L’armonizzazione transfrontaliera del diritto contrattuale sta imponendo una rivisitazione del problema traslativo: mentre i codici nazionali l’hanno affrontato per mezzo di norme organiche e tendenzialmente esaustive, i recenti testi e progetti di diritto internazional-privato uniforme prediligono l’«approccio funzionale». Anziché badare alla circolazione dei diritti, essi scindono e regolano separatamente i quesìti di maggiore urgenza pratica (in primo luogo il passaggio del rischio e la consegna del bene). Un pragmatismo che non sempre garantisce coerenza, ma tenta almeno d’arginare la diaspora dei diritti locali. Finora la materia immobiliare è rimasta al riparo dal funzionalismo post-moderno, e continua a presentare regole di tipo consolidato. Nel diritto italiano il consenso traslativo sembra dominare la scena; e tuttavia, ad un’analisi più profonda e trasversale, esso appare sempre più una regola-modello, utile a contrassegnare il sistema da un punto di vista culturale, ma non ad offrire soluzioni stabili ed onnicomprensive. A ben vedere la sua tormentata evoluzione storica ed il suo contrastato operare nel diritto vigente ne fanno quasi un «retroscena». E al di là di tutti i suoi limiti interni ed esterni – si pensi soltanto agli artt. 2644, 1380, 1155, 1265, comma 1°, e 2470, comma 3°, c.c. – colpisce l’enorme espansione della contrattazione preliminare, tratto ormai saliente nella circolazione degli immobili. Vero è che il massiccio ricorso al preliminare non rappresenterebbe ancora la negazione del consensualismo – il definitivo soggiace pur sempre all’art. 1376 c.c. –, vero è anche però che nella prassi il definitivo non è pressoché mai l’unico atto stipulato dalle parti, ed anzi diviene l’anello terminale di una catena che incontra altrove il suo fulcro. I privati reiterano i momenti dell’accordo, ed anzi riportano il cuore del procedimento ad uno stadio arretrato e piuttosto lontano dal naturale epilogo del rogito notarile. Quando la catena si chiude, essi hanno già manifestato altrove il loro consenso, ben prima che l’accordo finale produca il risultato atteso; un’ennesima dimostrazione di subalternità del consensualismo traslativo. Perché non riscoprire allora la lezione romano-comune, che proprio sulla dualità di «titulus» e «modus adquirendi» ha basato il trasferimento della proprietà? Proprio questa sembra essere, non a caso, la direzione prescelta dagli artt. VIII.-2:101 ss. «Draft Common Frame of Reference» (DCFR), il maggior «restatement» del diritto contrattuale europeo.
Contrattazione immobiliare e trasferimento della proprietà. I princìpi generali
FERRANTE, Edoardo
2013-01-01
Abstract
L’armonizzazione transfrontaliera del diritto contrattuale sta imponendo una rivisitazione del problema traslativo: mentre i codici nazionali l’hanno affrontato per mezzo di norme organiche e tendenzialmente esaustive, i recenti testi e progetti di diritto internazional-privato uniforme prediligono l’«approccio funzionale». Anziché badare alla circolazione dei diritti, essi scindono e regolano separatamente i quesìti di maggiore urgenza pratica (in primo luogo il passaggio del rischio e la consegna del bene). Un pragmatismo che non sempre garantisce coerenza, ma tenta almeno d’arginare la diaspora dei diritti locali. Finora la materia immobiliare è rimasta al riparo dal funzionalismo post-moderno, e continua a presentare regole di tipo consolidato. Nel diritto italiano il consenso traslativo sembra dominare la scena; e tuttavia, ad un’analisi più profonda e trasversale, esso appare sempre più una regola-modello, utile a contrassegnare il sistema da un punto di vista culturale, ma non ad offrire soluzioni stabili ed onnicomprensive. A ben vedere la sua tormentata evoluzione storica ed il suo contrastato operare nel diritto vigente ne fanno quasi un «retroscena». E al di là di tutti i suoi limiti interni ed esterni – si pensi soltanto agli artt. 2644, 1380, 1155, 1265, comma 1°, e 2470, comma 3°, c.c. – colpisce l’enorme espansione della contrattazione preliminare, tratto ormai saliente nella circolazione degli immobili. Vero è che il massiccio ricorso al preliminare non rappresenterebbe ancora la negazione del consensualismo – il definitivo soggiace pur sempre all’art. 1376 c.c. –, vero è anche però che nella prassi il definitivo non è pressoché mai l’unico atto stipulato dalle parti, ed anzi diviene l’anello terminale di una catena che incontra altrove il suo fulcro. I privati reiterano i momenti dell’accordo, ed anzi riportano il cuore del procedimento ad uno stadio arretrato e piuttosto lontano dal naturale epilogo del rogito notarile. Quando la catena si chiude, essi hanno già manifestato altrove il loro consenso, ben prima che l’accordo finale produca il risultato atteso; un’ennesima dimostrazione di subalternità del consensualismo traslativo. Perché non riscoprire allora la lezione romano-comune, che proprio sulla dualità di «titulus» e «modus adquirendi» ha basato il trasferimento della proprietà? Proprio questa sembra essere, non a caso, la direzione prescelta dagli artt. VIII.-2:101 ss. «Draft Common Frame of Reference» (DCFR), il maggior «restatement» del diritto contrattuale europeo.File | Dimensione | Formato | |
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