I tratti più evidenti della stagione torinese 1848-1864 si ritrovano nell’irrompere impetuoso nella compagine sociale di un vento nuovo di libertà e di riforme che avrebbero modificato nel profondo il profilo culturale di Torino, in particolare nella partecipazione collettiva allargata, anche se controllata e regolata dall’alto, ai fatti della politica, che ebbe come luoghi principali i caffè e le piazze cittadine; e in una più vasta e capillare circolazione di idee presso una sempre crescente opinione pubblica, attraverso giornali e riviste apparsi in numero sorprendente grazie alla maggiore libertà di stampa e letti avidamente nei caffè, nei circoli e nei salotti. È un quadro complesso e articolato che si arricchirà ancora di più nel momento in cui, con la concessione, e soprattutto la conservazione dello Statuto albertino – unico, il regno di Sardegna, tra gli stati preunitari –, a Torino giungeranno migliaia di esuli dalle altre regioni italiane e gli ospiti di caffè e salotti si diversificheranno ancor più per provenienza geografica, ceto e retroterra culturale. La città, all’insegna delle libertà garantite e della vivacità giornalistica ed editoriale, diventerà crocevia culturale e perciò polo di attrazione per molti di loro: Tommaseo sceglierà consapevolmente di far nascere qui l’impresa del Dizionario della lingua italiana. Intanto mentre alcune delle maggiori istituzioni cittadine, create e lasciate in eredità da Carlo Alberto, catalizzavano parte dell’attività intellettuale, nel corso del decennio cavouriano il centro propulsore della cultura piemontese si spostava dall’Accademia delle Scienze all’Università, alla rivitalizzazione e al progresso della quale avrebbero contribuito anche molti esuli, in particolare nelle scienze giuridiche ed economiche. Fu in particolare il ministro dell’Istruzione Lanza a caldeggiare la costituzione di un corpo docente all’altezza del futuro ruolo nazionale del Piemonte. Appare dunque evidente come a Torino non si preparavano solamente i destini dello stato-nazione ma si costruiva anche un canone culturale, linguistico e letterario di tipo nazionale. La città, che nel 1848 contava circa 138.000 abitanti, si apprestava ancora una volta nella sua storia recente a mutamenti di scala territoriale e di rete, trasformandosi da capitale di uno stato regionale a capitale di uno stato nazionale, ancorché per breve tempo. Ora la trasformazione della classe dirigente subalpina, nel segno di un progressivo amalgama e avvicinamento tra settori più avanzati dell’aristocrazia e forze borghesi rafforzatesi nella congiuntura positiva conseguenza del liberalismo cavouriano, rappresentavano altrettante condizioni per sviluppare i traffici e le infrastrutture, accogliendo la nuova centralità di Genova e la grande rivoluzione della strada ferrata, che avrebbero posto le premesse di una crescita demografica e modificato la scala urbana.
I luoghi della cultura nella Torino di Cavour
CAVICCHIOLI, Silvia
2012-01-01
Abstract
I tratti più evidenti della stagione torinese 1848-1864 si ritrovano nell’irrompere impetuoso nella compagine sociale di un vento nuovo di libertà e di riforme che avrebbero modificato nel profondo il profilo culturale di Torino, in particolare nella partecipazione collettiva allargata, anche se controllata e regolata dall’alto, ai fatti della politica, che ebbe come luoghi principali i caffè e le piazze cittadine; e in una più vasta e capillare circolazione di idee presso una sempre crescente opinione pubblica, attraverso giornali e riviste apparsi in numero sorprendente grazie alla maggiore libertà di stampa e letti avidamente nei caffè, nei circoli e nei salotti. È un quadro complesso e articolato che si arricchirà ancora di più nel momento in cui, con la concessione, e soprattutto la conservazione dello Statuto albertino – unico, il regno di Sardegna, tra gli stati preunitari –, a Torino giungeranno migliaia di esuli dalle altre regioni italiane e gli ospiti di caffè e salotti si diversificheranno ancor più per provenienza geografica, ceto e retroterra culturale. La città, all’insegna delle libertà garantite e della vivacità giornalistica ed editoriale, diventerà crocevia culturale e perciò polo di attrazione per molti di loro: Tommaseo sceglierà consapevolmente di far nascere qui l’impresa del Dizionario della lingua italiana. Intanto mentre alcune delle maggiori istituzioni cittadine, create e lasciate in eredità da Carlo Alberto, catalizzavano parte dell’attività intellettuale, nel corso del decennio cavouriano il centro propulsore della cultura piemontese si spostava dall’Accademia delle Scienze all’Università, alla rivitalizzazione e al progresso della quale avrebbero contribuito anche molti esuli, in particolare nelle scienze giuridiche ed economiche. Fu in particolare il ministro dell’Istruzione Lanza a caldeggiare la costituzione di un corpo docente all’altezza del futuro ruolo nazionale del Piemonte. Appare dunque evidente come a Torino non si preparavano solamente i destini dello stato-nazione ma si costruiva anche un canone culturale, linguistico e letterario di tipo nazionale. La città, che nel 1848 contava circa 138.000 abitanti, si apprestava ancora una volta nella sua storia recente a mutamenti di scala territoriale e di rete, trasformandosi da capitale di uno stato regionale a capitale di uno stato nazionale, ancorché per breve tempo. Ora la trasformazione della classe dirigente subalpina, nel segno di un progressivo amalgama e avvicinamento tra settori più avanzati dell’aristocrazia e forze borghesi rafforzatesi nella congiuntura positiva conseguenza del liberalismo cavouriano, rappresentavano altrettante condizioni per sviluppare i traffici e le infrastrutture, accogliendo la nuova centralità di Genova e la grande rivoluzione della strada ferrata, che avrebbero posto le premesse di una crescita demografica e modificato la scala urbana.File | Dimensione | Formato | |
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