Le piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola, fin dall’origine divise in due volumi pubblicati rispettivamente nel 1550 e nel 1553, sono una delle raccolte più singolari e interessanti del panorama novellistico italiano del XVI secolo. In esse infatti si attua diffusamente la volontà e si esercita concretamente lo sforzo di dare forma letteraria alla fiaba popolare, trasfigurandola artisticamente secondo gli schemi e i moduli tradizionali della novella decameroniana. Trovano qui la loro prima consacrazione letteraria fiabe divenute poi celebri come Il gatto con gli stivali, L’augellin belverde, Mezz’uomo, La fanciulla dalle mani mozzate ecc., e non è un caso dunque che studiosi e compilatori di motivi fiabeschi del Settecento e dell’Ottocento abbiano attinto largamente alla raccolta di Straparola indicandola come il capostipite di una lunga e fortunata tradizione. Se il desiderio di rinnovare il genere e la ricerca di qualcosa di nuovo spinse più o meno consapevolmente l’autore a inserire nell’aura della letteratura moduli e temi della tradizione orale, tuttavia l’intuizione delle potenzialità narrative del materiale fiabesco non consentì allo Straparola di portare fino in fondo il suo progetto innovativo imponendo la fiaba come espressione letteraria alternativa, e dunque l’eruzione di questa materia, fluida e magmatica, venne subito canalizzata in una cornice in cui è fin troppo visibile il modello decameroniano e venne portata a convivere con schemi più tradizionali come novelle erotiche, novelle di beffe, vicende esemplari, avventure tragiche, alle quali si aggiunsero anche due novelle in dialetto (bergamasco e pavano), e più di venti traduzioni dalle novelle latine di Girolamo Molini (autore di una raccolta di Novellae in latino pubblicate a Napoli nel 1520), pesante intromissione, confinata nel secondo volume, che potrebbe far pensare alla fretta dello Straparola di chiudere il libro forse su sollecitazione degli editori o su istanza del mercato, che aveva riservato un’accoglienza calorosa al primo volume. Il risultato è un’opera ampia, complessa e mescidata che incontrò subito uno straordinario successo di pubblico, attestato da più di venti edizioni veneziane nell’arco di sessant’anni e dalle altrettanto fortunate traduzioni in francese e in spagnolo. Questo articolo intende indagare le caratteristiche della fiaba di Straparola e la commistione tra moduli fiabeschi e moduli letterari tradizionali, cercando di mettere in luce il tentativo “strozzato” di un rinnovamento del genere novella.

The literary fairy tale of Giovan Francesco Straparola

PIROVANO, Donato
2008-01-01

Abstract

Le piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola, fin dall’origine divise in due volumi pubblicati rispettivamente nel 1550 e nel 1553, sono una delle raccolte più singolari e interessanti del panorama novellistico italiano del XVI secolo. In esse infatti si attua diffusamente la volontà e si esercita concretamente lo sforzo di dare forma letteraria alla fiaba popolare, trasfigurandola artisticamente secondo gli schemi e i moduli tradizionali della novella decameroniana. Trovano qui la loro prima consacrazione letteraria fiabe divenute poi celebri come Il gatto con gli stivali, L’augellin belverde, Mezz’uomo, La fanciulla dalle mani mozzate ecc., e non è un caso dunque che studiosi e compilatori di motivi fiabeschi del Settecento e dell’Ottocento abbiano attinto largamente alla raccolta di Straparola indicandola come il capostipite di una lunga e fortunata tradizione. Se il desiderio di rinnovare il genere e la ricerca di qualcosa di nuovo spinse più o meno consapevolmente l’autore a inserire nell’aura della letteratura moduli e temi della tradizione orale, tuttavia l’intuizione delle potenzialità narrative del materiale fiabesco non consentì allo Straparola di portare fino in fondo il suo progetto innovativo imponendo la fiaba come espressione letteraria alternativa, e dunque l’eruzione di questa materia, fluida e magmatica, venne subito canalizzata in una cornice in cui è fin troppo visibile il modello decameroniano e venne portata a convivere con schemi più tradizionali come novelle erotiche, novelle di beffe, vicende esemplari, avventure tragiche, alle quali si aggiunsero anche due novelle in dialetto (bergamasco e pavano), e più di venti traduzioni dalle novelle latine di Girolamo Molini (autore di una raccolta di Novellae in latino pubblicate a Napoli nel 1520), pesante intromissione, confinata nel secondo volume, che potrebbe far pensare alla fretta dello Straparola di chiudere il libro forse su sollecitazione degli editori o su istanza del mercato, che aveva riservato un’accoglienza calorosa al primo volume. Il risultato è un’opera ampia, complessa e mescidata che incontrò subito uno straordinario successo di pubblico, attestato da più di venti edizioni veneziane nell’arco di sessant’anni e dalle altrettanto fortunate traduzioni in francese e in spagnolo. Questo articolo intende indagare le caratteristiche della fiaba di Straparola e la commistione tra moduli fiabeschi e moduli letterari tradizionali, cercando di mettere in luce il tentativo “strozzato” di un rinnovamento del genere novella.
2008
99
281
296
PIROVANO D
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