Lo strappo nel cielo di carta del teatrino di marionette automatiche descritto da Pirandello nel Fu Mattia Pascal sembra sancire, con la trasformazione di Oreste in Amleto, la fine del genere stesso della tragedia nel mondo moderno. In realtà, il sentimento del tragico non muore, ma migra in altri generi letterari e si intreccia con le nuove teorie antropologiche, sociologiche, mediche, politiche, spesso confrontandosi con il discorso pirandelliano. Così per il darwinismo e la tabe ereditaria in Paola Drigo; per la condanna socialista del capitalismo e della competizione sociale in Fortunato Seminara; per l’esistenzialismo come filosofia dell’impossibile libertà in Mario Lattes, per l’antropologia della violenza originaria in Italo Cremona. L’eroe tragico novecentesco si configura come un moderno Edipo, cui la consapevolezza e la perdita di innocenza preclude la possibilità stessa dell’accecamento. Esemplari, in questo senso, le tragedie di Moravia, Beatrice Cenci e Il dio Kurt, che rappresentano un caso limite, nel recupero degli archetipi classici, delle unità aristoteliche, del registro sublime. Lungi dal consentire alla steineriana morte della tragedia, dopo la seconda guerra mondiale e la persecuzione razziale, Moravia intende porre i fondamenti di una tragedia moderna dai più terribili orrori, «cose che fanno impallidire la reggia di Micene», in quanto il tragico si dilata dall’esperienza del singolo alle masse e viene a fondarsi su una necessità di ordine non più esteriore, ma interiore, legata al motivo del peccato originale. La psicanalisi freudiana, Sartre e Nietzsche costituiscono i presupposti teorici di un teatro che non è della crudeltà, come pure è stato detto, ma della logica ad oltranza e dell’analisi.
Edipo dopo Amleto
BOGGIONE, Valter
2012-01-01
Abstract
Lo strappo nel cielo di carta del teatrino di marionette automatiche descritto da Pirandello nel Fu Mattia Pascal sembra sancire, con la trasformazione di Oreste in Amleto, la fine del genere stesso della tragedia nel mondo moderno. In realtà, il sentimento del tragico non muore, ma migra in altri generi letterari e si intreccia con le nuove teorie antropologiche, sociologiche, mediche, politiche, spesso confrontandosi con il discorso pirandelliano. Così per il darwinismo e la tabe ereditaria in Paola Drigo; per la condanna socialista del capitalismo e della competizione sociale in Fortunato Seminara; per l’esistenzialismo come filosofia dell’impossibile libertà in Mario Lattes, per l’antropologia della violenza originaria in Italo Cremona. L’eroe tragico novecentesco si configura come un moderno Edipo, cui la consapevolezza e la perdita di innocenza preclude la possibilità stessa dell’accecamento. Esemplari, in questo senso, le tragedie di Moravia, Beatrice Cenci e Il dio Kurt, che rappresentano un caso limite, nel recupero degli archetipi classici, delle unità aristoteliche, del registro sublime. Lungi dal consentire alla steineriana morte della tragedia, dopo la seconda guerra mondiale e la persecuzione razziale, Moravia intende porre i fondamenti di una tragedia moderna dai più terribili orrori, «cose che fanno impallidire la reggia di Micene», in quanto il tragico si dilata dall’esperienza del singolo alle masse e viene a fondarsi su una necessità di ordine non più esteriore, ma interiore, legata al motivo del peccato originale. La psicanalisi freudiana, Sartre e Nietzsche costituiscono i presupposti teorici di un teatro che non è della crudeltà, come pure è stato detto, ma della logica ad oltranza e dell’analisi.File | Dimensione | Formato | |
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