ABSTRACT: L’a. prende in esame il D.L. n. 238 del 1995, reiterato con i decreti n. 238 e 432 e convertito dalla L. n. 534 del 1995, che – incidendo sulla disciplina del rito civile – hanno introdotto una ulteriore scansione all'interno del processo, distinguendo tra una udienza di prima comparizione dedicata alla verifica della regolare instaurazione del contraddittorio ed una prima udienza di trattazione dedicata alla trattazione vera e propria. # Osserva l’a. che questa articolazione, prevedendo un obbligatorio intervallo tra la comparizione e la trattazione in senso stretto, appare criticabile, specie quando il convenuto rimanga contumace. In tal caso, infatti, il convenuto mostra di non volersi difendere e non si vede dunque perché prevedere un’ulteriore scansione processuale anziché consentire subito al giudice di procedere all’istruzione o rimettere immediatamente la causa in decisione. # L’a. propone quindi tre possibili rimedi nei confronti dell’assetto descritto: una interpretazione correttiva; una modifica legislativa; oppure una pronuncia di illegittimità costituzionale. Osserva l’a. che la prima sarebbe ardua, dovendosi interpretare il nuovo art. 180 c.p.c. in senso contrario al suo contenuto letterale, che ha tenore imperativo ed obbliga «in ogni caso» il giudice a fissare l'udienza ex art. 183 c.p.c., assegnando i termini al convenuto per la proposizione delle eccezioni a lui riservate. Più agevole sembrerebbe la seconda, e cioè la modifica legislativa, considerato il momento storico di grande fluidità delle leggi processuali, incessantemente riformate. Un po’ beffarda la terza, ovvero il ricorso alla Corte costituzionale, perché penalizzerebbe troppo, sospendendo il processo, la parte che, a fronte dell’altrui contumacia, dovrebbe invece confidare sulla veloce decisione sulla causa. (P.S. Successivamente, il secondo tra i rimedi indicati dall’a. ha trovato concreta attuazione, avendo il D.L. n. 35 del 2005, convertito dalla L. n. 80 del 2005, ripristinato il principio della necessaria coincidenza tra la prima udienza di comparizione e la prima udienza di trattazione e risolto dunque il problema posto dell’infelice intervento legislativo del 1995). SOMMARIO: 1. Obbligo di rinviare la causa dall'udienza di prima comparizione a quella di trattazione pur se il convenuto è contumace. – 2. Auspicabile discrezionalità del giudice nel disporre l'ammissione delle prove già in udienza di prima comparizione. – 3. Come passare dal piano del discorso critico a quello delle soluzioni concrete.

Rapide critiche al recentissimo divieto di procedere all’ammissione delle prove in sede di prima comparizione anche quando il convenuto sia contumace (nota a Pret. Monza, 25 settembre 1995)

DALMOTTO, Eugenio
1995-01-01

Abstract

ABSTRACT: L’a. prende in esame il D.L. n. 238 del 1995, reiterato con i decreti n. 238 e 432 e convertito dalla L. n. 534 del 1995, che – incidendo sulla disciplina del rito civile – hanno introdotto una ulteriore scansione all'interno del processo, distinguendo tra una udienza di prima comparizione dedicata alla verifica della regolare instaurazione del contraddittorio ed una prima udienza di trattazione dedicata alla trattazione vera e propria. # Osserva l’a. che questa articolazione, prevedendo un obbligatorio intervallo tra la comparizione e la trattazione in senso stretto, appare criticabile, specie quando il convenuto rimanga contumace. In tal caso, infatti, il convenuto mostra di non volersi difendere e non si vede dunque perché prevedere un’ulteriore scansione processuale anziché consentire subito al giudice di procedere all’istruzione o rimettere immediatamente la causa in decisione. # L’a. propone quindi tre possibili rimedi nei confronti dell’assetto descritto: una interpretazione correttiva; una modifica legislativa; oppure una pronuncia di illegittimità costituzionale. Osserva l’a. che la prima sarebbe ardua, dovendosi interpretare il nuovo art. 180 c.p.c. in senso contrario al suo contenuto letterale, che ha tenore imperativo ed obbliga «in ogni caso» il giudice a fissare l'udienza ex art. 183 c.p.c., assegnando i termini al convenuto per la proposizione delle eccezioni a lui riservate. Più agevole sembrerebbe la seconda, e cioè la modifica legislativa, considerato il momento storico di grande fluidità delle leggi processuali, incessantemente riformate. Un po’ beffarda la terza, ovvero il ricorso alla Corte costituzionale, perché penalizzerebbe troppo, sospendendo il processo, la parte che, a fronte dell’altrui contumacia, dovrebbe invece confidare sulla veloce decisione sulla causa. (P.S. Successivamente, il secondo tra i rimedi indicati dall’a. ha trovato concreta attuazione, avendo il D.L. n. 35 del 2005, convertito dalla L. n. 80 del 2005, ripristinato il principio della necessaria coincidenza tra la prima udienza di comparizione e la prima udienza di trattazione e risolto dunque il problema posto dell’infelice intervento legislativo del 1995). SOMMARIO: 1. Obbligo di rinviare la causa dall'udienza di prima comparizione a quella di trattazione pur se il convenuto è contumace. – 2. Auspicabile discrezionalità del giudice nel disporre l'ammissione delle prove già in udienza di prima comparizione. – 3. Come passare dal piano del discorso critico a quello delle soluzioni concrete.
1995
I, 2
12
869
874
http://www.utetgiuridica.it/giurit/
Diritto processuale civile, Procedimento civile, Udienza di prima comparizione, Rinvio all'udienza di trattazione, Trattazione della causa, Questioni pregiudiziali, Ammissione delle prove
Eugenio Dalmotto
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