Sorrette dall’intenzione di garantire la piena effettività del diritto comunitario nell’ordinamento nazionale, le Sezioni Unite hanno licenziato una decisione che persuade più nel dispositivo che nella motivazione: il diritto al risarcimento del danno per mancata o inesatta attuazione delle direttive UE si prescrive in dieci anni (anziché in cinque). Si tratterebbe infatti di un illecito non aquiliano, ma riconducibile ad un’imprecisata “area contrattuale”, una sorta d’inadempimento dell’obbligazione “ex lege” di dare attuazione al diritto comunitario; è evidente però che rispetto a quest’obbligazione inadempiuta il cittadino sarebbe terzo, e con le categorie usuali del nostro diritto civile, che pur conosce l’obbligazione di legge, sarebbe arduo riconoscergli un credito risarcitorio. Inoltre non persuade la tesi, peraltro superflua ai fini del decidere, secondo cui l’omessa o inesatta esecuzione del diritto UE non costituirebbe illecito in senso tecnico, perché irrilevante nel sistema interno e rilevante solo nei rapporti fra Stato e Comunità. Ne deriverebbe una responsabilità dello Stato “di natura indennitaria per attività non antigiuridica”, affermazione che riporta in auge vecchie tesi sull’incomunicabilità degli ordinamenti interno e comunitario. Pare dunque arduo immaginare che l’insegnamento delle nostre Sezioni Unite incontri il favore d’altre magistrature europee, e rischia di rivelarsi effimero pure nell’ordinamento interno.

La responsabilità dello stato per mancata o inesatta attuazione delle direttive: un punto di vista italo-tedesco

FERRANTE, Edoardo
2009-01-01

Abstract

Sorrette dall’intenzione di garantire la piena effettività del diritto comunitario nell’ordinamento nazionale, le Sezioni Unite hanno licenziato una decisione che persuade più nel dispositivo che nella motivazione: il diritto al risarcimento del danno per mancata o inesatta attuazione delle direttive UE si prescrive in dieci anni (anziché in cinque). Si tratterebbe infatti di un illecito non aquiliano, ma riconducibile ad un’imprecisata “area contrattuale”, una sorta d’inadempimento dell’obbligazione “ex lege” di dare attuazione al diritto comunitario; è evidente però che rispetto a quest’obbligazione inadempiuta il cittadino sarebbe terzo, e con le categorie usuali del nostro diritto civile, che pur conosce l’obbligazione di legge, sarebbe arduo riconoscergli un credito risarcitorio. Inoltre non persuade la tesi, peraltro superflua ai fini del decidere, secondo cui l’omessa o inesatta esecuzione del diritto UE non costituirebbe illecito in senso tecnico, perché irrilevante nel sistema interno e rilevante solo nei rapporti fra Stato e Comunità. Ne deriverebbe una responsabilità dello Stato “di natura indennitaria per attività non antigiuridica”, affermazione che riporta in auge vecchie tesi sull’incomunicabilità degli ordinamenti interno e comunitario. Pare dunque arduo immaginare che l’insegnamento delle nostre Sezioni Unite incontri il favore d’altre magistrature europee, e rischia di rivelarsi effimero pure nell’ordinamento interno.
2009
2009
2
626
642
Responsabilità dello Stato; mancata o inesatta attuazione delle direttive; Corte UE; Sezioni Unite; prescrizione; valore estrastatuale del precedente interno; “ratio decidendi”; giudizi di valore; obbligazione “ex lege”; responsabilità indennitaria
SENDMEYER; E. FERRANTE
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