Quando muore una celebrità, è inevitabile che i libri usciti immediatamente a ridosso dell’evento suscitino sospetto: trattasi di operazioni editoriali per cavalcare l’onda emotiva? Il volumetto curato da Pippo Delbono, a un primo sguardo, sembra appartenere a questa categoria, con la sua breve introduzione e una lunga serie di foto e citazioni. E invece si tratta di una bella sorpresa. Lo scritto di Delbono non è un’introduzione canonica, ma una serie di immagini ed intuizioni tanto magmatiche quanto poetiche. Bowie è descritto come il marziano in un mondo di “paurosa omologazione”, dove “stiamo attaccati in maniera morbosa a difendere i nostri mondi, i nostri confini (…) arrabbiati isterici perché questi barbari marziani entrano nei nostri argini. Rabbiosi. Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono.” Prendendo spunto dal testo di “Starman” (1972), Delbono vede in Bowie un bambino che “trova con il cuore”, che si traveste e poi si ritrova “con la pipì e la cacca addosso. E quegli escrementi ci fanno riprendere le nostre vere condizioni umane e ci fanno sentire uguali nel profondo all’ultimo degli ultimi profughi del mondo.” La lunga sezione intitolata “Parole e immagini” colpisce invece per la bellezza delle foto e l’originalità delle citazioni di e su Bowie, selezionate semplicemente in base alla loro qualità (quella conclusiva è tratta dalla Gazzetta dello Sport!). Fantastic Voyage di Donadio è uno studio poderoso e completo dei testi di Bowie, con un taglio narrativo che lo rende anche una biografia romanzata. Il libro convince ed affascina proprio perché non perde di vista entrambe le prospettive. Tutto parte dai versi delle canzoni affrontate cronologicamente, dallo “stile di storytelling lineare” dei primi album fino alle composizioni più frammentarie e poetiche, “liriche intricate e talvolta simili a dei veri e propri puzzle”, perché “Bowie, insomma, va ‘decodificato’”. Donadio ha l’indubbio pregio di porre estrema attenzione ai dettagli: non semplifica il ventaglio di possibili significati suggeriti dall’originale inglese, ma lo arricchisce con osservazioni linguistiche e lo completa con traduzioni in italiano creative, mai banali; colpiscono, ad esempio, le pagine sul possibile messaggio della famosa “Space oddity” (1969). Un LP dopo l’altro, lo studio testuale rivela anche il percorso personale dell’artista, in continui rimandi tra versi e autore: forse non si raggiunge la completezza tecnica dell’altra grande opera su Bowie, l’enciclopedico The Complete Bowie di Nicholas Pegg (2000; Arcana 2002, con vari aggiornamenti), ma sicuramente si ottiene un risultato davvero leggibile. Chi conosce Bowie si berrà queste 600 pagine d’un fiato, scoprendo molti aspetti nuovi; il neofita troverà il suo battesimo perfetto. Testi e biografia personale, poi, si rivelano spesso occasioni per allargare il discorso al contesto storico e, soprattutto, culturale, abbracciando le innumerevoli influenze, ispirazioni e intertestualità dell’opera di Bowie, spesso incarnati nell’uso di una maschera-personaggio (si veda il “Segnale” su Bowie di Pierpaolo Martino, L’indice XXXIII, 4, 2016, p. 7). Fantastic Voyage apre squarci su vaudeville, fantascienza, filosofia europea ed orientale, Burroughs e la tecnica compositiva del cut-up, arte contemporanea (inclusa la più estrema)… la lista è lunghissima. Per non parlare delle innumerevoli citazioni da 1984 di Orwell, che l’edizione aggiornata di Donadio dimostra essere una fonte di ispirazione presente fino Blackstar (2016), l’album di commiato. Tra gli esempi più riusciti, “Five years” (1972) viene letta dalla prospettiva della paura atomica e al contempo della poesia pop e surreale di Roger McGough; “Fashion” (1980), pur essendo opera di un artista trendsetter che ha curato molto la propria immagine, è presentata come una critica agli aspetti più inquietanti della moda, “una sorta di dittatura che impone le sua regole a tutti, volenti o nolenti (non per niente, la parola fashion viene pronunciata in una maniera che la fa quasi sembrare fascism)”. Il libro, comunque, evita di cadere nell’agiografia, soprattutto quando lascia emergere la polisemia dei testi senza dare troppo credito alle “spiegazioni retrospettive” dello stesso Bowie sulle sue canzoni. Inoltre non risparmia critiche caustiche per album e canzoni meno riuscite. Certo, in un volume di così ampio respiro non si può essere d’accordo su tutto. Personalmente, non capisco perché Let’s Dance (1983) non meriti più spazio di album flop come Tonight (’84) o Never Let Me Down (’87); non condivido il giudizio eccessivamente negativo sulla parentesi con la band Tin Machine, e sull’album dalle sonorità jungle Earthling (’97). E non sono ancora convinto che l’ultimo disco Blackstar sia da includere “tra i capolavori assoluti di Bowie”, benché consapevole, dopo anni di ascolto dei suoi dischi, del loro effetto a lungo termine e dello scavo carsico che operano nelle emozioni. Ma anche se ogni bowiano troverà qualcosa su cui obiettare, questo libro resta una lettura imprescindibile, impreziosito com’è da tantissimi passaggi che restano impressi, come: “Per alcuni ‘Ashes to ashes’ è l’ultima grande canzone di Bowie. Non è così. Ma è sicuramente l’ultima occasione in cui Bowie fu almeno un passetto avanti rispetto allo zeitgeist musicale prevalente. A differenza del Maggiore Tom, condannato a vagare nell’alto dei cieli, a partire da qui Bowie – con un atterraggio che il suo talento rese quanto mai soft – sarebbe tornato sulla Terra.” Il libro di Scarlini affronta Bowie da un’angolazione molto diversa, e non solo per il periodo specifico che prende in esame (quello di Ziggy Stardust, primi anni ’70). Se Donadio affronta l’opera di Bowie nelle sue molteplici sfaccettature, Scarlini si concentra sull’alieno Ziggy in quanto personaggio che scardina le categorie di genere, dichiara apertamente la propria omosessualità ed imbarazza (o esalta) la nazione il 5 luglio 1972 cantando “Starman” a Top of the Pops: “La presentazione era inequivocabile: venne molto rimarcato sulla stampa l’abbraccio stretto con Mick Ronson durante i coretti più equivoci in falsetto nella canzone.” Ziggy è anche colui che indica le nuove frontiere di moda e arti visive: “Quando i grandi ideali di palingenesi e riforma del mondo erano ormai tramontati, restavano il trucco e il parrucco, le ciglia disegnate e il gusto della provocazione”. Scarlini ignora esplicitamente i testi delle canzoni, e le pochissime citazioni che include sono talvolta imprecise. La mia sensazione è che questo suo approccio finisca per impoverire la ricchezza dell’opera di Bowie. I capitoli conclusivi del libro sono sovraccarichi di una serie di riferimenti artistici un po’ fini a se stessi, anche perché non supportati da alcun apparato iconografico. Difficile credere che sia tutta qui, “la vera natura dei sogni”. Come ebbe a dire lo stesso Bowie: “Se togli tutta la teatralità, tutti i travestimenti, e tutti gli strati da ciò che vedi, io sono uno scrittore. Ecco quel che faccio: scrivo.”

Un marziano nel mondo omologato

DEANDREA, Pietro
2016-01-01

Abstract

Quando muore una celebrità, è inevitabile che i libri usciti immediatamente a ridosso dell’evento suscitino sospetto: trattasi di operazioni editoriali per cavalcare l’onda emotiva? Il volumetto curato da Pippo Delbono, a un primo sguardo, sembra appartenere a questa categoria, con la sua breve introduzione e una lunga serie di foto e citazioni. E invece si tratta di una bella sorpresa. Lo scritto di Delbono non è un’introduzione canonica, ma una serie di immagini ed intuizioni tanto magmatiche quanto poetiche. Bowie è descritto come il marziano in un mondo di “paurosa omologazione”, dove “stiamo attaccati in maniera morbosa a difendere i nostri mondi, i nostri confini (…) arrabbiati isterici perché questi barbari marziani entrano nei nostri argini. Rabbiosi. Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono.” Prendendo spunto dal testo di “Starman” (1972), Delbono vede in Bowie un bambino che “trova con il cuore”, che si traveste e poi si ritrova “con la pipì e la cacca addosso. E quegli escrementi ci fanno riprendere le nostre vere condizioni umane e ci fanno sentire uguali nel profondo all’ultimo degli ultimi profughi del mondo.” La lunga sezione intitolata “Parole e immagini” colpisce invece per la bellezza delle foto e l’originalità delle citazioni di e su Bowie, selezionate semplicemente in base alla loro qualità (quella conclusiva è tratta dalla Gazzetta dello Sport!). Fantastic Voyage di Donadio è uno studio poderoso e completo dei testi di Bowie, con un taglio narrativo che lo rende anche una biografia romanzata. Il libro convince ed affascina proprio perché non perde di vista entrambe le prospettive. Tutto parte dai versi delle canzoni affrontate cronologicamente, dallo “stile di storytelling lineare” dei primi album fino alle composizioni più frammentarie e poetiche, “liriche intricate e talvolta simili a dei veri e propri puzzle”, perché “Bowie, insomma, va ‘decodificato’”. Donadio ha l’indubbio pregio di porre estrema attenzione ai dettagli: non semplifica il ventaglio di possibili significati suggeriti dall’originale inglese, ma lo arricchisce con osservazioni linguistiche e lo completa con traduzioni in italiano creative, mai banali; colpiscono, ad esempio, le pagine sul possibile messaggio della famosa “Space oddity” (1969). Un LP dopo l’altro, lo studio testuale rivela anche il percorso personale dell’artista, in continui rimandi tra versi e autore: forse non si raggiunge la completezza tecnica dell’altra grande opera su Bowie, l’enciclopedico The Complete Bowie di Nicholas Pegg (2000; Arcana 2002, con vari aggiornamenti), ma sicuramente si ottiene un risultato davvero leggibile. Chi conosce Bowie si berrà queste 600 pagine d’un fiato, scoprendo molti aspetti nuovi; il neofita troverà il suo battesimo perfetto. Testi e biografia personale, poi, si rivelano spesso occasioni per allargare il discorso al contesto storico e, soprattutto, culturale, abbracciando le innumerevoli influenze, ispirazioni e intertestualità dell’opera di Bowie, spesso incarnati nell’uso di una maschera-personaggio (si veda il “Segnale” su Bowie di Pierpaolo Martino, L’indice XXXIII, 4, 2016, p. 7). Fantastic Voyage apre squarci su vaudeville, fantascienza, filosofia europea ed orientale, Burroughs e la tecnica compositiva del cut-up, arte contemporanea (inclusa la più estrema)… la lista è lunghissima. Per non parlare delle innumerevoli citazioni da 1984 di Orwell, che l’edizione aggiornata di Donadio dimostra essere una fonte di ispirazione presente fino Blackstar (2016), l’album di commiato. Tra gli esempi più riusciti, “Five years” (1972) viene letta dalla prospettiva della paura atomica e al contempo della poesia pop e surreale di Roger McGough; “Fashion” (1980), pur essendo opera di un artista trendsetter che ha curato molto la propria immagine, è presentata come una critica agli aspetti più inquietanti della moda, “una sorta di dittatura che impone le sua regole a tutti, volenti o nolenti (non per niente, la parola fashion viene pronunciata in una maniera che la fa quasi sembrare fascism)”. Il libro, comunque, evita di cadere nell’agiografia, soprattutto quando lascia emergere la polisemia dei testi senza dare troppo credito alle “spiegazioni retrospettive” dello stesso Bowie sulle sue canzoni. Inoltre non risparmia critiche caustiche per album e canzoni meno riuscite. Certo, in un volume di così ampio respiro non si può essere d’accordo su tutto. Personalmente, non capisco perché Let’s Dance (1983) non meriti più spazio di album flop come Tonight (’84) o Never Let Me Down (’87); non condivido il giudizio eccessivamente negativo sulla parentesi con la band Tin Machine, e sull’album dalle sonorità jungle Earthling (’97). E non sono ancora convinto che l’ultimo disco Blackstar sia da includere “tra i capolavori assoluti di Bowie”, benché consapevole, dopo anni di ascolto dei suoi dischi, del loro effetto a lungo termine e dello scavo carsico che operano nelle emozioni. Ma anche se ogni bowiano troverà qualcosa su cui obiettare, questo libro resta una lettura imprescindibile, impreziosito com’è da tantissimi passaggi che restano impressi, come: “Per alcuni ‘Ashes to ashes’ è l’ultima grande canzone di Bowie. Non è così. Ma è sicuramente l’ultima occasione in cui Bowie fu almeno un passetto avanti rispetto allo zeitgeist musicale prevalente. A differenza del Maggiore Tom, condannato a vagare nell’alto dei cieli, a partire da qui Bowie – con un atterraggio che il suo talento rese quanto mai soft – sarebbe tornato sulla Terra.” Il libro di Scarlini affronta Bowie da un’angolazione molto diversa, e non solo per il periodo specifico che prende in esame (quello di Ziggy Stardust, primi anni ’70). Se Donadio affronta l’opera di Bowie nelle sue molteplici sfaccettature, Scarlini si concentra sull’alieno Ziggy in quanto personaggio che scardina le categorie di genere, dichiara apertamente la propria omosessualità ed imbarazza (o esalta) la nazione il 5 luglio 1972 cantando “Starman” a Top of the Pops: “La presentazione era inequivocabile: venne molto rimarcato sulla stampa l’abbraccio stretto con Mick Ronson durante i coretti più equivoci in falsetto nella canzone.” Ziggy è anche colui che indica le nuove frontiere di moda e arti visive: “Quando i grandi ideali di palingenesi e riforma del mondo erano ormai tramontati, restavano il trucco e il parrucco, le ciglia disegnate e il gusto della provocazione”. Scarlini ignora esplicitamente i testi delle canzoni, e le pochissime citazioni che include sono talvolta imprecise. La mia sensazione è che questo suo approccio finisca per impoverire la ricchezza dell’opera di Bowie. I capitoli conclusivi del libro sono sovraccarichi di una serie di riferimenti artistici un po’ fini a se stessi, anche perché non supportati da alcun apparato iconografico. Difficile credere che sia tutta qui, “la vera natura dei sogni”. Come ebbe a dire lo stesso Bowie: “Se togli tutta la teatralità, tutti i travestimenti, e tutti gli strati da ciò che vedi, io sono uno scrittore. Ecco quel che faccio: scrivo.”
2016
XXXIII
6
39
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Bowie, poesia inglese, musica
Deandrea, P.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1571926
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