Questo studio riguarda i piani di conciliazione tra lavoro remunerato e vita familiare dalle coppie di immigrati dual earner in attesa del primo figlio in Italia, comparati con quelli delle coppie di genitori nati in Italia. Se tutte le donne hanno problemi di conciliazione perché sono esse stesse strumenti di conciliazione (Naldini e Saraceno 2011) ciò vale pienamente per le migranti, quando sono coinvolte nella “catena globale della cura” (Hochschild 2001). Lo status migratorio condiziona l’accesso agli interventi pubblici di sostegno alla conciliazione, inoltre le norme sull’immigrazione possono rendere nucleare la famiglia migrante (Kofman 1999) e formalizzare le asimmetrie tra capofamiglia e altri membri del nucleo familiare (Boyd e Grieco 2003). Una tensione opposta potrebbe derivare dalla necessità di mantenere due redditi, a causa del frequente inserimento lavorativo degli immigrati in Italia nei segmenti più informali e meno pagati (Ambrosini 2011). Nella famiglia transnazionale (cfr. Kraler et al. 2011) prevalgono piani di conciliazione centrati sulla coppia - sulla madre - a discapito di strategie multiple con il coinvolgimento di altri caregivers come i nonni? Il lavoro indaga i piani di divisione delle responsabilità nella coppia, i vincoli istituzionali e economici considerati, le preferenze e le risorse che i futuri genitori pensano di attivare. Per il primo anno del bambino/a sembrano prevalere piani centrati sulla famiglia nucleare e in particolare sulla madre, con il coinvolgimento occasionale di altri caregivers della stessa coorte dei genitori, o la dislocazione transazionale della cura, per chi ha i requisiti per riunire una nonna. È ridotto l’orientamento ai servizi a pagamento, per motivi di costo, e l’utilizzo dei congedi, per informalità occupazionale, esigenze finanziarie e poco potere negoziale sul lavoro (ma anche, nel caso dei padri con tutele contrattuali, preferenza che il bambino stia con la madre, o, nel caso delle madri, desiderio di rientrare presto al lavoro). Per le lavoratrici con impieghi informali, lasciare il lavoro senza indennità né garanzie di ritrovarlo dopo la nascita del figlio/a è l’unica opzione. In questi casi la dimensione dei vincoli strutturali, in particolare dovuti alla collocazione occupazionale e sociale, sembra prevalente rispetto a quella ideale. Non mancano apprezzamenti delle opportunità di cura e assistenza al percorso di gravidanza in Italia, e di socializzazione offerta dai nidi d’infanzia, nonché maggiori aspettative di coinvolgimento del padre nella cura rispetto alle famiglie di origine. La propensione a uscire dal mercato del lavoro delle migranti assume significati fortemente condizionati non solo da pratiche di genere, credenze e esperienze precedenti sui compiti della “buona madre”, ma anche dalle – ridotte - possibilità di modificare le condizioni e gli orari lavorativi e dalle attese difficoltà di accesso ai servizi. Data l’elevata instabilità occupazionale di molti mariti e compagni, il passaggio da coppie a due redditi a famiglie di tre componenti con un solo reddito può esporre a maggiore vulnerabilità socio-economica questi nuclei familiari. Le misure di conciliazione sembrano assumere che i futuri genitori siano entrambi occupati con contratti di lavoro tutelanti, bene informati e dispongano di aiuto gratuito per la cura (o di molto denaro per ricorrere al mercato). Quando queste condizioni non si realizzano, si profilano, durante la transizione alla genitorialità, rischi di time-pressure, autoriduzione degli standard di vita, minore partecipazione occupazionale delle madri e diminuzione delle risorse economiche per genitori e bambini.
Piani di conciliazione famiglia-lavoro delle coppie migranti
SANTERO, ARIANNA
2016-01-01
Abstract
Questo studio riguarda i piani di conciliazione tra lavoro remunerato e vita familiare dalle coppie di immigrati dual earner in attesa del primo figlio in Italia, comparati con quelli delle coppie di genitori nati in Italia. Se tutte le donne hanno problemi di conciliazione perché sono esse stesse strumenti di conciliazione (Naldini e Saraceno 2011) ciò vale pienamente per le migranti, quando sono coinvolte nella “catena globale della cura” (Hochschild 2001). Lo status migratorio condiziona l’accesso agli interventi pubblici di sostegno alla conciliazione, inoltre le norme sull’immigrazione possono rendere nucleare la famiglia migrante (Kofman 1999) e formalizzare le asimmetrie tra capofamiglia e altri membri del nucleo familiare (Boyd e Grieco 2003). Una tensione opposta potrebbe derivare dalla necessità di mantenere due redditi, a causa del frequente inserimento lavorativo degli immigrati in Italia nei segmenti più informali e meno pagati (Ambrosini 2011). Nella famiglia transnazionale (cfr. Kraler et al. 2011) prevalgono piani di conciliazione centrati sulla coppia - sulla madre - a discapito di strategie multiple con il coinvolgimento di altri caregivers come i nonni? Il lavoro indaga i piani di divisione delle responsabilità nella coppia, i vincoli istituzionali e economici considerati, le preferenze e le risorse che i futuri genitori pensano di attivare. Per il primo anno del bambino/a sembrano prevalere piani centrati sulla famiglia nucleare e in particolare sulla madre, con il coinvolgimento occasionale di altri caregivers della stessa coorte dei genitori, o la dislocazione transazionale della cura, per chi ha i requisiti per riunire una nonna. È ridotto l’orientamento ai servizi a pagamento, per motivi di costo, e l’utilizzo dei congedi, per informalità occupazionale, esigenze finanziarie e poco potere negoziale sul lavoro (ma anche, nel caso dei padri con tutele contrattuali, preferenza che il bambino stia con la madre, o, nel caso delle madri, desiderio di rientrare presto al lavoro). Per le lavoratrici con impieghi informali, lasciare il lavoro senza indennità né garanzie di ritrovarlo dopo la nascita del figlio/a è l’unica opzione. In questi casi la dimensione dei vincoli strutturali, in particolare dovuti alla collocazione occupazionale e sociale, sembra prevalente rispetto a quella ideale. Non mancano apprezzamenti delle opportunità di cura e assistenza al percorso di gravidanza in Italia, e di socializzazione offerta dai nidi d’infanzia, nonché maggiori aspettative di coinvolgimento del padre nella cura rispetto alle famiglie di origine. La propensione a uscire dal mercato del lavoro delle migranti assume significati fortemente condizionati non solo da pratiche di genere, credenze e esperienze precedenti sui compiti della “buona madre”, ma anche dalle – ridotte - possibilità di modificare le condizioni e gli orari lavorativi e dalle attese difficoltà di accesso ai servizi. Data l’elevata instabilità occupazionale di molti mariti e compagni, il passaggio da coppie a due redditi a famiglie di tre componenti con un solo reddito può esporre a maggiore vulnerabilità socio-economica questi nuclei familiari. Le misure di conciliazione sembrano assumere che i futuri genitori siano entrambi occupati con contratti di lavoro tutelanti, bene informati e dispongano di aiuto gratuito per la cura (o di molto denaro per ricorrere al mercato). Quando queste condizioni non si realizzano, si profilano, durante la transizione alla genitorialità, rischi di time-pressure, autoriduzione degli standard di vita, minore partecipazione occupazionale delle madri e diminuzione delle risorse economiche per genitori e bambini.File | Dimensione | Formato | |
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