Nel complesso reticolo di obblighi e di opportunità fornito dalla cultura l’individuo deve trovare il proprio specifico modo di esprimersi. L’ambiente culturale in cui esso è inserito traccia le regole, ma apre anche spazi di creatività. Tim Ingold assegna alle persone “un ruolo attivo all’origine dell’ordine sociale, invece di relegarle allo statuto di veicoli passivi della replicazione di un programma scritto nei materiali dell’eredità oppure della tradizione” (Ingold 2004, p. 101). Bourdieu parla di gioco e dunque di attore sociale come giocatore impegnato in una partita di invenzione permanente. La festa, così come il gioco, pur con margini più o meno ampi di libertà e improvvisazione, è regolata da norme che riaffermano l’ordine e i vincoli sociali. Paolo Toschi, nel suo fondamentale volume sulle origini del teatro italiano, sottolinea il “bisogno di festa” delle società umane per “rinnovarsi ad ogni ritorno del ciclo naturale delle stagioni. Rinnovarsi, prima eliminando tutto il grave cumulo del male addensatosi durante l’anno che muore [...]; poi preassicurandosi con tutti i mezzi che le diverse concezioni magiche e religiose le suggeriscono, un felice svolgimento e rendimento della nuova fase che si apre” (Toschi 1976, p. 8). Il tempo ciclico delle feste è quello del continuo ritorno, del rinnovamento, della rigenerazione. È nella continuità dell’atto che si inserisce l’elemento creativo della rinascita. Come scrive Vittorio Lanternari, la festa è “lo specchio e la risposta data dall’uomo alla propria condizione di precarietà” (Lanternari 1959, p. 25). Per rispondere al senso di precarietà, di rischio, di crisi l’uomo ricorre alla creatività del mito e quindi del rito e della festa. Nel gioco della rappresentazione, ogni attore agisce all’interno di una precisa strategia di sopravvivenza, ma anche di accumulo di “capitale simbolico” come il riconoscimento e il prestigio sociale. Il bisogno di festa, dunque, allenta la tensione sociale e oggi, sempre più, coincide con il bisogno di comunità, dato che la crisi più profonda appare essere proprio quella della socialità. La festa dà nuova centralità agli individui, li mette in contatto fisico, li porge all’attenzione degli altri; tutti gli elementi del rito festivo portano all’incontro, allo scambio, al contatto: il cibo, le danze, le sfilate e processioni, gli abiti e le acconciature, i gesti, le movenze e le posture, gli sguardi. Donne e uomini, giovani, adulti e anziani mangiano insieme, danzano, si stringono in un’unica folla festante, acclamano e cantano, si sentono comunità. Nell’idea stessa del contatto, c’è creatività. La creatività della tradizione vive a dispetto di tutti quelli che ne preannunciano, di decennio in decennio, la fine e la dissoluzione.
La creatività della tradizione. Un esempio etnografico in area alpina
PORCELLANA, Valentina
2009-01-01
Abstract
Nel complesso reticolo di obblighi e di opportunità fornito dalla cultura l’individuo deve trovare il proprio specifico modo di esprimersi. L’ambiente culturale in cui esso è inserito traccia le regole, ma apre anche spazi di creatività. Tim Ingold assegna alle persone “un ruolo attivo all’origine dell’ordine sociale, invece di relegarle allo statuto di veicoli passivi della replicazione di un programma scritto nei materiali dell’eredità oppure della tradizione” (Ingold 2004, p. 101). Bourdieu parla di gioco e dunque di attore sociale come giocatore impegnato in una partita di invenzione permanente. La festa, così come il gioco, pur con margini più o meno ampi di libertà e improvvisazione, è regolata da norme che riaffermano l’ordine e i vincoli sociali. Paolo Toschi, nel suo fondamentale volume sulle origini del teatro italiano, sottolinea il “bisogno di festa” delle società umane per “rinnovarsi ad ogni ritorno del ciclo naturale delle stagioni. Rinnovarsi, prima eliminando tutto il grave cumulo del male addensatosi durante l’anno che muore [...]; poi preassicurandosi con tutti i mezzi che le diverse concezioni magiche e religiose le suggeriscono, un felice svolgimento e rendimento della nuova fase che si apre” (Toschi 1976, p. 8). Il tempo ciclico delle feste è quello del continuo ritorno, del rinnovamento, della rigenerazione. È nella continuità dell’atto che si inserisce l’elemento creativo della rinascita. Come scrive Vittorio Lanternari, la festa è “lo specchio e la risposta data dall’uomo alla propria condizione di precarietà” (Lanternari 1959, p. 25). Per rispondere al senso di precarietà, di rischio, di crisi l’uomo ricorre alla creatività del mito e quindi del rito e della festa. Nel gioco della rappresentazione, ogni attore agisce all’interno di una precisa strategia di sopravvivenza, ma anche di accumulo di “capitale simbolico” come il riconoscimento e il prestigio sociale. Il bisogno di festa, dunque, allenta la tensione sociale e oggi, sempre più, coincide con il bisogno di comunità, dato che la crisi più profonda appare essere proprio quella della socialità. La festa dà nuova centralità agli individui, li mette in contatto fisico, li porge all’attenzione degli altri; tutti gli elementi del rito festivo portano all’incontro, allo scambio, al contatto: il cibo, le danze, le sfilate e processioni, gli abiti e le acconciature, i gesti, le movenze e le posture, gli sguardi. Donne e uomini, giovani, adulti e anziani mangiano insieme, danzano, si stringono in un’unica folla festante, acclamano e cantano, si sentono comunità. Nell’idea stessa del contatto, c’è creatività. La creatività della tradizione vive a dispetto di tutti quelli che ne preannunciano, di decennio in decennio, la fine e la dissoluzione.File | Dimensione | Formato | |
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