Secondo una certa linea di pensiero che potremmo definire “naturalistica”, la ferratura dello zoccolo non è sempre ritenuta indispensabile per la normale funzionalità del cavallo anche se sottoposto a lavoro, tuttavia l’esperienza insegna che non è così e fin da quando il cavallo è stato impiegato per lavoro la necessità di preservare l’unghia da una eccessiva usura è stata subito evidente. Scopo della ferratura è dunque di: preservare e garantire l’integrità dell’orlo plantare e dello zoccolo mediante l’applicazione di una lamina di ferro fermata con chiodi; di conservare ai “piedi” la loro forma regolare e mettere l’animale sopra i suoi giusti appiombi correggendo alcuni difetti; di rimediare mediante ferri opportuni ai difetti che possono essere presenti e concorrere alla cura di molte di quelle malattie che in essi possono insorgere. Da quanto brevemente esposto si comprende come l’arte del ferrare non consiste perciò solamente nella manualità di applicare il ferro al piede, ma è guidata da numerosi precetti e da scientifiche cognizioni che devono essere sempre presenti per la buona conservazione dei piedi del cavallo. E’ quindi di fondamentale importanza che il maniscalco conosca conformazione, struttura e funzioni naturali del meccanismo del piede, in altre parole deve avere ampia padronanza della podologia. La ferratura ha origini incerte. La prima testimonianza scritta sull’uso dei ferri e dei chiodi la si deve a Leone VI imperatore di Costantinopoli, vissuto intorno al 900 che nell’elencare la dotazione del soldato a cavallo indica anche i ferri a mezzaluna coi loro chiodi. La ferratura sarebbe stata introdotta in Italia dai Longobardi intorno al VI secolo sotto il regno di Alboino, secondo altri intorno al 900. La prima testimonianza iconografica risale al 1317 circa grazie a Simone Martini che nell’affresco di San Martino ed il povero (Basilica di San Francesco ad Assisi) riproduce un cavallo ferrato, nella stessa Basilica la presenza della ferratura si evidenzia anche nella Crocefissione di Pietro Lorenzetti (1320 ca). Indiscutibilmente l’introduzione della ferratura degli equidi ha rappresentato un momento molto importante per lo sviluppo delle attività umane: i trasporti divennero più agevoli sia per le maggiori distanze percorribili sia per i carichi trasportabili; gli stessi eserciti ne trassero grandi benefici. A riprova dell’importanza dell’adozione della ferratura vale la pena evidenziare l’analogia, sul piano dell’impulso allo sviluppo economico, con l’applicazione del vapore alla trazione delle vetture sulle strade ferrate. Lo sviluppo della mascalcia può essere articolato su tre specifici periodi storici: un primo periodo antecedente l’uso del ferro celtico, un periodo centrale tra l’introduzione dello stesso ferro e la fondazione delle Scuole di Veterinaria, ed terzo periodo dalla fondazione di queste ultime ad oggi. Tali periodi non devono tuttavia essere considerati come momenti statici definiti da date puntuali, bensì come un continuo divenire che, nel corso del tempo e grazie alle indiscutibili capacità di alcuni attenti ed intraprendenti “addetti ai cavalli” consentirono il costituirsi delle competenze che oggi rappresentano il bagaglio tecnico professionale del maniscalco. Il XIX secolo assiste ad un radicale cambiamento nel modo di gestire la Cavalleria e con essa del modo di intendere tattica e strategia degli eserciti. Il maniscalco diventa un ausiliario indispensabile alla cavalleria ed il legame funzionale diventa inscindibile. La necessità di disporre di maniscalchi provetti divenne sempre più impellente e con essa la necessità di creare delle Scuole di mascalcia, fin dall’inizio dell’800 in tutta Europa. In Italia dal 1879, per volontà del Ministero della Guerra, venne istituita la Scuola di mascalcia militare a Pinerolo, fin dal 1849 sede della Scuola di Cavalleria. Il corso durava un anno ed era frequentato da soldati provenienti uno per ogni reggimento di cavalleria e due per ogni reggimento di artiglieria da campagna, gli aspiranti maniscalchi dovevano fare domanda, saper leggere e scrivere, avere almeno sei mesi di servizio e contrarre la ferma permanente. Al termine del corso doveva essere superato un esame finale consistente in un esperimento teorico pratico dinanzi ad apposita commissione. Al primo corso, che si chiuse il 31 dicembre del 1880, parteciparono ventiquattro allievi, di cui venti provenienti dai reggimenti di cavalleria e 4 quattro da quelli di artiglieria; ma le necessità dei servizi militari erano destinate a crescere inesorabilmente a causa delle guerre che alcuni anni dopo avrebbero coinvolto anche l’Esercito Italiano e che avrebbe raggiunto l’acme con lo scoppio ed il coinvolgimento nella Grande Guerra. Nel periodo di guerra, dalla Scuola di Mascalcia di Pinerolo, furono “licenziati” 305 maniscalchi che andarono ad aggiungersi a quelli già in servizio, uno ogni 200 quadrupedi. Sicuramente un piccolo numero di persone, rispetto a quello complessivo di uomini profuso in questa immane tragedia che cento anni fa colpì l’Europa intera, che si aggiunse ai 2800 veterinari richiamati in servizio; insieme contribuirono alla cura dei quadrupedi impiegati nel corso della prima Guerra Mondiale, una “forza quadrupedi” che superò i trecentomila capi e che tra l’agosto 1916 e la fine della guerra arrivò a 471.879 cavalli, di questi 76.028 furono quelli che perirono per cause varie (circa il 21% degli effettivi su una forza media di 350.000 capi). Complessivamente nei vari fronti di guerra che caratterizzarono il primo conflitto mondiale si stima siano stati impiegati non meno di 12 milioni di cavalli a cui si devono aggiungere circa 520.000 muli. La Scuola di Mascalcia militare ha operato a Pinerolo fino al 1996, per poi trasferirsi nel centro Veterinario militare a Grosseto dove ha continuato a “forgiare” competenze e professionalità proseguendo nella formazione dei maniscalchi, unici depositari di un’arte tanto antica e nello stesso tempo di grande attualità.
"Faute d'un clou on a perdu un fer, faute d'un fer on a perdu un cheval" Lo sviluppo e l'importanza della podologia equina e della mascalcia nel tempo
ZOCCARATO, Ivo
2016-01-01
Abstract
Secondo una certa linea di pensiero che potremmo definire “naturalistica”, la ferratura dello zoccolo non è sempre ritenuta indispensabile per la normale funzionalità del cavallo anche se sottoposto a lavoro, tuttavia l’esperienza insegna che non è così e fin da quando il cavallo è stato impiegato per lavoro la necessità di preservare l’unghia da una eccessiva usura è stata subito evidente. Scopo della ferratura è dunque di: preservare e garantire l’integrità dell’orlo plantare e dello zoccolo mediante l’applicazione di una lamina di ferro fermata con chiodi; di conservare ai “piedi” la loro forma regolare e mettere l’animale sopra i suoi giusti appiombi correggendo alcuni difetti; di rimediare mediante ferri opportuni ai difetti che possono essere presenti e concorrere alla cura di molte di quelle malattie che in essi possono insorgere. Da quanto brevemente esposto si comprende come l’arte del ferrare non consiste perciò solamente nella manualità di applicare il ferro al piede, ma è guidata da numerosi precetti e da scientifiche cognizioni che devono essere sempre presenti per la buona conservazione dei piedi del cavallo. E’ quindi di fondamentale importanza che il maniscalco conosca conformazione, struttura e funzioni naturali del meccanismo del piede, in altre parole deve avere ampia padronanza della podologia. La ferratura ha origini incerte. La prima testimonianza scritta sull’uso dei ferri e dei chiodi la si deve a Leone VI imperatore di Costantinopoli, vissuto intorno al 900 che nell’elencare la dotazione del soldato a cavallo indica anche i ferri a mezzaluna coi loro chiodi. La ferratura sarebbe stata introdotta in Italia dai Longobardi intorno al VI secolo sotto il regno di Alboino, secondo altri intorno al 900. La prima testimonianza iconografica risale al 1317 circa grazie a Simone Martini che nell’affresco di San Martino ed il povero (Basilica di San Francesco ad Assisi) riproduce un cavallo ferrato, nella stessa Basilica la presenza della ferratura si evidenzia anche nella Crocefissione di Pietro Lorenzetti (1320 ca). Indiscutibilmente l’introduzione della ferratura degli equidi ha rappresentato un momento molto importante per lo sviluppo delle attività umane: i trasporti divennero più agevoli sia per le maggiori distanze percorribili sia per i carichi trasportabili; gli stessi eserciti ne trassero grandi benefici. A riprova dell’importanza dell’adozione della ferratura vale la pena evidenziare l’analogia, sul piano dell’impulso allo sviluppo economico, con l’applicazione del vapore alla trazione delle vetture sulle strade ferrate. Lo sviluppo della mascalcia può essere articolato su tre specifici periodi storici: un primo periodo antecedente l’uso del ferro celtico, un periodo centrale tra l’introduzione dello stesso ferro e la fondazione delle Scuole di Veterinaria, ed terzo periodo dalla fondazione di queste ultime ad oggi. Tali periodi non devono tuttavia essere considerati come momenti statici definiti da date puntuali, bensì come un continuo divenire che, nel corso del tempo e grazie alle indiscutibili capacità di alcuni attenti ed intraprendenti “addetti ai cavalli” consentirono il costituirsi delle competenze che oggi rappresentano il bagaglio tecnico professionale del maniscalco. Il XIX secolo assiste ad un radicale cambiamento nel modo di gestire la Cavalleria e con essa del modo di intendere tattica e strategia degli eserciti. Il maniscalco diventa un ausiliario indispensabile alla cavalleria ed il legame funzionale diventa inscindibile. La necessità di disporre di maniscalchi provetti divenne sempre più impellente e con essa la necessità di creare delle Scuole di mascalcia, fin dall’inizio dell’800 in tutta Europa. In Italia dal 1879, per volontà del Ministero della Guerra, venne istituita la Scuola di mascalcia militare a Pinerolo, fin dal 1849 sede della Scuola di Cavalleria. Il corso durava un anno ed era frequentato da soldati provenienti uno per ogni reggimento di cavalleria e due per ogni reggimento di artiglieria da campagna, gli aspiranti maniscalchi dovevano fare domanda, saper leggere e scrivere, avere almeno sei mesi di servizio e contrarre la ferma permanente. Al termine del corso doveva essere superato un esame finale consistente in un esperimento teorico pratico dinanzi ad apposita commissione. Al primo corso, che si chiuse il 31 dicembre del 1880, parteciparono ventiquattro allievi, di cui venti provenienti dai reggimenti di cavalleria e 4 quattro da quelli di artiglieria; ma le necessità dei servizi militari erano destinate a crescere inesorabilmente a causa delle guerre che alcuni anni dopo avrebbero coinvolto anche l’Esercito Italiano e che avrebbe raggiunto l’acme con lo scoppio ed il coinvolgimento nella Grande Guerra. Nel periodo di guerra, dalla Scuola di Mascalcia di Pinerolo, furono “licenziati” 305 maniscalchi che andarono ad aggiungersi a quelli già in servizio, uno ogni 200 quadrupedi. Sicuramente un piccolo numero di persone, rispetto a quello complessivo di uomini profuso in questa immane tragedia che cento anni fa colpì l’Europa intera, che si aggiunse ai 2800 veterinari richiamati in servizio; insieme contribuirono alla cura dei quadrupedi impiegati nel corso della prima Guerra Mondiale, una “forza quadrupedi” che superò i trecentomila capi e che tra l’agosto 1916 e la fine della guerra arrivò a 471.879 cavalli, di questi 76.028 furono quelli che perirono per cause varie (circa il 21% degli effettivi su una forza media di 350.000 capi). Complessivamente nei vari fronti di guerra che caratterizzarono il primo conflitto mondiale si stima siano stati impiegati non meno di 12 milioni di cavalli a cui si devono aggiungere circa 520.000 muli. La Scuola di Mascalcia militare ha operato a Pinerolo fino al 1996, per poi trasferirsi nel centro Veterinario militare a Grosseto dove ha continuato a “forgiare” competenze e professionalità proseguendo nella formazione dei maniscalchi, unici depositari di un’arte tanto antica e nello stesso tempo di grande attualità.File | Dimensione | Formato | |
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