Negli ultimi decenni il tema della cittadinanza è tornato ad essere di grande attualità. Fra i numerosi motivi del revival, si va dalla crisi dello stato sociale al fenomeno della “partecipazione al ribasso”, spia di una democrazia in affanno; dalla crescente complessità di un diritto sempre più transnazionale alle imponenti migrazioni di massa che spingono persone dalle aree più povere del mondo a diventare apolidi de facto. Segno ed insieme effetto dei processi di globalizzazione, le stesse trasformazioni della società e dello stato ripropongono, spesso in maniera inedita e in forme straordinariamente molteplici, la questione dell’inclusione-esclusione. Chi deve essere considerato cittadino? Che cosa significa essere cittadino? Quali sono i meccanismi che regolano l’inclusione e l’esclusione dalla “cittadinanza”? Come si giustificano e come si criticano tali meccanismi? La “cittadinanza” è la summa dei diritti fondamentali che contraddistingue la modernità politica, oppure si profila come un concetto premoderno da rigettare, in quanto ultimo vestigio di un sistema di privilegi? Quel che colpisce è che nel lessico della “cittadinanza” vengono declinati una congerie di problemi prima facie non solo distinti, ma distanti: che cosa hanno a che vedere i clandestini d’oggi, e i boat people di ieri, con la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche? Che cosa accomuna la condizione degli uiguri in Cina, il gender gap in Occidente, i labour market tests in Europa e gli immigrati messicani negli Usa? Eppure, sono tutte questioni presentate come aspetti del problema “cittadinanza”. A questo insieme apparentemente eterogeneo di temi si dedica un indirizzo di ricerca molto frequentato e tuttora in crescita, di taglio interdisciplinare, i cosiddetti citizenship studies, da cui occorre partire per capire come un tema, tradizionalmente appannaggio di una letteratura giuridica propensa al formalismo, si trovi oggi al centro di un interesse in ogni senso “trasversale”. Vittima del suo stesso successo, la nozione di “cittadinanza”, o meglio la nebulosa di significati associati al termine, rischia di divenire non già uno strumento, ma un ostacolo per la comprensione della realtà. Diventa perciò urgente tornare anzitutto sul rapporto fra le possibili “definizioni” di cittadinanza, all’insegna dell’analisi concettuale. Ciò lascia capire quale posto abbia la “questione di parole” in questo libro. Non che basti ridefinire i principali concetti del linguaggio politico per fare della buona teoria, ma è certo che l’eliminazione delle confusioni verbali è il presupposto necessario per mettere ordine in un universo di concetti resi ambigui dall’uso disinvolto, non sempre innocente, che se ne fa nella dialettica politica. Parola d’ordine dei movimenti più diversi e delle politiche più disparate, sembrerebbe addirittura che la confusione sulla “cittadinanza” sia negli ultimi tempi aumentata: la discussione, vuoi per scarsa conoscenza dei precedenti storici, lontani e recenti, vuoi per l’ansia di accreditarsi a spese dei predecessori, pare ricominciare ogni volta da capo, come se i barbari fossero arrivati a bruciare la biblioteca di Alessandria. Di fronte alla odierna popolarità dell’argomento, non bisogna perdere l’abitudine di risalire alla lettura dei classici, né perdere il senso della profondità storica. Il volume propone di analizzare il problema della “cittadinanza” sulla base di una specifica tesi: abbiamo innanzitutto a che fare con una parola che ha acquisito tre significati diversi nel dibattito contemporaneo, sui quali sono stati costruiti veri e propri modelli concettuali. Per farli emergere nei loro profili specificamente differenti conviene rovesciare la prospettiva, interrogandoci sulle rispettive figure negative: i “non-cittadini” possono essere sudditi, stranieri o emarginati. Queste tre categorie rimandano a tre ordini di problemi distinti che affliggono la società contemporanea: la scarsa legittimazione democratica, l’intermittente stato di diritto, l’indebolita coesione sociale. Sono tutte questioni cruciali, certo non prive di connessioni, per una pacifica convivenza. Tuttavia, devono essere affrontate separatamente per evitare le tipiche confusioni generate dal ricorso indistinto ad una vaga ed ambigua nozione di cittadinanza come membership. Una delle ricadute più pericolose dell’odierno dibattito è infatti l’idea che la cittadinanza equivalga al «diritto di avere diritti», tesi che ha contribuito a far sbiadire la distinzione fondamentale tra status civitatis e status personae. L’intento del libro è di dissipare la confusione che regna sia nel dibattito scientifico e dottrinale, sia in quello politico ed istituzionale, mostrando perché questa mancanza di chiarezza sia diventata oggi fonte di incertezza anche per l’agire quotidiano di molti individui. Il capitolo primo è dedicato alla ricostruzione del dibattito sulla cittadinanza, presentata quale “nuovo strumento” dell’analisi sociale. Le proposte avanzate da vari studiosi nel campo degli citizenship studies vengono illustrate e discusse. In particolare, vengono presentati alcuni “modelli di cittadinanza”. Il metodo è quello dell’analisi concettuale e lo scopo quello di ricostruire l’uso che si fa del termine “cittadinanza” e di mettere in chiaro i tre ambiti semantici che oggi convivono, seppur con qualche litigiosità. I capitoli 2, 3 e 4 sono dedicati alla ricostruzione di ciascuno di questi modelli: si tratta, in primo luogo, di isolare alcuni momenti paradigmatici o tappe evolutive che hanno formato quel particolare uso che facciamo della nozione. In secondo luogo, occorre mettere in luce i problemi pratici delle persone escluse dal novero dei “cittadini”, volta a volta accostabili alla figura del suddito, dello straniero o dell’emarginato. Nel secondo capitolo viene delineato il paradigma politico che oppone il cittadino al suddito, mettendo in chiaro le questioni relative all’obbligazione politica, alla legittimità del potere di prendere decisioni collettive, al tipo di partecipazione e numero dei soggetti coinvolti nei processi decisionali. Il terzo capitolo ricostruisce il modello giuridico della cittadinanza basato sulla rigida contrapposizione fra il cittadino e la figura dell’estraneo all’ordinamento nazionale (straniero e apolide), allo scopo di delimitare lo spazio giuridico, quale elemento costitutivo dello Stato. “Cittadinanza” è qui la posizione complessiva del soggetto caratterizzato da una particolare sfera di capacità, con diritti e doveri variabili a seconda della definizione positiva dell’ordinamento. Il capitolo quarto esplora la figura sociologica della cittadinanza ricostruendo il dibattito che prende avvio dagli studi di T.H. Marshall alla fine degli anni quaranta del Novecento, dedicato allo studio della cittadinanza come “piena appartenenza alla comunità”. Il capitolo quinto presenta una teoria generale della cittadinanza, proposta a partire da una rilettura del terzo libro della Politica di Aristotele che mette in chiaro quali siano le dimensioni che accompagnano ogni trattazione del tema, in modo da elaborare uno strumento funzionale a saggiare la plausibilità delle politiche proposte in suo nome. Si specificano così quali siano gli elementi da considerare per consentire una riflessione ordinata e un dibattito informato

Cittadini e non. Forme e funzioni dell'inclusione

MINDUS, Patricia Maria
2014-01-01

Abstract

Negli ultimi decenni il tema della cittadinanza è tornato ad essere di grande attualità. Fra i numerosi motivi del revival, si va dalla crisi dello stato sociale al fenomeno della “partecipazione al ribasso”, spia di una democrazia in affanno; dalla crescente complessità di un diritto sempre più transnazionale alle imponenti migrazioni di massa che spingono persone dalle aree più povere del mondo a diventare apolidi de facto. Segno ed insieme effetto dei processi di globalizzazione, le stesse trasformazioni della società e dello stato ripropongono, spesso in maniera inedita e in forme straordinariamente molteplici, la questione dell’inclusione-esclusione. Chi deve essere considerato cittadino? Che cosa significa essere cittadino? Quali sono i meccanismi che regolano l’inclusione e l’esclusione dalla “cittadinanza”? Come si giustificano e come si criticano tali meccanismi? La “cittadinanza” è la summa dei diritti fondamentali che contraddistingue la modernità politica, oppure si profila come un concetto premoderno da rigettare, in quanto ultimo vestigio di un sistema di privilegi? Quel che colpisce è che nel lessico della “cittadinanza” vengono declinati una congerie di problemi prima facie non solo distinti, ma distanti: che cosa hanno a che vedere i clandestini d’oggi, e i boat people di ieri, con la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche? Che cosa accomuna la condizione degli uiguri in Cina, il gender gap in Occidente, i labour market tests in Europa e gli immigrati messicani negli Usa? Eppure, sono tutte questioni presentate come aspetti del problema “cittadinanza”. A questo insieme apparentemente eterogeneo di temi si dedica un indirizzo di ricerca molto frequentato e tuttora in crescita, di taglio interdisciplinare, i cosiddetti citizenship studies, da cui occorre partire per capire come un tema, tradizionalmente appannaggio di una letteratura giuridica propensa al formalismo, si trovi oggi al centro di un interesse in ogni senso “trasversale”. Vittima del suo stesso successo, la nozione di “cittadinanza”, o meglio la nebulosa di significati associati al termine, rischia di divenire non già uno strumento, ma un ostacolo per la comprensione della realtà. Diventa perciò urgente tornare anzitutto sul rapporto fra le possibili “definizioni” di cittadinanza, all’insegna dell’analisi concettuale. Ciò lascia capire quale posto abbia la “questione di parole” in questo libro. Non che basti ridefinire i principali concetti del linguaggio politico per fare della buona teoria, ma è certo che l’eliminazione delle confusioni verbali è il presupposto necessario per mettere ordine in un universo di concetti resi ambigui dall’uso disinvolto, non sempre innocente, che se ne fa nella dialettica politica. Parola d’ordine dei movimenti più diversi e delle politiche più disparate, sembrerebbe addirittura che la confusione sulla “cittadinanza” sia negli ultimi tempi aumentata: la discussione, vuoi per scarsa conoscenza dei precedenti storici, lontani e recenti, vuoi per l’ansia di accreditarsi a spese dei predecessori, pare ricominciare ogni volta da capo, come se i barbari fossero arrivati a bruciare la biblioteca di Alessandria. Di fronte alla odierna popolarità dell’argomento, non bisogna perdere l’abitudine di risalire alla lettura dei classici, né perdere il senso della profondità storica. Il volume propone di analizzare il problema della “cittadinanza” sulla base di una specifica tesi: abbiamo innanzitutto a che fare con una parola che ha acquisito tre significati diversi nel dibattito contemporaneo, sui quali sono stati costruiti veri e propri modelli concettuali. Per farli emergere nei loro profili specificamente differenti conviene rovesciare la prospettiva, interrogandoci sulle rispettive figure negative: i “non-cittadini” possono essere sudditi, stranieri o emarginati. Queste tre categorie rimandano a tre ordini di problemi distinti che affliggono la società contemporanea: la scarsa legittimazione democratica, l’intermittente stato di diritto, l’indebolita coesione sociale. Sono tutte questioni cruciali, certo non prive di connessioni, per una pacifica convivenza. Tuttavia, devono essere affrontate separatamente per evitare le tipiche confusioni generate dal ricorso indistinto ad una vaga ed ambigua nozione di cittadinanza come membership. Una delle ricadute più pericolose dell’odierno dibattito è infatti l’idea che la cittadinanza equivalga al «diritto di avere diritti», tesi che ha contribuito a far sbiadire la distinzione fondamentale tra status civitatis e status personae. L’intento del libro è di dissipare la confusione che regna sia nel dibattito scientifico e dottrinale, sia in quello politico ed istituzionale, mostrando perché questa mancanza di chiarezza sia diventata oggi fonte di incertezza anche per l’agire quotidiano di molti individui. Il capitolo primo è dedicato alla ricostruzione del dibattito sulla cittadinanza, presentata quale “nuovo strumento” dell’analisi sociale. Le proposte avanzate da vari studiosi nel campo degli citizenship studies vengono illustrate e discusse. In particolare, vengono presentati alcuni “modelli di cittadinanza”. Il metodo è quello dell’analisi concettuale e lo scopo quello di ricostruire l’uso che si fa del termine “cittadinanza” e di mettere in chiaro i tre ambiti semantici che oggi convivono, seppur con qualche litigiosità. I capitoli 2, 3 e 4 sono dedicati alla ricostruzione di ciascuno di questi modelli: si tratta, in primo luogo, di isolare alcuni momenti paradigmatici o tappe evolutive che hanno formato quel particolare uso che facciamo della nozione. In secondo luogo, occorre mettere in luce i problemi pratici delle persone escluse dal novero dei “cittadini”, volta a volta accostabili alla figura del suddito, dello straniero o dell’emarginato. Nel secondo capitolo viene delineato il paradigma politico che oppone il cittadino al suddito, mettendo in chiaro le questioni relative all’obbligazione politica, alla legittimità del potere di prendere decisioni collettive, al tipo di partecipazione e numero dei soggetti coinvolti nei processi decisionali. Il terzo capitolo ricostruisce il modello giuridico della cittadinanza basato sulla rigida contrapposizione fra il cittadino e la figura dell’estraneo all’ordinamento nazionale (straniero e apolide), allo scopo di delimitare lo spazio giuridico, quale elemento costitutivo dello Stato. “Cittadinanza” è qui la posizione complessiva del soggetto caratterizzato da una particolare sfera di capacità, con diritti e doveri variabili a seconda della definizione positiva dell’ordinamento. Il capitolo quarto esplora la figura sociologica della cittadinanza ricostruendo il dibattito che prende avvio dagli studi di T.H. Marshall alla fine degli anni quaranta del Novecento, dedicato allo studio della cittadinanza come “piena appartenenza alla comunità”. Il capitolo quinto presenta una teoria generale della cittadinanza, proposta a partire da una rilettura del terzo libro della Politica di Aristotele che mette in chiaro quali siano le dimensioni che accompagnano ogni trattazione del tema, in modo da elaborare uno strumento funzionale a saggiare la plausibilità delle politiche proposte in suo nome. Si specificano così quali siano gli elementi da considerare per consentire una riflessione ordinata e un dibattito informato
2014
Firenze University Press
1
354
9788866556237
P.M. Mindus
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Cittadini e non MANOSCRITTO ACCETTATO.docx

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