“La Nigeria era come un’ingovernabile macchina di dolore e divenne il ricettacolo di tutte le mie paure e delusioni; un luogo in cui gli incubi diventavano realtà.” I genitori l’avevano costretta per tutta l’infanzia a lasciare l’Inghilterra ogni estate e tornare al villaggio nigeriano dei parenti. Nel 1995, l’impiccagione del padre Ken Saro-Wiwa, scrittore ed attivista per i diritti del popolo Ogoni contro dittatura militare e multinazionali petrolifere, condannato e giustiziato dopo un processo-farsa, è uno dei momenti più bui del fallimento post-coloniale nigeriano, e scatena un comprensibile rigetto nella figlia. Ma una quindicina di anni dopo, diventata autrice di guide turistiche, Noo Saro-Wiwa sente il bisogno di “visitare la Nigeria per conto mio, di esplorarne la vastità e di viaggiare fino a quest’ultima frontiera che con ogni probabilità ha accolto meno visitatori spontanei di tutto lo spazio cosmico.” L’iperbole si adatta bene a un paese noto per i suoi parossismi. I primi capitoli descrivono proprio la cappa viscosa dell’ex capitale Lagos, impazzita di crimine e traffico, che accoglie col suo paradossale motto CENTRO D’ECCELLENZA. L’autrice vi si getta “in uno stato di preallerta paranoica, la Visa infilata nel reggiseno e qualche banconota d’emergenza ripiegata dentro una scarpa.” Nel centro del paese, la nuova capitale Abuja è invece un modello d’ordine, ma si fonda paradossalmente sulla corruzione politica che è causa del caos nel resto della nazione. Un paradosso incarnato nelle residenze dei milionari “che come vezzo tengono sul tetto l’enorme modellino di un aereo”, o nel fatto che il dodicesimo produttore mondiale di petrolio non ha raffinerie a sufficienza: “È normale che in Nigeria manchi la benzina, e il modo di dire ‘vendere ghiaccio agli eschimesi’ qui suona così vero da risultare imbarazzante.” Ma questo libro è ben lontano dal solleticare il morboso interesse occidentale verso le assurdità, i pericoli e i cliché demoniaci del cosiddetto Terzo Mondo. Ben presto Saro-Wiwa, dalla sua prospettiva particolare di outsider nativa, ricerca e svela anche altri aspetti di questo paese che, nel bene o nel male, sorprendono per la loro ordinarietà, come nell'insolito caso del buongoverno della città di Calabar. Ci sono i luoghi della tratta degli schiavi, con relativi musei inadatti ad attrarre turismo, soprattutto quando per i lagosiani di oggi “un qualunque tragitto ammassati dentro un autobus per andare al lavoro somigliava a una mini tratta atlantica e la gente affollava gli internet café per richiedere la green card.” Nel nord musulmano, c’è la bellezza mozzafiato di Kano, travagliata dalle contraddizioni della sharia. Ancora più a nord, al confine col Niger, parchi naturali vicini al lago Ciad anch’essi abbandonati dalle istituzioni: “Ai nostri politici non interessa la manutenzione. Spesso commissionano progetti solo ed esclusivamente per intascarsi una mazzetta, e una volta realizzati subentra il declino”. Quella di Saro-Wiwa, insomma, è una Nigeria di grandi opere che suonerà non così aliena al lettore italiano. Lo stesso discorso si può fare per il potenziale turistico non messo a frutto, pur essendo in alcuni casi patrimonio UNESCO: a Jos, le statuette di terracotta della civiltà di Nok (1000 a.C.-500 d.C.); sulle montagne vicino al Camerun, Sukur, regno risalente all’età della pietra; la foresta pluviale di Afi, dove “colline e vallate ricordavano le Dales dello Yorkshire”; le misteriose statuette in pietra saponaria di Esie (XII sec. D.C.); e gli altrettanto arcani geroglifici sui monoliti di Ikom: “si ha l’impressione che la Nigeria sia stata studiata pochissimo, che sia una pagina mezza vuota pronta per essere imbrattata da chiunque abbia un programma etnico, religioso o economico”. A fronte di questo sfacelo l’autrice prova talvolta tentazioni nostalgiche verso un’ipotetica armonia pre-coloniale, così rischiando, come lei stessa sembra ammettere, di sfociare in quell’idealizzazione delle tradizioni che Wole Soyinka definisce “neo-tarzanismo”. Questo è un libro ricchissimo e pieno di sorprese per chi ama l’Africa, con riflessioni sulla questione petrolifera e ambientale, sul fenomeno cinematografico di Nollywood, e numerose digressioni storiche. Ha però il pregio di misurare tutto sulla quotidianità di chi vive la Nigeria ogni giorno, attraverso innumerevoli dialoghi con parenti, amici e persone incontrate per caso. Sono gli umori di queste voci (e l’umore altalenante della stessa Saro-Wiwa, che deve fare i conti col proprio difficile passato famigliare) ad essere messi in primo piano. Ad esempio il diffondersi capillare delle chiese evangeliche, che il padre Ken temeva in quanto “coma religioso”, ha praticamente fagocitato ogni altra espressione culturale e letteraria. Un contesto soffocante per chi come lei ha ricevuto un'educazione secolare, “ma forse non era giusto da parte mia pretendere pragmatismo da una società che ha sofferto così tanto (…) la religione anestetizza i disagi causati da pessimi trasporti, salari bassi, elezioni truccate e notti a lume di candela.”

Nigeria di grandi opere

DEANDREA, Pietro
2016-01-01

Abstract

“La Nigeria era come un’ingovernabile macchina di dolore e divenne il ricettacolo di tutte le mie paure e delusioni; un luogo in cui gli incubi diventavano realtà.” I genitori l’avevano costretta per tutta l’infanzia a lasciare l’Inghilterra ogni estate e tornare al villaggio nigeriano dei parenti. Nel 1995, l’impiccagione del padre Ken Saro-Wiwa, scrittore ed attivista per i diritti del popolo Ogoni contro dittatura militare e multinazionali petrolifere, condannato e giustiziato dopo un processo-farsa, è uno dei momenti più bui del fallimento post-coloniale nigeriano, e scatena un comprensibile rigetto nella figlia. Ma una quindicina di anni dopo, diventata autrice di guide turistiche, Noo Saro-Wiwa sente il bisogno di “visitare la Nigeria per conto mio, di esplorarne la vastità e di viaggiare fino a quest’ultima frontiera che con ogni probabilità ha accolto meno visitatori spontanei di tutto lo spazio cosmico.” L’iperbole si adatta bene a un paese noto per i suoi parossismi. I primi capitoli descrivono proprio la cappa viscosa dell’ex capitale Lagos, impazzita di crimine e traffico, che accoglie col suo paradossale motto CENTRO D’ECCELLENZA. L’autrice vi si getta “in uno stato di preallerta paranoica, la Visa infilata nel reggiseno e qualche banconota d’emergenza ripiegata dentro una scarpa.” Nel centro del paese, la nuova capitale Abuja è invece un modello d’ordine, ma si fonda paradossalmente sulla corruzione politica che è causa del caos nel resto della nazione. Un paradosso incarnato nelle residenze dei milionari “che come vezzo tengono sul tetto l’enorme modellino di un aereo”, o nel fatto che il dodicesimo produttore mondiale di petrolio non ha raffinerie a sufficienza: “È normale che in Nigeria manchi la benzina, e il modo di dire ‘vendere ghiaccio agli eschimesi’ qui suona così vero da risultare imbarazzante.” Ma questo libro è ben lontano dal solleticare il morboso interesse occidentale verso le assurdità, i pericoli e i cliché demoniaci del cosiddetto Terzo Mondo. Ben presto Saro-Wiwa, dalla sua prospettiva particolare di outsider nativa, ricerca e svela anche altri aspetti di questo paese che, nel bene o nel male, sorprendono per la loro ordinarietà, come nell'insolito caso del buongoverno della città di Calabar. Ci sono i luoghi della tratta degli schiavi, con relativi musei inadatti ad attrarre turismo, soprattutto quando per i lagosiani di oggi “un qualunque tragitto ammassati dentro un autobus per andare al lavoro somigliava a una mini tratta atlantica e la gente affollava gli internet café per richiedere la green card.” Nel nord musulmano, c’è la bellezza mozzafiato di Kano, travagliata dalle contraddizioni della sharia. Ancora più a nord, al confine col Niger, parchi naturali vicini al lago Ciad anch’essi abbandonati dalle istituzioni: “Ai nostri politici non interessa la manutenzione. Spesso commissionano progetti solo ed esclusivamente per intascarsi una mazzetta, e una volta realizzati subentra il declino”. Quella di Saro-Wiwa, insomma, è una Nigeria di grandi opere che suonerà non così aliena al lettore italiano. Lo stesso discorso si può fare per il potenziale turistico non messo a frutto, pur essendo in alcuni casi patrimonio UNESCO: a Jos, le statuette di terracotta della civiltà di Nok (1000 a.C.-500 d.C.); sulle montagne vicino al Camerun, Sukur, regno risalente all’età della pietra; la foresta pluviale di Afi, dove “colline e vallate ricordavano le Dales dello Yorkshire”; le misteriose statuette in pietra saponaria di Esie (XII sec. D.C.); e gli altrettanto arcani geroglifici sui monoliti di Ikom: “si ha l’impressione che la Nigeria sia stata studiata pochissimo, che sia una pagina mezza vuota pronta per essere imbrattata da chiunque abbia un programma etnico, religioso o economico”. A fronte di questo sfacelo l’autrice prova talvolta tentazioni nostalgiche verso un’ipotetica armonia pre-coloniale, così rischiando, come lei stessa sembra ammettere, di sfociare in quell’idealizzazione delle tradizioni che Wole Soyinka definisce “neo-tarzanismo”. Questo è un libro ricchissimo e pieno di sorprese per chi ama l’Africa, con riflessioni sulla questione petrolifera e ambientale, sul fenomeno cinematografico di Nollywood, e numerose digressioni storiche. Ha però il pregio di misurare tutto sulla quotidianità di chi vive la Nigeria ogni giorno, attraverso innumerevoli dialoghi con parenti, amici e persone incontrate per caso. Sono gli umori di queste voci (e l’umore altalenante della stessa Saro-Wiwa, che deve fare i conti col proprio difficile passato famigliare) ad essere messi in primo piano. Ad esempio il diffondersi capillare delle chiese evangeliche, che il padre Ken temeva in quanto “coma religioso”, ha praticamente fagocitato ogni altra espressione culturale e letteraria. Un contesto soffocante per chi come lei ha ricevuto un'educazione secolare, “ma forse non era giusto da parte mia pretendere pragmatismo da una società che ha sofferto così tanto (…) la religione anestetizza i disagi causati da pessimi trasporti, salari bassi, elezioni truccate e notti a lume di candela.”
2016
xxxiii
2
21
21
www.lindiceonline.com
Nigeria, letteratura africana anglofona, Saro-Wiwa, letteratura di viaggio
P. Deandrea
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
DeandreaNooSaroWiwa.docx

Accesso riservato

Tipo di file: PREPRINT (PRIMA BOZZA)
Dimensione 9.75 kB
Formato Microsoft Word XML
9.75 kB Microsoft Word XML   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1556762
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact