L’articolo discute la politica linguistica ufficiale dell'Unione indiana, cominciando con una breve presentazione di alcuni concetti fondamentali della cultura linguistica dell'Asia meridionale. Nell’India postcoloniale la predilezione per la lingua inglese, simbolo del potere coloniale ormai passato, fu abbandonata a favore delle lingue indigene. Il Governo centrale si pose al lavoro per elaborare una politica per l’istruzione nella madrelingua anche al livello secondario, poiché l’unico aspetto sul quale vi era ampia convergenza di idee a livello panindiano era che la lingua coloniale non potesse essere adatta a rappresentare l’India indipendente. Tuttavia, nonostante vi fosse un consenso abbastanza ampio, almeno nell'India settentrionale, sul fatto che la lingua hindi dovesse essere la lingua nazionale, non fu possibile arrivare a una concorde definizione di che cosa si dovesse intendere come hindi. La politica linguistica incentrata sulla promozione della lingua hindi, in perfetta sintonia con la tradizione colta indiana, ha finito per fare della nuova lingua hindi un campo riservato dell’elite hindi colta e letteraria, che agisce con una logica del tutto contraria a quella dell'alfabetizzazione di massa e che non garantisce l’accesso di nuovi gruppi nel campo della comunicazione colta, né, più in generale, permette un'effettiva mobilitazione sociale delle risorse umane. Nella seconda parte si discute la “three-language formula”, elaborata nel 1956, che proponeva una politica linguistica modellata su quella sovietica, nonostante fosse ben chiara la necessità di adattare il sistema alle condizioni del subcontinente indiano. Questa formula è il risultato di una mediazione e rappresenta una via di mezzo fra diversità priva di regole e monolinguismo e riconosce il valore delle risorse linguistiche locali e il bisogno di una lingua di comunicazione più vasta e internazionale, permettendo interpretazioni diverse della politica linguistica, a seconda del sentire e dei bisogni locali. In effetti, spesso gli indiani finiscono comunque per imparare più di tre lingue e negli stati con una visione più aperta si promuove l’insegnamento di quante più lingue si ritengano utili e opportune. In conclusione si prende in esame il problema delle minoranze e dei diritti linguistici. Prendendo le mosse dalla definizione di “minoranza linguistica” in India, si sottolinea come il riconoscimento ufficiale per una lingua non ha implicazioni solo linguistiche (standardizzazione, diffusione, modernizzazione) o nel campo scolastico (la lingua entra a far parte del processo educativo, può diventare lingua veicolare o essere un prerequisito per ottenere posti di lavoro), ma anche sociali: le lingue riconosciute aumentano di prestigio, favoriscono la formazione di identità distinte fra i parlanti, possono sviluppare un senso di eguaglianza sociale e di omogeneità fra i parlanti, aiutando a sciogliere tensioni sociali. Dal punto di vista economico, il riconoscimento di una lingua può ampliare il mercato del lavoro, aumentando le opportunità per gli addetti alla istruzione, alla stampa, all’editoria, alla diffusione dell’informazione. La ricaduta culturale, infine, è positiva in quanto permette di preservare e trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio legato alla lingua riconosciuta. Ormai da oltre mezzo secolo l’esperienza indiana ha posto in luce la necessità trovare uno spazio per la diversità culturale nella sfera pubblica. Le soluzioni adottate possono essere un utile modello di studio riguardo alla possibilità di una pacifica coesistenza nelle democrazie di oggi, ma allo stesso tempo sollevano alcuni problemi.

Cultura linguistica, politica linguistica e democrazia in India

CONSOLARO, ALESSANDRA
2010-01-01

Abstract

L’articolo discute la politica linguistica ufficiale dell'Unione indiana, cominciando con una breve presentazione di alcuni concetti fondamentali della cultura linguistica dell'Asia meridionale. Nell’India postcoloniale la predilezione per la lingua inglese, simbolo del potere coloniale ormai passato, fu abbandonata a favore delle lingue indigene. Il Governo centrale si pose al lavoro per elaborare una politica per l’istruzione nella madrelingua anche al livello secondario, poiché l’unico aspetto sul quale vi era ampia convergenza di idee a livello panindiano era che la lingua coloniale non potesse essere adatta a rappresentare l’India indipendente. Tuttavia, nonostante vi fosse un consenso abbastanza ampio, almeno nell'India settentrionale, sul fatto che la lingua hindi dovesse essere la lingua nazionale, non fu possibile arrivare a una concorde definizione di che cosa si dovesse intendere come hindi. La politica linguistica incentrata sulla promozione della lingua hindi, in perfetta sintonia con la tradizione colta indiana, ha finito per fare della nuova lingua hindi un campo riservato dell’elite hindi colta e letteraria, che agisce con una logica del tutto contraria a quella dell'alfabetizzazione di massa e che non garantisce l’accesso di nuovi gruppi nel campo della comunicazione colta, né, più in generale, permette un'effettiva mobilitazione sociale delle risorse umane. Nella seconda parte si discute la “three-language formula”, elaborata nel 1956, che proponeva una politica linguistica modellata su quella sovietica, nonostante fosse ben chiara la necessità di adattare il sistema alle condizioni del subcontinente indiano. Questa formula è il risultato di una mediazione e rappresenta una via di mezzo fra diversità priva di regole e monolinguismo e riconosce il valore delle risorse linguistiche locali e il bisogno di una lingua di comunicazione più vasta e internazionale, permettendo interpretazioni diverse della politica linguistica, a seconda del sentire e dei bisogni locali. In effetti, spesso gli indiani finiscono comunque per imparare più di tre lingue e negli stati con una visione più aperta si promuove l’insegnamento di quante più lingue si ritengano utili e opportune. In conclusione si prende in esame il problema delle minoranze e dei diritti linguistici. Prendendo le mosse dalla definizione di “minoranza linguistica” in India, si sottolinea come il riconoscimento ufficiale per una lingua non ha implicazioni solo linguistiche (standardizzazione, diffusione, modernizzazione) o nel campo scolastico (la lingua entra a far parte del processo educativo, può diventare lingua veicolare o essere un prerequisito per ottenere posti di lavoro), ma anche sociali: le lingue riconosciute aumentano di prestigio, favoriscono la formazione di identità distinte fra i parlanti, possono sviluppare un senso di eguaglianza sociale e di omogeneità fra i parlanti, aiutando a sciogliere tensioni sociali. Dal punto di vista economico, il riconoscimento di una lingua può ampliare il mercato del lavoro, aumentando le opportunità per gli addetti alla istruzione, alla stampa, all’editoria, alla diffusione dell’informazione. La ricaduta culturale, infine, è positiva in quanto permette di preservare e trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio legato alla lingua riconosciuta. Ormai da oltre mezzo secolo l’esperienza indiana ha posto in luce la necessità trovare uno spazio per la diversità culturale nella sfera pubblica. Le soluzioni adottate possono essere un utile modello di studio riguardo alla possibilità di una pacifica coesistenza nelle democrazie di oggi, ma allo stesso tempo sollevano alcuni problemi.
2010
"Altre" democrazie. Problemi e prospettive del consolidamento democratico nel sub-continente indiano
Franco Angeli
37
62
9788856834406
politica; linguistica; India; democrazia; minoranze
A. CONSOLARO
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/87714
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