Questo saggio poggia sulla convinzione che la semiotica abbia molte cose da imparare da un confronto con teorie, sul segno e sulla narrazione,sviluppate in altri contesti culturali. In tale prospettiva, prendo qui in esame parallelamente una pratica rituale e un ciclo narrativo diffusi nella tradizione tibetana: prodotti culturali che possiamo vedere entrambi quali espressioni di un certo atteggiamento negativo verso le connessioni semiotiche, tipico del pensiero buddista. Il rituale dello Stato di quiete (tib. Shi–gNas) implica la momentanea sospensione del filtro linguistico e concettuale che normalmente s’interpone nel rapporto tra noi e le cose, e con questo la sospensione della divisione tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo. La realizzazione di un distacco dai comuni stati di attaccamento patemico verso gli oggetti della quotidianità è raggiunta attraverso una concentrazione mentale su cicli di ventuno respiri. In maniera sottilmente analoga, il venerabile complesso narrativo dei Racconti del cadavere presenta ventuno racconti che sfidano la nostra capacità di restare immuni alla forza di coinvolgimento della forma narrativa. Nell’uno e nell’altro caso, vengono messi in questione i fondamenti stessi del nostro universo semiotico: la strutturazione linguistica, la connessione narrativa, le configurazioni patemiche.

Il rito senza parole e il cadavere che sempre racconta. Pratiche di destrutturazione semiotica nella tradizione tibetana

FERRARO, Guido
2012-01-01

Abstract

Questo saggio poggia sulla convinzione che la semiotica abbia molte cose da imparare da un confronto con teorie, sul segno e sulla narrazione,sviluppate in altri contesti culturali. In tale prospettiva, prendo qui in esame parallelamente una pratica rituale e un ciclo narrativo diffusi nella tradizione tibetana: prodotti culturali che possiamo vedere entrambi quali espressioni di un certo atteggiamento negativo verso le connessioni semiotiche, tipico del pensiero buddista. Il rituale dello Stato di quiete (tib. Shi–gNas) implica la momentanea sospensione del filtro linguistico e concettuale che normalmente s’interpone nel rapporto tra noi e le cose, e con questo la sospensione della divisione tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo. La realizzazione di un distacco dai comuni stati di attaccamento patemico verso gli oggetti della quotidianità è raggiunta attraverso una concentrazione mentale su cicli di ventuno respiri. In maniera sottilmente analoga, il venerabile complesso narrativo dei Racconti del cadavere presenta ventuno racconti che sfidano la nostra capacità di restare immuni alla forza di coinvolgimento della forma narrativa. Nell’uno e nell’altro caso, vengono messi in questione i fondamenti stessi del nostro universo semiotico: la strutturazione linguistica, la connessione narrativa, le configurazioni patemiche.
2012
11-12
89
107
Semiotica; Narrazione; Rituale; Cultura tibetana
Guido Ferraro
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Il rito senza parole e il cadavere che sempre racconta.pdf

Accesso aperto

Tipo di file: POSTPRINT (VERSIONE FINALE DELL’AUTORE)
Dimensione 259.75 kB
Formato Adobe PDF
259.75 kB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/122930
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus 0
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact