IL TEATRO DEI REGISTI. SCOPRITORI DI ENIGMI E POETI DELLA SCENA Alcuni studiosi italiani (Ferdinando Taviani, Mirella Schino, Franco Ruffini) ritengono che la regia sia peculiare del Novecento, e che “il secolo della Regia” (con la maiuscola, per simpatica enfasi) sia stato “un secolo lungo, aperto emblematicamente dalla nascita del Teatro d’Arte di Mosca, nel 1897; emblematicamente chiuso dalla morte di Grotowski, nel gennaio 1999”, come ha scritto Taviani. In contrasto a questa ipotesi critica, il volume ritiene invcea che la regia sia, molto semplicemente, un nuovo mestiere dell’industria dello spettacolo, a sua volta in via di affermazione proprio nel corso dell’Ottocento; e che il regista è dunque, essenzialmente, un nuovo professionista. Il momento di frattura – che sembra del massimo interesse – è quando l’allestimento teatrale si definisce come prodotto che deve essere curato nel suo insieme, nella sua totalità. Di contro al teatro dell’attore – che esalta sostanzialmente la sola figura del protagonista – le leggi bronzee del mercato impongono l’esigenza di un tutto unitario, che comprende ma riassorbe il singolo attore, per quanto bravissimo. Il regista è appunto il garante di questa operazione inedita. Poi, certo, tra fine Otto e primo Novecento, il regista smette di porsi quale semplice professionista, per diventare, a poco a poco, un artista, il quale fonda il proprio lavoro creativo a partire da uno sguardo che incrocia in modi originali il testo destinato ad essere messo in scena. La scrittura drammaturgica contiene sempre, nel suo seno, un enigma; è propriamente l’esercizio della regia a metterlo a fuoco, se non proprio, se non sempre, a chiarirlo, a svelarlo. Peraltro, la fine di millennio complica il panorama. Accanto ai registi scopritori di enigmi, che pure continuano a essere egemoni (nella campionatura del libro: Meininger, Antoine, Stanislavskij, Mejerchol’d, Brecht, Strehler, Ronconi, Castri, Mnouchkine) si affiancano personaggi inaspettati – fascinosi e inquietanti –, apparentemente marginali, ma in realtà portatori di una vera rivoluzione. Sono i registi poeti della scena, che non hanno bisogno di un testo, ma al massimo di una partitura, non delegata ad altri, che essi stessi distillano, nell’incontro prolungato con gli attori (Grotowski, Barba, Kantror).

Il teatro dei registi. Scopritori di enigmi e poeti della scena

ALONGE, Roberto Luciano
2006-01-01

Abstract

IL TEATRO DEI REGISTI. SCOPRITORI DI ENIGMI E POETI DELLA SCENA Alcuni studiosi italiani (Ferdinando Taviani, Mirella Schino, Franco Ruffini) ritengono che la regia sia peculiare del Novecento, e che “il secolo della Regia” (con la maiuscola, per simpatica enfasi) sia stato “un secolo lungo, aperto emblematicamente dalla nascita del Teatro d’Arte di Mosca, nel 1897; emblematicamente chiuso dalla morte di Grotowski, nel gennaio 1999”, come ha scritto Taviani. In contrasto a questa ipotesi critica, il volume ritiene invcea che la regia sia, molto semplicemente, un nuovo mestiere dell’industria dello spettacolo, a sua volta in via di affermazione proprio nel corso dell’Ottocento; e che il regista è dunque, essenzialmente, un nuovo professionista. Il momento di frattura – che sembra del massimo interesse – è quando l’allestimento teatrale si definisce come prodotto che deve essere curato nel suo insieme, nella sua totalità. Di contro al teatro dell’attore – che esalta sostanzialmente la sola figura del protagonista – le leggi bronzee del mercato impongono l’esigenza di un tutto unitario, che comprende ma riassorbe il singolo attore, per quanto bravissimo. Il regista è appunto il garante di questa operazione inedita. Poi, certo, tra fine Otto e primo Novecento, il regista smette di porsi quale semplice professionista, per diventare, a poco a poco, un artista, il quale fonda il proprio lavoro creativo a partire da uno sguardo che incrocia in modi originali il testo destinato ad essere messo in scena. La scrittura drammaturgica contiene sempre, nel suo seno, un enigma; è propriamente l’esercizio della regia a metterlo a fuoco, se non proprio, se non sempre, a chiarirlo, a svelarlo. Peraltro, la fine di millennio complica il panorama. Accanto ai registi scopritori di enigmi, che pure continuano a essere egemoni (nella campionatura del libro: Meininger, Antoine, Stanislavskij, Mejerchol’d, Brecht, Strehler, Ronconi, Castri, Mnouchkine) si affiancano personaggi inaspettati – fascinosi e inquietanti –, apparentemente marginali, ma in realtà portatori di una vera rivoluzione. Sono i registi poeti della scena, che non hanno bisogno di un testo, ma al massimo di una partitura, non delegata ad altri, che essi stessi distillano, nell’incontro prolungato con gli attori (Grotowski, Barba, Kantror).
2006
LATERZA
1
192
9788842073680
R. ALONGE
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/15923
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