Tracciare la propria «autobiografia sociolinguistica» è stato l’esame finale richiesto agli studenti, adulti tra i 20 e i 60 anni, del corso di Antropologia culturale del Master in «Esperto di cultura regionale (Piemonte) per la formazione degli insegnanti» tenutosi a Córdoba e San Francisco (Argentina) e Vitòria e Castelo (Brasile) nel triennio 2005-2007. Le narrazioni biografiche di italo-brasiliani e italo-argentini non ricostruiscono solo la stratificazione identitaria di ognuno, ma scenari più ampi che connettono i luoghi di partenza con quelli di arrivo, il locale e il globale, il passato e il presente, i confini in continua ridefinizione tra «sé» e l’«altro». Attraverso i ricordi legati al «lessico familiare» emergono il profumo della polenta («Mia nonna che ha 94 anni cucina la polenta tutti i giorni nel pranzo. Dice che la polenta era l’unico cibo facile di mangiare e quello era il sostento della famiglia» (Sabrina C., Castelo) e della bagna cauda, le note di O’ Sole mio e delle ninnananne («Mi ricordo di una canzone di ninna nanna che mamma cantava per me. Questa canzone l’ho cantata ai miei figli quando erano piccoli, così posso dire che le tradizioni orali hanno sempre fatto parte della mia vita» (Carmela, Castelo), i versi di Dante e Alfieri («Mio padre era un innamorato della letteratura italiana e della musica lirica. Così che, profondamente emozionati, sentivamo l’amore del Dante per la sua Beatrice» (Bruno, San Francisco), i gesti della morra e «il gioco di boccia», la gioia e la nostalgia («Sempre ho percepito nei miei nonni una specie di ringraziamento implicito alla terra di arrivo, ma si intravedeva anche la nostalgia, il magùn più profondo» (Rita, San Francisco). Anche le cose non dette, le memorie non tramandate assumono il loro significato: «Sento che mi hanno lasciato un cammino da percorrere per il quale io devo cercare i colori che mi aiuteranno a dipingere la tela della mia storia» (Sabrina L.F., Castelo). I racconti autobiografici possono essere la chiave di lettura non solo della storia dell’emigrazione italiana in Sud America, ma anche dei suoi riflessi sul presente, sull’identità e sulle rappresentazioni costruite dai discendenti.

Sono partiti per fare la Merica. Autobiografie sociolinguistiche di italo-brasiliani e italo-argentini

PORCELLANA, Valentina
2011-01-01

Abstract

Tracciare la propria «autobiografia sociolinguistica» è stato l’esame finale richiesto agli studenti, adulti tra i 20 e i 60 anni, del corso di Antropologia culturale del Master in «Esperto di cultura regionale (Piemonte) per la formazione degli insegnanti» tenutosi a Córdoba e San Francisco (Argentina) e Vitòria e Castelo (Brasile) nel triennio 2005-2007. Le narrazioni biografiche di italo-brasiliani e italo-argentini non ricostruiscono solo la stratificazione identitaria di ognuno, ma scenari più ampi che connettono i luoghi di partenza con quelli di arrivo, il locale e il globale, il passato e il presente, i confini in continua ridefinizione tra «sé» e l’«altro». Attraverso i ricordi legati al «lessico familiare» emergono il profumo della polenta («Mia nonna che ha 94 anni cucina la polenta tutti i giorni nel pranzo. Dice che la polenta era l’unico cibo facile di mangiare e quello era il sostento della famiglia» (Sabrina C., Castelo) e della bagna cauda, le note di O’ Sole mio e delle ninnananne («Mi ricordo di una canzone di ninna nanna che mamma cantava per me. Questa canzone l’ho cantata ai miei figli quando erano piccoli, così posso dire che le tradizioni orali hanno sempre fatto parte della mia vita» (Carmela, Castelo), i versi di Dante e Alfieri («Mio padre era un innamorato della letteratura italiana e della musica lirica. Così che, profondamente emozionati, sentivamo l’amore del Dante per la sua Beatrice» (Bruno, San Francisco), i gesti della morra e «il gioco di boccia», la gioia e la nostalgia («Sempre ho percepito nei miei nonni una specie di ringraziamento implicito alla terra di arrivo, ma si intravedeva anche la nostalgia, il magùn più profondo» (Rita, San Francisco). Anche le cose non dette, le memorie non tramandate assumono il loro significato: «Sento che mi hanno lasciato un cammino da percorrere per il quale io devo cercare i colori che mi aiuteranno a dipingere la tela della mia storia» (Sabrina L.F., Castelo). I racconti autobiografici possono essere la chiave di lettura non solo della storia dell’emigrazione italiana in Sud America, ma anche dei suoi riflessi sul presente, sull’identità e sulle rappresentazioni costruite dai discendenti.
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autobiografie sociolinguistiche; emigrazione italiana; America Latina
Porcellana V.
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