La nostra azione di classe “ex” art. 140-bis c.cons. stenta a decollare: appesantita dalle sue molteplici limitazioni soggettive, materiali, temporali, finora essa ha infiammato il contradditorio sui suoi presupposti anziché sulle questioni di merito (poche le azioni intraprese, pochissime quelle capaci di superare il controllo d’ammissibilità); se lo strumento avrebbe dovuto innalzare l’effettività dei diritti ed allargare l’accesso alla giustizia, esso appare ancor meno effettivo delle posizioni che avrebbe dovuto tutelare. Nulla a che vedere con l’esperienza d’oltreoceano, ove la “class action”, come noto, ha ricoperto un ruolo trainante nella salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, talora rimediando alla debolezza delle politiche pubbliche. Ci si chiede dunque quali siano le ragioni di questa perdurante lontananza fra la “class action” americana – la vera azione di classe – e i modelli europei di ricorso collettivo, diversi l’uno dall’altro ma accomunati dall’incapacità di raggiungere i loro scopi. Le risposte devono essere cercate in due direzioni. Sotto il profilo della struttura, il meccanismo del c.d. “opt-in”, scelto dal legislatore italiano, si rivela una trappola: esso snatura l’azione di gruppo, degradandola a cumulo di cause individuali, e lascia riemergere tutte le difficoltà e le pastoie caratteristiche delle liti a due. Anche dottrina e giurisprudenza italiane sono alla ricerca di soluzioni utili a sanare le storture dell’“opt-in”, ma un rito che nasce già difettoso non promette nulla di buono. Solo l’“opt-out”, o meglio ancora una “mandatory class action”, dalla quale non sia possibile dissociarsi, consentirebbe la formazione di classi veramente omogenee e riducibili ad unità. Tuttavia gli ingredienti del successo americano non si fermano qui: fondamentale il concorso d’incentivi pratici, di pesi e contrappesi che rendono l’azione appetibile e temuta, e ne spiegano l’incidenza presso operatori ed opinione pubblica (si pensi all’attivismo dell’avvocatura, che abbandona il ruolo della mera difesa tecnica per divenire imprenditrice del processo di gruppo). Il fenomeno ha evidenti risvolti sostanziali, perché negli Stati Uniti l’uso massiccio dei ricorsi collettivi ha modificato dal profondo il diritto applicabile, ne ha rimodellato gli istituti e le regole, ha per così dire “massificato” il diritto privato. Se questi paiono esiti auspicabili, il nostro legislatore – e la stessa Commissione UE, prossima a varare l’azione di classe europea – non dovranno lasciar cadere le idee d’oltreoceano, né difendere con ostinazione modelli di tutela arretrati e vani.
"Opt-out" ed incentivi d’oltreoceano: idee per una vera "class action" in Italia e in Europa
FERRANTE, Edoardo
2012-01-01
Abstract
La nostra azione di classe “ex” art. 140-bis c.cons. stenta a decollare: appesantita dalle sue molteplici limitazioni soggettive, materiali, temporali, finora essa ha infiammato il contradditorio sui suoi presupposti anziché sulle questioni di merito (poche le azioni intraprese, pochissime quelle capaci di superare il controllo d’ammissibilità); se lo strumento avrebbe dovuto innalzare l’effettività dei diritti ed allargare l’accesso alla giustizia, esso appare ancor meno effettivo delle posizioni che avrebbe dovuto tutelare. Nulla a che vedere con l’esperienza d’oltreoceano, ove la “class action”, come noto, ha ricoperto un ruolo trainante nella salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, talora rimediando alla debolezza delle politiche pubbliche. Ci si chiede dunque quali siano le ragioni di questa perdurante lontananza fra la “class action” americana – la vera azione di classe – e i modelli europei di ricorso collettivo, diversi l’uno dall’altro ma accomunati dall’incapacità di raggiungere i loro scopi. Le risposte devono essere cercate in due direzioni. Sotto il profilo della struttura, il meccanismo del c.d. “opt-in”, scelto dal legislatore italiano, si rivela una trappola: esso snatura l’azione di gruppo, degradandola a cumulo di cause individuali, e lascia riemergere tutte le difficoltà e le pastoie caratteristiche delle liti a due. Anche dottrina e giurisprudenza italiane sono alla ricerca di soluzioni utili a sanare le storture dell’“opt-in”, ma un rito che nasce già difettoso non promette nulla di buono. Solo l’“opt-out”, o meglio ancora una “mandatory class action”, dalla quale non sia possibile dissociarsi, consentirebbe la formazione di classi veramente omogenee e riducibili ad unità. Tuttavia gli ingredienti del successo americano non si fermano qui: fondamentale il concorso d’incentivi pratici, di pesi e contrappesi che rendono l’azione appetibile e temuta, e ne spiegano l’incidenza presso operatori ed opinione pubblica (si pensi all’attivismo dell’avvocatura, che abbandona il ruolo della mera difesa tecnica per divenire imprenditrice del processo di gruppo). Il fenomeno ha evidenti risvolti sostanziali, perché negli Stati Uniti l’uso massiccio dei ricorsi collettivi ha modificato dal profondo il diritto applicabile, ne ha rimodellato gli istituti e le regole, ha per così dire “massificato” il diritto privato. Se questi paiono esiti auspicabili, il nostro legislatore – e la stessa Commissione UE, prossima a varare l’azione di classe europea – non dovranno lasciar cadere le idee d’oltreoceano, né difendere con ostinazione modelli di tutela arretrati e vani.File | Dimensione | Formato | |
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