A partire dalle sue prime rivisitazioni novecentesche, il mito pare in grado di sedimentare e veicolare il senso attraverso una capacità di autoalimentazione alquanto inedita, data da un potenziale narrativo sempre più forte, favorito dal processo dialettico di desemantizzazione e risemantizzazione che il mito stesso produce. Gli esempi che il lavoro potrà portare potranno chiarire le specificità di questa polarità intrinseca al mito. Indipendentemente dagli esiti delle diverse riscritture, di cui verranno forniti alcuni modelli, sembra infatti possibile riconoscere al Novecento una marcata tendenza a superare la tradizionale accezione del mito come mera ripetizione, in funzione di una sua rinnovata concezione in chiave dialettica decostruttivo-ricostruttiva . Innanzi tutto, la tendenza alquanto diffusa in Francia a partire dal primo dopoguerra alla desacralizzazione dei grandi miti dell’antichità, per lo più riscontrabile in ambito teatrale, non è estranea al processo di progressivo sgretolamento di quei parametri e quelle convenzioni tradizionali che avevano da sempre tutelato l’unicità dell’opera d’arte. Il massiccio ricorso alla rivisitazione dei miti si inserisce infatti perfettamente nel quadro della crisi storico-culturale che il secolo breve delle accelerazioni e delle trasformazioni radicali aveva inevitabilmente ingenerato . Anche il mito viene infatti coinvolto in quella progressiva operazione culturale di denuncia della crisi della storia, delle fratture della lingua e dei linguaggi, della fine dell’opera come prodotto finito e risolto in se stesso. Il mito, insomma, si inserisce a pieno titolo nel dibattito critico attorno alla crisi novecentesca dell’evidenza cartesiana. In questo contesto, la pregnanza delle opere a soggetto mitico nella prima metà del Novecento e oltre, si riconosce dal grado estremo di porosità di cui, per la prima volta, il mito si fa latore: superando la propria tradizionale accezione di modello archetipico di staticità, stabilità, restaurazione o ripetizione del tempo sacro delle origini, esso assume sempre più una più marcata funzione di modello generativo e dinamico, in quanto “non è un futile racconto, ma una forza attiva operante” . Come andremo a verificare, è proprio il teatro a portare sulla scena il mito quale veicolo di trasmissione del duplice atteggiamento del pensiero e della critica del Novecento, trovandosi a condividere tanto le specificità del gesto decostruttivo e demistificatorio inaugurato dai “maestri del sospetto”, quanto le istanze più propriamente ricostruttive di quella tendenza della riflessione contemporanea che, dal primo dopoguerra in poi, per quanto concerne l’ambito artistico-letterario, ha contrapposto alla crisi del soggetto e della scrittura in generale, la forza ricompositiva della narrazione.
Towards a Dramaturgy of Suspicion: Theatre and Myths in 20th-century France
BRUERA, Franca
2012-01-01
Abstract
A partire dalle sue prime rivisitazioni novecentesche, il mito pare in grado di sedimentare e veicolare il senso attraverso una capacità di autoalimentazione alquanto inedita, data da un potenziale narrativo sempre più forte, favorito dal processo dialettico di desemantizzazione e risemantizzazione che il mito stesso produce. Gli esempi che il lavoro potrà portare potranno chiarire le specificità di questa polarità intrinseca al mito. Indipendentemente dagli esiti delle diverse riscritture, di cui verranno forniti alcuni modelli, sembra infatti possibile riconoscere al Novecento una marcata tendenza a superare la tradizionale accezione del mito come mera ripetizione, in funzione di una sua rinnovata concezione in chiave dialettica decostruttivo-ricostruttiva . Innanzi tutto, la tendenza alquanto diffusa in Francia a partire dal primo dopoguerra alla desacralizzazione dei grandi miti dell’antichità, per lo più riscontrabile in ambito teatrale, non è estranea al processo di progressivo sgretolamento di quei parametri e quelle convenzioni tradizionali che avevano da sempre tutelato l’unicità dell’opera d’arte. Il massiccio ricorso alla rivisitazione dei miti si inserisce infatti perfettamente nel quadro della crisi storico-culturale che il secolo breve delle accelerazioni e delle trasformazioni radicali aveva inevitabilmente ingenerato . Anche il mito viene infatti coinvolto in quella progressiva operazione culturale di denuncia della crisi della storia, delle fratture della lingua e dei linguaggi, della fine dell’opera come prodotto finito e risolto in se stesso. Il mito, insomma, si inserisce a pieno titolo nel dibattito critico attorno alla crisi novecentesca dell’evidenza cartesiana. In questo contesto, la pregnanza delle opere a soggetto mitico nella prima metà del Novecento e oltre, si riconosce dal grado estremo di porosità di cui, per la prima volta, il mito si fa latore: superando la propria tradizionale accezione di modello archetipico di staticità, stabilità, restaurazione o ripetizione del tempo sacro delle origini, esso assume sempre più una più marcata funzione di modello generativo e dinamico, in quanto “non è un futile racconto, ma una forza attiva operante” . Come andremo a verificare, è proprio il teatro a portare sulla scena il mito quale veicolo di trasmissione del duplice atteggiamento del pensiero e della critica del Novecento, trovandosi a condividere tanto le specificità del gesto decostruttivo e demistificatorio inaugurato dai “maestri del sospetto”, quanto le istanze più propriamente ricostruttive di quella tendenza della riflessione contemporanea che, dal primo dopoguerra in poi, per quanto concerne l’ambito artistico-letterario, ha contrapposto alla crisi del soggetto e della scrittura in generale, la forza ricompositiva della narrazione.File | Dimensione | Formato | |
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