“A milioni vengono recintati, / concentrati dietro il filo spinato. / Cerco scampo, / mi rattrappisco in un cunicolo / fino al gelo / del sudore dell’alba.” In questo incubo si può intravvedere l’esperienza dell’autore come analista junghiano, già brillantemente emersa nel saggio L’invenzione del cavallo: Storia di Alex (Bollati Boringhieri 1999; cf. Indice marzo 2000, n. 3, p. 31). Ma si tratta solo uno dei tanti volti di Oliva: docente di Letteratura Inglese e saggista, autore di sceneggiati radiofonici e adesso anche di poesia, con questa raccolta finalista al Premio Internazionale Mario Luzi. Il verso di Oliva colpisce per le sue linee chiare e nitide ma allo stesso tempo di una semplicità suggestiva, talvolta angosciante: come in un De Chirico, emerge spesso “il mondo diventato / Un’eco di lontani / Iceberg che si schiantano.” Alla maniera di Beckett, una delle sue grandi passioni critiche, Oliva scava la lingua alla ricerca della polisemia nella parola nuda e scarna. I quaderni che compongono questo volume sono quattro. Il primo (“Il buon amore, il malamore”) presenta una voce cupa, non rasserenata dall’età: “Ancora piangiamo e cantiamo, / scalciamo sotto le lenzuola. / (…) / Le nostre non sono rughe di saggezza”. Anche nel secondo quaderno, “Il canto dello sciamano”, i ricordi sono fonte di inquietudine, e “Piangono / Come bambini perduti / Come vecchi dimenticati // Così ogni giorno muoio, muori // Non si finisce mai di finire.” Gli “Esercizi di storia e geografia” del terzo quaderno gettano uno sguardo altrettanto amaro, talvolta caustico, su luoghi ed eventi; il milite ignoto della Grande Guerra è “noto a Dio”, come recita la lapide, ma lo “stesso dio che ti lasciò falciare / A vent’anni / Lascia i tuoi coetanei cazzeggiare /Tra twitter facebook e smartphone. “ Oliva mantiene un difficile equilibrio tra pathos e antilirismo beffardo à la Valentino Zeichen; il concerto del capodanno viennese ospita l’emiro del Qatar (“Il petrolio / si compra anche la musica?”) e si conclude con la solita marcia: “Il pubblico / batte le mani a tempo. // Radetzky era un fucilatore. / Uno dei tanti. / Prosit.” Nel trittico intitolato “Partigia”, invece, c’è una lettera al compagno di brigata che ha perso il figlio per un cancro: “Gli ho scritto che è morto nella guerra / Che abbiamo dichiarato alla natura / Che facciamo agli elementi. / Li avveleniamo / Li invadiamo ogni giorno / E loro resistono, ci attaccano / Perché siamo invasori. / È la loro Resistenza.” Nel conclusivo quarto quaderno, “I vivi e i morti”, riaffiorano dal passato personaggi struggenti come la figura della madre: “Questo sigillo mi lasciasti / Del nostro non amore / Questa lieve distanza dalle cose / Quest’aria troppo vuota che divide.”

Iceberg che si schiantano

DEANDREA, Pietro
2016-01-01

Abstract

“A milioni vengono recintati, / concentrati dietro il filo spinato. / Cerco scampo, / mi rattrappisco in un cunicolo / fino al gelo / del sudore dell’alba.” In questo incubo si può intravvedere l’esperienza dell’autore come analista junghiano, già brillantemente emersa nel saggio L’invenzione del cavallo: Storia di Alex (Bollati Boringhieri 1999; cf. Indice marzo 2000, n. 3, p. 31). Ma si tratta solo uno dei tanti volti di Oliva: docente di Letteratura Inglese e saggista, autore di sceneggiati radiofonici e adesso anche di poesia, con questa raccolta finalista al Premio Internazionale Mario Luzi. Il verso di Oliva colpisce per le sue linee chiare e nitide ma allo stesso tempo di una semplicità suggestiva, talvolta angosciante: come in un De Chirico, emerge spesso “il mondo diventato / Un’eco di lontani / Iceberg che si schiantano.” Alla maniera di Beckett, una delle sue grandi passioni critiche, Oliva scava la lingua alla ricerca della polisemia nella parola nuda e scarna. I quaderni che compongono questo volume sono quattro. Il primo (“Il buon amore, il malamore”) presenta una voce cupa, non rasserenata dall’età: “Ancora piangiamo e cantiamo, / scalciamo sotto le lenzuola. / (…) / Le nostre non sono rughe di saggezza”. Anche nel secondo quaderno, “Il canto dello sciamano”, i ricordi sono fonte di inquietudine, e “Piangono / Come bambini perduti / Come vecchi dimenticati // Così ogni giorno muoio, muori // Non si finisce mai di finire.” Gli “Esercizi di storia e geografia” del terzo quaderno gettano uno sguardo altrettanto amaro, talvolta caustico, su luoghi ed eventi; il milite ignoto della Grande Guerra è “noto a Dio”, come recita la lapide, ma lo “stesso dio che ti lasciò falciare / A vent’anni / Lascia i tuoi coetanei cazzeggiare /Tra twitter facebook e smartphone. “ Oliva mantiene un difficile equilibrio tra pathos e antilirismo beffardo à la Valentino Zeichen; il concerto del capodanno viennese ospita l’emiro del Qatar (“Il petrolio / si compra anche la musica?”) e si conclude con la solita marcia: “Il pubblico / batte le mani a tempo. // Radetzky era un fucilatore. / Uno dei tanti. / Prosit.” Nel trittico intitolato “Partigia”, invece, c’è una lettera al compagno di brigata che ha perso il figlio per un cancro: “Gli ho scritto che è morto nella guerra / Che abbiamo dichiarato alla natura / Che facciamo agli elementi. / Li avveleniamo / Li invadiamo ogni giorno / E loro resistono, ci attaccano / Perché siamo invasori. / È la loro Resistenza.” Nel conclusivo quarto quaderno, “I vivi e i morti”, riaffiorano dal passato personaggi struggenti come la figura della madre: “Questo sigillo mi lasciasti / Del nostro non amore / Questa lieve distanza dalle cose / Quest’aria troppo vuota che divide.”
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Oliva, poesia italiana contemporanea, Jung
P. Deandrea
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