Un’indagine sul rapporto fra Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e giudici nazionali deve necessariamente muovere, per l’ordinamento italiano, da un dato temporale, da un preciso momento storico che suddivide l’indagine stessa in un “prima” e in un “dopo”, modificandone presupposti e contenuti. Questo momento è segnato dalla pronuncia da parte della Corte costituzionale delle ormai notissime sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007. È con tali pronunce che la CEDU trova una propria identità, nel sistema delle fonti nazionali, acquisendo, anche per le giurisdizioni comuni, una più chiara funzione di parametro cui poter orientare le proprie evoluzioni giurisprudenziali. La storia della CEDU in rapporto al nostro ordinamento è stata, infatti, segnata, fino a queste pronunce, dalla ricerca di una “identità costituzionale”, difficile da riconoscere per il rango della legge ordinaria contenente l’ordine di esecuzione , ma al contempo avvertita in dottrina come quasi necessaria di fronte ai peculiari contenuti di diritti e di libertà fondamentali tutelati dalla Convenzione . Con le due sentenze dell’ottobre 2007 la CEDU diventa una “fonte interposta”, un parametro di costituzionalità, alla luce del quale devono essere sindacate le norme di legge nazionali. La normativa interna che si pone in contrasto con la Convenzione europea viola, dunque, il disposto costituzionale dell’art. 117, comma 1, Cost . Non sono, peraltro, soltanto le “norme” convenzionali ad assumere la funzione di parametro di legittimità costituzionale. Il giudice delle leggi sottolinea, infatti, come la norma nazionale violi l’art. 117, comma 1, Cost., qualora si ponga in contrasto con la Convenzione europea, “così come interpretata” dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Si tratta di un aperto riconoscimento del ruolo creativo dei giudici di Strasburgo, i quali, attraverso la propria attività di applicazione delle norme CEDU ai casi concreti, finiscono per elaborare, in via interpretativa, nozioni autonome destinate ad arricchire di nuovi contenuti le disposizioni convenzionali ed a creare, così, un sistema di garanzie dei diritti fondamentali a livello europeo, che va ben al di là del significato letterale di tali diritti come proclamati nel testo della Convenzione . Attraverso la “porta” dell’art. 117, comma 1, Cost la CEDU entra, ora, nel nostro sistema, non solo in quanto testo normativo sovranazionale, ma anche in quanto complesso di “diritto vivente”, frutto dell’elaborazione originale del giudice europeo in tema di diritti fondamentali, cui diventa necessario conformare la lettura delle fonti normative nazionali. La Corte costituzionale diventa protagonista di un controllo di “convenzionalità” della norma nazionale rispetto a tale complesso sistema formato dalle disposizioni della Convenzione e dalla loro elaborazione originale e creativa ad opera della Corte europea . Accanto a tale controllo accentrato in sede costituzionale, resta, però, in capo ai giudici comuni nazionali il potere-dovere d’interpretare, nella decisione delle singole controversie loro devolute, le norme interne in conformità alle disposizioni CEDU ed all’elaborazione di queste da parte della Corte europea . I giudici nazionali sono, infatti, i primi organi giurisdizionali incaricati, ai sensi dell’art. 13 CEDU, di assicurare un ricorso effettivo contro le violazioni dei diritti e delle libertà tutelate dalla Convenzione; essi sono chiamati a decidere le controversie loro devolute in base alle norme della Convenzione stessa, non solo come queste risultano dal dato testuale, ma come scaturiscono dall’opera interpretativa della Corte europea. Fondamentale, diventa, dunque il loro ruolo di primi “guardiani” della Convenzione nel sistema giurisdizionale di diritto interno. È all’analisi di tale ruolo che si dedica il presente contributo, concentrandosi in particolare sulle posizioni assunte dal giudice amministrativo, e in particolare dal Consiglio di Stato, per la giurisprudenza amministrativa. Obiettivo è quello di evidenziare alcune recenti posizioni del supremo consesso amministrativo, dalle quali sembra apparire chiaro come il nuovo approccio costituzionale alla CEDU sembra destinato ad incrementare l’attitudine degli stessi giudici ad attuare le garanzie convenzionali, considerando altresì la necessità di riferirsi alla giurisprudenza di Strasburgo come elemento chiave per giungere alla decisione dei casi oggetto di giudizio. L’analisi giurisprudenziale mostra un sempre più consistente numero di decisioni del supremo giudice amministrativo nelle quali la Convenzione comincia ad essere presa in considerazione quale fonte necessaria ad orientare la soluzione del caso oggetto di giudizio. Fra queste decisioni, alcune si pongono direttamente sulla scia della sentenza n. 349 del 2007, recependone totalmente le posizioni in tema di occupazione acquisitiva, altre si riferiscono all’art. 117, comma 1, Cost. nella nuova lettura offerta dal giudice costituzionale, altre ancora interpretano le garanzie salvaguardate dalla Convenzione applicandole alle fattispecie concrete. Accanto a tali nuove posizioni, permane, tuttavia, ancora negli orientamenti del Consiglio di Stato, una posizione di retrovia che spinge il giudice amministrativo ad un approccio più tradizionale con la CEDU, ove invocata esclusivamente come ulteriore argomento rafforzativo o mera clausola di stile che accompagna soluzioni decise sulla sola base del diritto nazionale, o ancora induce lo stesso giudice a riferirsi alla CEDU in modo erroneo, fraintendendo il suo ruolo nel sistema delle fonti interne o addirittura assimilandola al diritto derivante dell’ordinamento comunitario.
Sul ruolo della CEDU nella giurisprudenza del Consiglio di Stato,
MIRATE, SILVIA
2012-01-01
Abstract
Un’indagine sul rapporto fra Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e giudici nazionali deve necessariamente muovere, per l’ordinamento italiano, da un dato temporale, da un preciso momento storico che suddivide l’indagine stessa in un “prima” e in un “dopo”, modificandone presupposti e contenuti. Questo momento è segnato dalla pronuncia da parte della Corte costituzionale delle ormai notissime sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007. È con tali pronunce che la CEDU trova una propria identità, nel sistema delle fonti nazionali, acquisendo, anche per le giurisdizioni comuni, una più chiara funzione di parametro cui poter orientare le proprie evoluzioni giurisprudenziali. La storia della CEDU in rapporto al nostro ordinamento è stata, infatti, segnata, fino a queste pronunce, dalla ricerca di una “identità costituzionale”, difficile da riconoscere per il rango della legge ordinaria contenente l’ordine di esecuzione , ma al contempo avvertita in dottrina come quasi necessaria di fronte ai peculiari contenuti di diritti e di libertà fondamentali tutelati dalla Convenzione . Con le due sentenze dell’ottobre 2007 la CEDU diventa una “fonte interposta”, un parametro di costituzionalità, alla luce del quale devono essere sindacate le norme di legge nazionali. La normativa interna che si pone in contrasto con la Convenzione europea viola, dunque, il disposto costituzionale dell’art. 117, comma 1, Cost . Non sono, peraltro, soltanto le “norme” convenzionali ad assumere la funzione di parametro di legittimità costituzionale. Il giudice delle leggi sottolinea, infatti, come la norma nazionale violi l’art. 117, comma 1, Cost., qualora si ponga in contrasto con la Convenzione europea, “così come interpretata” dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Si tratta di un aperto riconoscimento del ruolo creativo dei giudici di Strasburgo, i quali, attraverso la propria attività di applicazione delle norme CEDU ai casi concreti, finiscono per elaborare, in via interpretativa, nozioni autonome destinate ad arricchire di nuovi contenuti le disposizioni convenzionali ed a creare, così, un sistema di garanzie dei diritti fondamentali a livello europeo, che va ben al di là del significato letterale di tali diritti come proclamati nel testo della Convenzione . Attraverso la “porta” dell’art. 117, comma 1, Cost la CEDU entra, ora, nel nostro sistema, non solo in quanto testo normativo sovranazionale, ma anche in quanto complesso di “diritto vivente”, frutto dell’elaborazione originale del giudice europeo in tema di diritti fondamentali, cui diventa necessario conformare la lettura delle fonti normative nazionali. La Corte costituzionale diventa protagonista di un controllo di “convenzionalità” della norma nazionale rispetto a tale complesso sistema formato dalle disposizioni della Convenzione e dalla loro elaborazione originale e creativa ad opera della Corte europea . Accanto a tale controllo accentrato in sede costituzionale, resta, però, in capo ai giudici comuni nazionali il potere-dovere d’interpretare, nella decisione delle singole controversie loro devolute, le norme interne in conformità alle disposizioni CEDU ed all’elaborazione di queste da parte della Corte europea . I giudici nazionali sono, infatti, i primi organi giurisdizionali incaricati, ai sensi dell’art. 13 CEDU, di assicurare un ricorso effettivo contro le violazioni dei diritti e delle libertà tutelate dalla Convenzione; essi sono chiamati a decidere le controversie loro devolute in base alle norme della Convenzione stessa, non solo come queste risultano dal dato testuale, ma come scaturiscono dall’opera interpretativa della Corte europea. Fondamentale, diventa, dunque il loro ruolo di primi “guardiani” della Convenzione nel sistema giurisdizionale di diritto interno. È all’analisi di tale ruolo che si dedica il presente contributo, concentrandosi in particolare sulle posizioni assunte dal giudice amministrativo, e in particolare dal Consiglio di Stato, per la giurisprudenza amministrativa. Obiettivo è quello di evidenziare alcune recenti posizioni del supremo consesso amministrativo, dalle quali sembra apparire chiaro come il nuovo approccio costituzionale alla CEDU sembra destinato ad incrementare l’attitudine degli stessi giudici ad attuare le garanzie convenzionali, considerando altresì la necessità di riferirsi alla giurisprudenza di Strasburgo come elemento chiave per giungere alla decisione dei casi oggetto di giudizio. L’analisi giurisprudenziale mostra un sempre più consistente numero di decisioni del supremo giudice amministrativo nelle quali la Convenzione comincia ad essere presa in considerazione quale fonte necessaria ad orientare la soluzione del caso oggetto di giudizio. Fra queste decisioni, alcune si pongono direttamente sulla scia della sentenza n. 349 del 2007, recependone totalmente le posizioni in tema di occupazione acquisitiva, altre si riferiscono all’art. 117, comma 1, Cost. nella nuova lettura offerta dal giudice costituzionale, altre ancora interpretano le garanzie salvaguardate dalla Convenzione applicandole alle fattispecie concrete. Accanto a tali nuove posizioni, permane, tuttavia, ancora negli orientamenti del Consiglio di Stato, una posizione di retrovia che spinge il giudice amministrativo ad un approccio più tradizionale con la CEDU, ove invocata esclusivamente come ulteriore argomento rafforzativo o mera clausola di stile che accompagna soluzioni decise sulla sola base del diritto nazionale, o ancora induce lo stesso giudice a riferirsi alla CEDU in modo erroneo, fraintendendo il suo ruolo nel sistema delle fonti interne o addirittura assimilandola al diritto derivante dell’ordinamento comunitario.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.