Il saggio, anche attraverso una puntuale indagine delle diverse fasi di elaborazione dei testi, riconosce la presenza nella produzione civile di Manzoni, e in particolare in “Marzo 1821” e nel primo coro dell’“Adelchi”, ma anche in “Aprile 1814” e nel “Proclama di Rimini”, di una fitta rete di rimandi intertestuali, che inducono a considerare il coro come una sorta di palinodia e una sconfessione dei principi enunciati nell’ode (la convinzione dell’acquisita identità e unità ideale della nazione italiana, la fiducia nella possibilità di operare positivamente nella storia, la presenza di Dio a fianco dei “ben pugnanti”, impegnati nella lotta per la libertà, il valore e l’attualità del modello della romanità). Ne consegue che il coro non va interpretato, come si fa di solito, in termini antifrastici e in chiave parenetica, come esortazione agli italiani a prendere consapevolezza della propria tradizione politica, militare e culturale, e a imbracciare le armi contro gli austriaci: ma come invito amaro e dolente ad accettare la condizione di servitù politica, nella convinzione che la restitutio avrà luogo non sul piano storico, ma su quello metafisico. È l’opera di un poeta disilluso e amareggiato, che sente su di sé il peso del fallimento dei moti del ’21, con la conseguente repressione, cui ha contribuito con i propri ingenui entusiasmi messianici.
La sconfessione di "Marzo 1821": il primo coro dell'"Adelchi"
BOGGIONE, Valter
2008-01-01
Abstract
Il saggio, anche attraverso una puntuale indagine delle diverse fasi di elaborazione dei testi, riconosce la presenza nella produzione civile di Manzoni, e in particolare in “Marzo 1821” e nel primo coro dell’“Adelchi”, ma anche in “Aprile 1814” e nel “Proclama di Rimini”, di una fitta rete di rimandi intertestuali, che inducono a considerare il coro come una sorta di palinodia e una sconfessione dei principi enunciati nell’ode (la convinzione dell’acquisita identità e unità ideale della nazione italiana, la fiducia nella possibilità di operare positivamente nella storia, la presenza di Dio a fianco dei “ben pugnanti”, impegnati nella lotta per la libertà, il valore e l’attualità del modello della romanità). Ne consegue che il coro non va interpretato, come si fa di solito, in termini antifrastici e in chiave parenetica, come esortazione agli italiani a prendere consapevolezza della propria tradizione politica, militare e culturale, e a imbracciare le armi contro gli austriaci: ma come invito amaro e dolente ad accettare la condizione di servitù politica, nella convinzione che la restitutio avrà luogo non sul piano storico, ma su quello metafisico. È l’opera di un poeta disilluso e amareggiato, che sente su di sé il peso del fallimento dei moti del ’21, con la conseguente repressione, cui ha contribuito con i propri ingenui entusiasmi messianici.File | Dimensione | Formato | |
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