche se sono gli stessi scienziati a metterlo in discussione. Eppure l’emergere di problemi di natura globale mette in luce una molteplicità di interpretazioni provenienti dai più disparati settori scientifici. Questi saperi, talvolta in contrasto fra loro, difficilmente ci aiutano a prendere decisioni e svelano come al progredire delle conoscenze si sia ampliata anche la sfera dell’ignoranza. A questo proposito agli inizi degli anni novanta Silvio Funtowicz e Jerry Ravetz entrano nel dibattito epistemologico proponendo il concetto di Scienza Post-Normale,che si adatta in particolar modo a processi decisionali in cui “i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti”. La Scienza Post Normale legittima il dialogo e il coinvolgimento non solo di esperti di diverse formazioni ma anche della comunità non scientifica, portatrice di conoscenze qualitative, esperienziali e locali non formalizzate ma comunque essenziali in un processo partecipato e democratico di costruzione di nuova conoscenza e di risoluzione delle controversie. La sostenibilità intesa come prospettiva per affrontare problemi globali, complessi, urgenti e con alti interessi in gioco, non può prescindere da un’idea di scienza rinnovata anche negli aspetti procedurali; una scienza capace di superare i confini disciplinari e le barriere tra esperti e non esperti, promuovendo una reale integrazione dei saperi e una democraticità dei processi decisionali. Le implicazioni di tutto ciò si ripercuotono non solo sulla ricerca ma anche sui processi educativi che presuppongono l’integrazione, oltre che dei saperi, di altre due dimensioni: quella etica e quella pedagogica. Riflettere e far riflettere sulle problematiche ambientali deve significare allora creare consapevolezza circa quei fili che legano il nostro essere e il nostro agire quotidiano con il sistema globale e con la dimensione del futuro. In una riflessione guidata che parte dal locale per giungere al globale si possono far emergere alcuni concetti chiave che troppo spesso rimangono impliciti nei processi educativi che tendono a promuovere la sostenibilità: sistema e interdipendenza, limite, equità, complessità sono alcuni degli strumenti concettuali (non a caso sovra-disciplinari) che sarebbe opportuno imparare a padroneggiare per evitare di cadere in interpretazioni troppo semplicistiche e poco consapevoli rispetto alle responsabilità individuali e collettive.

Il concetto di sostenibilità e l’integrazione dei saperi

PERAZZONE, Anna
2009-01-01

Abstract

Il concetto di sostenibilità e l’integrazione dei saperi (Anna PERAZZONE – Centro Interuniversitario IRIS) Sono passati più di 20 anni da quando all’interno del cosiddetto rapporto Brundtland (WCED, Our Common Future, 1987) l’idea di sviluppo sostenibile è stata formalizzata e definita per la prima volta. Da allora sono molti gli studiosi di ambiti disciplinari differenti che hanno ripreso questo concetto e si sono cimentati in definizioni più o meno operative, a partire da visioni del mondo anche molto diverse. In alcuni casi alla dizione originale si è preferito il termine sostenibilità che poneva minor ambiguità rispetto al confronto diretto fra due termini che possono essere visti come antitetici: sviluppo da una parte, sostenibile dall’altra. Sta di fatto che in questo tentativo di integrare tre differenti prospettive (ecologica, economica ed equità sociale) né eminenti studiosi, né convegni e simposi internazionali sono riusciti in due decenni a fare chiarezza su un concetto che rimane per molti versi vago e dai contorni indefiniti. Innanzitutto, quando si parla di sostenibilità, “chi/che cosa” sostiene “chi/che cosa”? Le risposte a questa domanda si collocano in un continuum tra una visione del mondo tecnocentrica e una visione geocentrica e rivelano come, al di là dello slogan, siano spesso poco condivisi i presupposti valoriali sottesi all’idea stessa di sostenibilità. Tali sistemi di valori vengono, fra l’altro, influenzati in modo significativo da una varietà di idee sulla natura della scienza, e quindi sul ruolo che gli scienziati possono svolgere nei processi decisionali che hanno a che fare con le problematiche socio-ambientali. Su questo, a nostro modo di vedere, esiste un problema epistemologico di fondo. L’immaginario di una scienza certa, oggettiva, imparziale e perciò immediatamente applicabile alla sfera decisionale, politico-normativa è ancora profondamente radicato nella cultura collettiva, anche se sono gli stessi scienziati a metterlo in discussione. Eppure l’emergere di problemi di natura globale mette in luce una molteplicità di interpretazioni provenienti dai più disparati settori scientifici. Questi saperi, talvolta in contrasto fra loro, difficilmente ci aiutano a prendere decisioni e svelano come al progredire delle conoscenze si sia ampliata anche la sfera dell’ignoranza. A questo proposito agli inizi degli anni novanta Silvio Funtowicz e Jerry Ravetz entrano nel dibattito epistemologico proponendo il concetto di Scienza Post-Normale,che si adatta in particolar modo a processi decisionali in cui “i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti”. La Scienza Post Normale legittima il dialogo e il coinvolgimento non solo di esperti di diverse formazioni ma anche della comunità non scientifica, portatrice di conoscenze qualitative, esperienziali e locali non formalizzate ma comunque essenziali in un processo partecipato e democratico di costruzione di nuova conoscenza e di risoluzione delle controversie. La sostenibilità intesa come prospettiva per affrontare problemi globali, complessi, urgenti e con alti interessi in gioco, non può prescindere da un’idea di scienza rinnovata anche negli aspetti procedurali; una scienza capace di superare i confini disciplinari e le barriere tra esperti e non esperti, promuovendo una reale integrazione dei saperi e una democraticità dei processi decisionali. Le implicazioni di tutto ciò si ripercuotono non solo sulla ricerca ma anche sui processi educativi che presuppongono l’integrazione, oltre che dei saperi, di altre due dimensioni: quella etica e quella pedagogica. Riflettere e far riflettere sulle problematiche ambientali deve significare allora creare consapevolezza circa quei fili che legano il nostro essere e il nostro agire quotidiano con il sistema globale e con la dimensione del futuro. In una riflessione guidata che parte dal locale per giungere al globale si possono far emergere alcuni concetti chiave che troppo spesso rimangono impliciti nei processi educativi che tendono a promuovere la sostenibilità: sistema e interdipendenza, limite, equità, complessità sono alcuni degli strumenti concettuali (non a caso sovra-disciplinari) che sarebbe opportuno imparare a padroneggiare per evitare di cadere in interpretazioni troppo semplicistiche e poco consapevoli rispetto alle responsabilità individuali e collettive.
2009
Seminario Regionale "Educazione Ambientale e Sostenibilità: orientamenti e strategie per perseguire prospettive di lavoro comuni"
Prà Catinat - Fenestrelle (TO), Italia
22 e 23 ottobre 2009
Atti del Seminario regionale "Educazione Ambientale e Sostenibilità: orientamenti e strategie per perseguire prospettive di lavoro comuni"
REGIONE PIEMONTE http://www.regione.piemonte.it/ambiente/
2
8
Sostenibilità; Educazione; Transdisciplinarietà; Scienza post-normale
A. PERAZZONE
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