Nel corso del XX secolo la storiografia dell’alpinismo è stata percorsa da un dibattito – a tratti acceso, a tratti solo apparentemente sopito, e non di rado intriso di nazionalismo – tra i sostenitori di un modello “esogeno” della nascita dell’alpinismo e i sostenitori di un modello “endogeno”. Per i primi, i pionieri dell’esplorazione delle regioni più alte delle Alpi sarebbero venuti dall’esterno, mancando alle popolazioni di montagna la curiosità e l’intraprendenza necessarie per spingersi verso l’alto. Per i secondi, il primato andrebbe invece riconosciuto all’ardimento dei montanari, come emblematicamente dimostrato dalla spedizione gressonara del 1778 alla Roccia della Scoperta, che aveva portato a conseguire «un primato d’altezza mai toccato da piede umano» otto anni prima della conquista del Monte Bianco. Pur nella loro diversità, i due modelli condividono tuttavia una visione della società alpina che è stata fortemente messa in dubbio dalla storiografia degli ultimi due decenni e si fondano su una contrapposizione almeno in parte artificiosa tra città e montagna. La questione richiede di essere riconsiderata alla luce di questi sviluppi storiografici. Studiare le origini del Club Alpino Italiano, e in particolare del CAI valsesiano, approfittando della ricorrenza di una serie di anniversari significativi (primo tra tutti il 150° anniversario dell’Unità italiana) offre possibilità di indagine che è doveroso non perdere, soprattutto per ripensare il delicato problema della continuità e del mutamento. Risulta utile a questo fine l’invito recente di Pietro Crivellaro a superare le teorie “creazioniste” (alpinismo come creazione ex nihilo da parte di stranieri o comunque non montanari) in favore di un “evoluzionismo” che fa emergere complesse interazioni tra interno e esterno. Una ricostruzione delle prime vicende dell’alpinismo in Valsesia può portare un contributo significativo a una storia “evoluzionista” dell’alpinismo, che in Valsesia – come altrove – diventa italiano dopo il 1861, ma certo esisteva già prima dell’Unità. Occorre anche avere cura di non vedere come varallese (o solo varallese) la spinta che portò alla nascita e al consolidamento dell’alpinismo in Valsesia, così da non riprodurre su scala valsesiana la contrapposizione tra città e campagna che tante critiche ha suscitato. I padri fondatori dell’alpinismo valsesiano sono in buona parte intellettuali che non vivono a Varallo, ma ad Alagna o in altre località dell’alta valle, o magari a Torino, connettendo la loro piccola patria con la cultura europea.

Storia e storiografia dell'alpinismo in Valsesia. Continuità e mutamento

VIAZZO, Piero
2013-01-01

Abstract

Nel corso del XX secolo la storiografia dell’alpinismo è stata percorsa da un dibattito – a tratti acceso, a tratti solo apparentemente sopito, e non di rado intriso di nazionalismo – tra i sostenitori di un modello “esogeno” della nascita dell’alpinismo e i sostenitori di un modello “endogeno”. Per i primi, i pionieri dell’esplorazione delle regioni più alte delle Alpi sarebbero venuti dall’esterno, mancando alle popolazioni di montagna la curiosità e l’intraprendenza necessarie per spingersi verso l’alto. Per i secondi, il primato andrebbe invece riconosciuto all’ardimento dei montanari, come emblematicamente dimostrato dalla spedizione gressonara del 1778 alla Roccia della Scoperta, che aveva portato a conseguire «un primato d’altezza mai toccato da piede umano» otto anni prima della conquista del Monte Bianco. Pur nella loro diversità, i due modelli condividono tuttavia una visione della società alpina che è stata fortemente messa in dubbio dalla storiografia degli ultimi due decenni e si fondano su una contrapposizione almeno in parte artificiosa tra città e montagna. La questione richiede di essere riconsiderata alla luce di questi sviluppi storiografici. Studiare le origini del Club Alpino Italiano, e in particolare del CAI valsesiano, approfittando della ricorrenza di una serie di anniversari significativi (primo tra tutti il 150° anniversario dell’Unità italiana) offre possibilità di indagine che è doveroso non perdere, soprattutto per ripensare il delicato problema della continuità e del mutamento. Risulta utile a questo fine l’invito recente di Pietro Crivellaro a superare le teorie “creazioniste” (alpinismo come creazione ex nihilo da parte di stranieri o comunque non montanari) in favore di un “evoluzionismo” che fa emergere complesse interazioni tra interno e esterno. Una ricostruzione delle prime vicende dell’alpinismo in Valsesia può portare un contributo significativo a una storia “evoluzionista” dell’alpinismo, che in Valsesia – come altrove – diventa italiano dopo il 1861, ma certo esisteva già prima dell’Unità. Occorre anche avere cura di non vedere come varallese (o solo varallese) la spinta che portò alla nascita e al consolidamento dell’alpinismo in Valsesia, così da non riprodurre su scala valsesiana la contrapposizione tra città e campagna che tante critiche ha suscitato. I padri fondatori dell’alpinismo valsesiano sono in buona parte intellettuali che non vivono a Varallo, ma ad Alagna o in altre località dell’alta valle, o magari a Torino, connettendo la loro piccola patria con la cultura europea.
2013
Alle origini del Club Alpino. Un progetto integrato di politica, progresso e montagna
Edizioni Zeisciu Centro Sudi
23
37
9788887405385
storia dell'alpinismo; Valsesia; Storia Club Alpino Italiano
Pier Paolo, Viazzo
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/143231
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact