L’A. prende in considerazione talune forme di aggressione al patrimonio e si sofferma in particolare sui fatti di appropriazione indebita, tornati peraltro di scottante attualità a causa di recenti comportamenti di alcuni tesorieri di partito. Le vie maestre non violente di offesa alla ricchezza sono tre: la sottrazione, l’appropriazione e la frode: il presente studio ne offre una articolata e aggiornata analisi intrecciata, ponendo in luce come l’appropriazione indebita si distingua dal furto perché, mentre essa presuppone la preesistenza del possesso della cosa mobile altrui nell’agente, la nozione del furto, invece, esige che il delinquente non abbia tale possesso, ma che lo acquisti col delitto. Inoltre, l’appropriazione indebita si distingue dalla truffa, perché presuppone che il colpevole non carpisca, con artifici o raggiri, il possesso di cui poi abusa, mentre la truffa è caratterizzata da un rapporto interattivo fra l’autore del fatto e la persona offesa, la quale, ingannata, compie atti di disposizione patrimoniale che la danneggiano. Prima di soffermarsi sulla fattispecie di appropriazione indebita, l’A. analizza il concetto di «patrimonio» e i beni protetti dalle norme del Titolo XIII del Libro II del Codice Penale, nonché il senso ultimo dei termini «fiducia» e «fedeltà», sostenendo che la fiducia può intervenire ed influire sulla costituzione di un obbligo di fedeltà, ma non è elemento costante e non partecipa necessariamente alla struttura di questo fenomeno; ne deriva che la tutela penale, anche nei casi in cui la fiducia ha comunque rilievo, è sempre tutela della fedeltà e non della fiducia. La tesi è conseguentemente la seguente: l’appropriazione indebita non è nient’altro se non un’ipotesi di infedeltà, un modo di essere infedele. Il soggetto attivo, legittimato ad incidere sull’altrui sfera patrimoniale, abusa della fiducia accordatagli o dei poteri attribuitigli. Pertanto, l’appropriazione indebita, disegnata dall’art. 646 c.p., non è l’unico fatto appropriativo: spigolando nel codice e nelle leggi complementari, è possibile trovare altri illeciti che posseggono un nucleo in senso lato appropriativo (basti pensare alla distrazione o alla malversazione). Ne discende pure che ci troviamo al cospetto di un reato plurioffensivo: l’appropriazione indebita lede sia l’aspettativa di «fedeltà» sia il bene «patrimonio» (limitato, però, ad una cosa mobile) di un soggetto, proprietario o no non rileva, cui l’agente deve rendere conto. Una notevole attenzione viene, infine, dedicata alla Storia e segnatamente all’età delle codificazioni, nonché agli aspetti comparatistici rispetto alla _common law_ e ai più moderni codici penali europei. Così, l’A. mostra che nel pensiero dei legislatori serpeggia la convinzione che il fatto appropriativo contenga un _quid_ di fraudolento. Ad esempio, il codice Rocco inserisce l’appropriazione indebita fra i «delitti contro il patrimonio mediante frode»; il codice francese denomina «appropriazioni fraudolente» il titolo I del libro III; gli inglesi parlavano e parlano di _fraudolent conversion_. Ma, avverte l’A., delle due l’una: o la frode si manifesta fin dall’inizio in un comportamento esteriore (non basta la semplice riserva mentale di appropriarsi la cosa quando se ne avrà l’autonomo possesso), e allora si parlerà di truffa, o ciò non avviene e si tratterà di appropriazione indebita. Altri codici, infatti, più correttamente tengono distinti i reati di truffa e appropriazione indebita (o abuso di fiducia): così, ad esempio, il codice tedesco e il codice olandese.
Aggressioni al patrimonio e tutela penale
D'AGOSTINO, Paolo
2012-01-01
Abstract
L’A. prende in considerazione talune forme di aggressione al patrimonio e si sofferma in particolare sui fatti di appropriazione indebita, tornati peraltro di scottante attualità a causa di recenti comportamenti di alcuni tesorieri di partito. Le vie maestre non violente di offesa alla ricchezza sono tre: la sottrazione, l’appropriazione e la frode: il presente studio ne offre una articolata e aggiornata analisi intrecciata, ponendo in luce come l’appropriazione indebita si distingua dal furto perché, mentre essa presuppone la preesistenza del possesso della cosa mobile altrui nell’agente, la nozione del furto, invece, esige che il delinquente non abbia tale possesso, ma che lo acquisti col delitto. Inoltre, l’appropriazione indebita si distingue dalla truffa, perché presuppone che il colpevole non carpisca, con artifici o raggiri, il possesso di cui poi abusa, mentre la truffa è caratterizzata da un rapporto interattivo fra l’autore del fatto e la persona offesa, la quale, ingannata, compie atti di disposizione patrimoniale che la danneggiano. Prima di soffermarsi sulla fattispecie di appropriazione indebita, l’A. analizza il concetto di «patrimonio» e i beni protetti dalle norme del Titolo XIII del Libro II del Codice Penale, nonché il senso ultimo dei termini «fiducia» e «fedeltà», sostenendo che la fiducia può intervenire ed influire sulla costituzione di un obbligo di fedeltà, ma non è elemento costante e non partecipa necessariamente alla struttura di questo fenomeno; ne deriva che la tutela penale, anche nei casi in cui la fiducia ha comunque rilievo, è sempre tutela della fedeltà e non della fiducia. La tesi è conseguentemente la seguente: l’appropriazione indebita non è nient’altro se non un’ipotesi di infedeltà, un modo di essere infedele. Il soggetto attivo, legittimato ad incidere sull’altrui sfera patrimoniale, abusa della fiducia accordatagli o dei poteri attribuitigli. Pertanto, l’appropriazione indebita, disegnata dall’art. 646 c.p., non è l’unico fatto appropriativo: spigolando nel codice e nelle leggi complementari, è possibile trovare altri illeciti che posseggono un nucleo in senso lato appropriativo (basti pensare alla distrazione o alla malversazione). Ne discende pure che ci troviamo al cospetto di un reato plurioffensivo: l’appropriazione indebita lede sia l’aspettativa di «fedeltà» sia il bene «patrimonio» (limitato, però, ad una cosa mobile) di un soggetto, proprietario o no non rileva, cui l’agente deve rendere conto. Una notevole attenzione viene, infine, dedicata alla Storia e segnatamente all’età delle codificazioni, nonché agli aspetti comparatistici rispetto alla _common law_ e ai più moderni codici penali europei. Così, l’A. mostra che nel pensiero dei legislatori serpeggia la convinzione che il fatto appropriativo contenga un _quid_ di fraudolento. Ad esempio, il codice Rocco inserisce l’appropriazione indebita fra i «delitti contro il patrimonio mediante frode»; il codice francese denomina «appropriazioni fraudolente» il titolo I del libro III; gli inglesi parlavano e parlano di _fraudolent conversion_. Ma, avverte l’A., delle due l’una: o la frode si manifesta fin dall’inizio in un comportamento esteriore (non basta la semplice riserva mentale di appropriarsi la cosa quando se ne avrà l’autonomo possesso), e allora si parlerà di truffa, o ciò non avviene e si tratterà di appropriazione indebita. Altri codici, infatti, più correttamente tengono distinti i reati di truffa e appropriazione indebita (o abuso di fiducia): così, ad esempio, il codice tedesco e il codice olandese.File | Dimensione | Formato | |
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