Due opposte narrazioni hanno accompagnato sin dall’inizio il processo d’integrazione europea: la prima elevandolo a mito, la seconda squalificandolo come complotto. Se la storiografia è unanime nell’individuare i primi passi del processo d’integrazione europea in alcuni avvenimenti politici verificatisi alla fine del secondo conflitto mondiale, essa è tuttavia divisa rispetto all’interpretazione di quegli stessi avvenimenti: i primi passi che hanno condotto agli sviluppi successivi dell’integrazione europea devono essere imputati, in generale, all’implementazione, al termine del secondo conflitto mondiale, delle pur diverse ideologie europeiste che, spesso meditate nel clima culturale della resistenza antifascista, nelle carceri e nei confini, si proponevano finanche l’eliminazione degli stati nazionali, considerati responsabili di aver trascinato i popoli nel disastro dei totalitarismi prima, e della guerra poi, al fine di realizzare una vera e propria federazione degli europei, immaginata come una nuova convivenza sociale fondata su nuovi valori comuni; oppure quegli stessi passi devono essere imputati ai calcoli strategici degli stati nazionali in quel particolare frangente storico in cui gli obiettivi principali erano rivolti a trarre i maggiori vantaggi nella ricostruzione delle economie nazionali, a scongiurare il risorgere della potenza tedesca, a gestire l’occupazione dell’URSS vittoriosa in Europa e in Asia dopo la rottura dell’alleanza anti-hitleriana, a ricompattare il fronte della guerra fredda, se non a costituire una terza potenza mondiale durante gli anni di quella guerra? L’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OECE), istituita nel 1948 al fine di amministrare congiuntamente la distribuzione degli aiuti americani del Piano Marshall per la ricostruzione, è da considerarsi la prima embrionale organizzazione sovranazionale europea, che nella logica funzionalista avrebbe condotto a un’integrazione sempre maggiore tra i popoli europei, oppure il primo sintomo di nuovi legami geopolitici strategici tra i paesi dell’Europa occidentale, compresa l’Italia, che con il voto del 18 aprile sciolse ogni dubbio sulla sua scelta di campo? La proposta di cooperazione economica franco-tedesca avanzata in ambiente francese, grazie soprattutto all’impulso di Jean Monnet, era finalizzata a ridare centralità strategica al ruolo di un decadente impero coloniale, sempre più isolato di fronte all’alleanza anglo-americana antisovietica e desideroso di controllare l’industria carbo-siderurgica tedesca, o era la sincera espressione delle convinzioni europeiste, raccolte formalmente nella Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, secondo le quali i rapporti interstatali non avrebbero più potuto essere gestiti nelle forme dominanti prima della guerra? Queste opposte narrazioni hanno poi accompagnato sistematicamente la descrizione di tutte le tappe fondamentali del successivo processo d’integrazione europea: infatti se la storiografia è unanime nel considerare cruciali, per il processo d’integrazione europea, il 1993, ossia l’anno in cui è entrato in vigore il Trattato di Maastricht, istitutivo dell’Unione europea, nonché il biennio 2004-2005, che segna contemporaneamente il tentativo e il fallimento del «Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa», essa è di nuovo profondamente divisa in ordine all’interpretazione dei significati, dei contenuti e degli effetti di queste ulteriori tappe del processo d’integrazione europea.

Il processo d'integrazione europea

MASSA PINTO, Ilenia
2015-01-01

Abstract

Due opposte narrazioni hanno accompagnato sin dall’inizio il processo d’integrazione europea: la prima elevandolo a mito, la seconda squalificandolo come complotto. Se la storiografia è unanime nell’individuare i primi passi del processo d’integrazione europea in alcuni avvenimenti politici verificatisi alla fine del secondo conflitto mondiale, essa è tuttavia divisa rispetto all’interpretazione di quegli stessi avvenimenti: i primi passi che hanno condotto agli sviluppi successivi dell’integrazione europea devono essere imputati, in generale, all’implementazione, al termine del secondo conflitto mondiale, delle pur diverse ideologie europeiste che, spesso meditate nel clima culturale della resistenza antifascista, nelle carceri e nei confini, si proponevano finanche l’eliminazione degli stati nazionali, considerati responsabili di aver trascinato i popoli nel disastro dei totalitarismi prima, e della guerra poi, al fine di realizzare una vera e propria federazione degli europei, immaginata come una nuova convivenza sociale fondata su nuovi valori comuni; oppure quegli stessi passi devono essere imputati ai calcoli strategici degli stati nazionali in quel particolare frangente storico in cui gli obiettivi principali erano rivolti a trarre i maggiori vantaggi nella ricostruzione delle economie nazionali, a scongiurare il risorgere della potenza tedesca, a gestire l’occupazione dell’URSS vittoriosa in Europa e in Asia dopo la rottura dell’alleanza anti-hitleriana, a ricompattare il fronte della guerra fredda, se non a costituire una terza potenza mondiale durante gli anni di quella guerra? L’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OECE), istituita nel 1948 al fine di amministrare congiuntamente la distribuzione degli aiuti americani del Piano Marshall per la ricostruzione, è da considerarsi la prima embrionale organizzazione sovranazionale europea, che nella logica funzionalista avrebbe condotto a un’integrazione sempre maggiore tra i popoli europei, oppure il primo sintomo di nuovi legami geopolitici strategici tra i paesi dell’Europa occidentale, compresa l’Italia, che con il voto del 18 aprile sciolse ogni dubbio sulla sua scelta di campo? La proposta di cooperazione economica franco-tedesca avanzata in ambiente francese, grazie soprattutto all’impulso di Jean Monnet, era finalizzata a ridare centralità strategica al ruolo di un decadente impero coloniale, sempre più isolato di fronte all’alleanza anglo-americana antisovietica e desideroso di controllare l’industria carbo-siderurgica tedesca, o era la sincera espressione delle convinzioni europeiste, raccolte formalmente nella Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, secondo le quali i rapporti interstatali non avrebbero più potuto essere gestiti nelle forme dominanti prima della guerra? Queste opposte narrazioni hanno poi accompagnato sistematicamente la descrizione di tutte le tappe fondamentali del successivo processo d’integrazione europea: infatti se la storiografia è unanime nel considerare cruciali, per il processo d’integrazione europea, il 1993, ossia l’anno in cui è entrato in vigore il Trattato di Maastricht, istitutivo dell’Unione europea, nonché il biennio 2004-2005, che segna contemporaneamente il tentativo e il fallimento del «Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa», essa è di nuovo profondamente divisa in ordine all’interpretazione dei significati, dei contenuti e degli effetti di queste ulteriori tappe del processo d’integrazione europea.
2015
Interpreti e interpretazioni della Costituzione. La Repubblica italiana 1993-2013
Il Mulino
471
512
9788815247032
tappe integrazione europea, costituzione europea
Ilenia Massa Pinto
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1523172
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