Il lavoro intende soffermarsi su uno dei principali autori della filosofia medievale, Pietro Abelardo, e riproporne l’importanza delle tematiche morali che coinvolgono aspetti non solo dell’antropologia, ma anche dell’ontologia, non ancora studiati a fondo. Alla lue di tale rivalutazione e riproposta dell’opera abelardiana, lo studio intende assumere come oggetto formale un’etica della relazione basata due misure: una oggettiva, Dio e la sua volontà, e una soggettiva, l’uomo e la sua coscienza. Spesso gli studi sul pensiero morale di Abelardo hanno insistito solo una delle due misure concependo così la riflessione abelardiana come “sospesa” tra due poli, i quali sono contradditori se assunti separatamente: il polo di una morale soggettivistica, in cui il giudizio di coscienza chiude a istanze puramente arbitrarie; e il polo di una morale a carattere totalmente religioso, tale da escludere un interesse per il pensiero filosofico che si interroga sulla felicità. Solo la categoria di relazione, concepita alla luce della rivelazione trinitaria su cui Abelardo eserciterà incessantemente il suo pensiero, può evitare tale rischio e aprire ad un’ermeneutica che sia, allo stesso tempo, fedele al testo e attenta all’esigenze di fondo espresse dal pensiero abelardiano. In altri termini, solo la dimensione relazionale può rendere ragione dell’interiorità del singolo come luogo di ascolto e possibilità di incontro con l’Altro da sé e portare a percepire il di-fronte, l’ob-jectum, come una chiamata personale alla realizzazione di sé.
Dio, l'uomo e la felicità. La riflessione morale di Pietro Abelardo come etica della relazione.
PENNA, DAVIDE
2015-01-01
Abstract
Il lavoro intende soffermarsi su uno dei principali autori della filosofia medievale, Pietro Abelardo, e riproporne l’importanza delle tematiche morali che coinvolgono aspetti non solo dell’antropologia, ma anche dell’ontologia, non ancora studiati a fondo. Alla lue di tale rivalutazione e riproposta dell’opera abelardiana, lo studio intende assumere come oggetto formale un’etica della relazione basata due misure: una oggettiva, Dio e la sua volontà, e una soggettiva, l’uomo e la sua coscienza. Spesso gli studi sul pensiero morale di Abelardo hanno insistito solo una delle due misure concependo così la riflessione abelardiana come “sospesa” tra due poli, i quali sono contradditori se assunti separatamente: il polo di una morale soggettivistica, in cui il giudizio di coscienza chiude a istanze puramente arbitrarie; e il polo di una morale a carattere totalmente religioso, tale da escludere un interesse per il pensiero filosofico che si interroga sulla felicità. Solo la categoria di relazione, concepita alla luce della rivelazione trinitaria su cui Abelardo eserciterà incessantemente il suo pensiero, può evitare tale rischio e aprire ad un’ermeneutica che sia, allo stesso tempo, fedele al testo e attenta all’esigenze di fondo espresse dal pensiero abelardiano. In altri termini, solo la dimensione relazionale può rendere ragione dell’interiorità del singolo come luogo di ascolto e possibilità di incontro con l’Altro da sé e portare a percepire il di-fronte, l’ob-jectum, come una chiamata personale alla realizzazione di sé.File | Dimensione | Formato | |
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