“Uno guarda il mappamondo girare lentamente e la terra sembra senza fine, vertigini da fare girare la testa, e poi scopre che in realtà gli manca solo l’aria perché ha poche scelte. Pochi sono quei paesi dove si potrebbe andare, emigrare e non senza problemi.” Il racconto di Muin Masri (“Libertà, un sogno senza memoria”) dà voce a una sensazione di soffocamento che tocca molti personaggi in questa raccolta di racconti, e che esprime una diffusa angoscia riguardo ai molti problemi italiani relativi ai fenomeni migratori. Tra questi c’è la recente crisi economica, altro elemento ricorrente nel volume; in “Identità traversa” di Kossi Komla-Ebri, i cui dialoghi si sviluppano per formule intrise di oralità, un padre spiega al riottoso figlio nato in Italia perché dovrebbero tornare in Africa: “questa nuova legge non ci lascia scampo. Dovrei tornare a casa ad aspettare di essere chiamato per tornare in Italia. So che è una legge assurda, perché nessuno comprerebbe un coltello nascosto dentro una fodera. … Non abbiamo scelta. Dico che è meglio una vacca magra che una stalla vuota. E qui cade la mia voce.” La letteratura italiana ‘della migrazione’ porta con sé un grande potenziale creativo che nasce anche da un originale impasto di culture e lingue. E in quanto letteratura, questi racconti (arricchiti dalle foto di Mario Dondero) chiedono di essere giudicati su parametri che vanno oltre la mera esposizione dei problemi; come scrive Ferracuti nella sua Postfazione, “gli sviluppi, gli innesti, le intersezioni, di stili e di immaginario” costituiscono gli aspetti più interessanti di questi autori. Come giudicare, con questo metro, i racconti di Permesso di soggiorno? Senza dubbio, alcuni soffrono di un’impronta didascalica e monocorde. Ma il volume contiene alcune perle che illuminano la raccolta. Adrián N. Bravi (“Il muro sulla frontiera”) descrive un confine distopico dove gli immigrati in attesa di ‘passare’, congelati in un limbo kafkiano, lavorano alla costruzione “del grande muro che divide il paese dal resto del mondo …. Forse non riusciremo mai ad attraversare la frontiera, o forse la attraverseremo domani stesso, chissà. Noi aspettiamo perché questo è il nostro destino.” Gabriella Kuruvilla (“Colf”) coglie nel segno con una contagiosa, caustica ironia: “Dunque queste 30 euro per me sono importanti. Vitali, direi. Se la vita avesse importanza. Ma queste domande esistenziali ho smesso di farmele da quando ho deciso di avere un figlio.” Nel visionario “In volo sopra la città” di Mihai Mircea Butcovan, l’operaio che vola dall’impalcatura si trasforma in una pioggia di pinnacoli e sculture in picchiata dal tetto del Duomo di Milano. Il germanese e arbëreshe Carmine Abate (“Prima la vita”) si distingue invece per un lirismo tagliente, quando racconta dei nativi meridionali che vengono a contatto con i migranti dei cosiddetti Centri di Accoglienza: “non ci è sfuggito, non a tutti almeno, cosa si nascondeva dietro quei sorrisi: erano occhi stanchi, spersi, feriti; le pupille scure sprigionavano un luccichio un po’ torbido, un impasto di argilla con acqua sporca, un impasto di paura con una sputazzata di rabbia”. Sembrano questi i racconti dove è più forte l’idea, menzionata da Ferracuti, delle letterature come ambasciate poco diplomatiche “e sempre politicamente scorrette”.

Permesso di soggiorno

DEANDREA, Pietro
2011-01-01

Abstract

“Uno guarda il mappamondo girare lentamente e la terra sembra senza fine, vertigini da fare girare la testa, e poi scopre che in realtà gli manca solo l’aria perché ha poche scelte. Pochi sono quei paesi dove si potrebbe andare, emigrare e non senza problemi.” Il racconto di Muin Masri (“Libertà, un sogno senza memoria”) dà voce a una sensazione di soffocamento che tocca molti personaggi in questa raccolta di racconti, e che esprime una diffusa angoscia riguardo ai molti problemi italiani relativi ai fenomeni migratori. Tra questi c’è la recente crisi economica, altro elemento ricorrente nel volume; in “Identità traversa” di Kossi Komla-Ebri, i cui dialoghi si sviluppano per formule intrise di oralità, un padre spiega al riottoso figlio nato in Italia perché dovrebbero tornare in Africa: “questa nuova legge non ci lascia scampo. Dovrei tornare a casa ad aspettare di essere chiamato per tornare in Italia. So che è una legge assurda, perché nessuno comprerebbe un coltello nascosto dentro una fodera. … Non abbiamo scelta. Dico che è meglio una vacca magra che una stalla vuota. E qui cade la mia voce.” La letteratura italiana ‘della migrazione’ porta con sé un grande potenziale creativo che nasce anche da un originale impasto di culture e lingue. E in quanto letteratura, questi racconti (arricchiti dalle foto di Mario Dondero) chiedono di essere giudicati su parametri che vanno oltre la mera esposizione dei problemi; come scrive Ferracuti nella sua Postfazione, “gli sviluppi, gli innesti, le intersezioni, di stili e di immaginario” costituiscono gli aspetti più interessanti di questi autori. Come giudicare, con questo metro, i racconti di Permesso di soggiorno? Senza dubbio, alcuni soffrono di un’impronta didascalica e monocorde. Ma il volume contiene alcune perle che illuminano la raccolta. Adrián N. Bravi (“Il muro sulla frontiera”) descrive un confine distopico dove gli immigrati in attesa di ‘passare’, congelati in un limbo kafkiano, lavorano alla costruzione “del grande muro che divide il paese dal resto del mondo …. Forse non riusciremo mai ad attraversare la frontiera, o forse la attraverseremo domani stesso, chissà. Noi aspettiamo perché questo è il nostro destino.” Gabriella Kuruvilla (“Colf”) coglie nel segno con una contagiosa, caustica ironia: “Dunque queste 30 euro per me sono importanti. Vitali, direi. Se la vita avesse importanza. Ma queste domande esistenziali ho smesso di farmele da quando ho deciso di avere un figlio.” Nel visionario “In volo sopra la città” di Mihai Mircea Butcovan, l’operaio che vola dall’impalcatura si trasforma in una pioggia di pinnacoli e sculture in picchiata dal tetto del Duomo di Milano. Il germanese e arbëreshe Carmine Abate (“Prima la vita”) si distingue invece per un lirismo tagliente, quando racconta dei nativi meridionali che vengono a contatto con i migranti dei cosiddetti Centri di Accoglienza: “non ci è sfuggito, non a tutti almeno, cosa si nascondeva dietro quei sorrisi: erano occhi stanchi, spersi, feriti; le pupille scure sprigionavano un luccichio un po’ torbido, un impasto di argilla con acqua sporca, un impasto di paura con una sputazzata di rabbia”. Sembrano questi i racconti dove è più forte l’idea, menzionata da Ferracuti, delle letterature come ambasciate poco diplomatiche “e sempre politicamente scorrette”.
2011
xxviii:7/8 (luglio-agosto)
43
43
http://www.lindiceonline.com
Immigrazione; racconto; italofonia; Italia.
Deandrea P.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/93079
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