L’argomento degli articoli qui riuniti, ma già dalla loro origine facenti parte di un disegno unitario, è quello del problema di rintracciare uno strumento giuridico atto a fornire, nell’ambito della costituzione romana, un carattere immodificabile a determinate norme fondamentali che si volevano rendere eterne e parte irrinunciabile della conformazione strutturale dello Stato, come in particolare quella sul carattere per sempre repubblicano di Roma, deciso una volta cacciato l’ultimo re, o come quella della inviolabilità dei tribuni della plebe, cardine essenziale del nuovo assetto patrizio-plebeo dell’ordinamento romano dopo le lotte tra i due ordini che caratterizzarono in particolare gli inizi del V secolo a.C. Infatti tali norme, in quanto votate dall’assemblea del popolo, di per sé potevano essere revocate con una nuova deliberazione dallo stesso organo che le aveva emanate, non esistendo nell’ordinamento romano alcunché di simile alla moderna «legge costituzionale» e quindi una gerarchia di norme che distinguesse quelle fondamentali e per così dire portanti dalle altre decisioni legislative normalmente modificabili. Una più che soddisfacente soluzione in tal senso venne tuttavia con ogni verosimiglianza reperita nella religione e specificamente nello ius sacrum romano, in quanto la città non si limitò a votare semplicemente queste norme in sede comiziale, ma le rese oggetto di un giuramento da parte di tutti i cittadini prestato per se stessi e per i propri discendenti: un giuramento, cioè, che in certo modo poteva essere considerato come fatto da Roma in quanto tale, in una sua lata personalità giuridica di diritto sacrale. Per tal via, simili scelte costituzionali divenivano irremeabili e senza alternativa, dato che il venirvi meno avrebbe violato i giuramenti così prestati e reso Roma una città spergiura, come tale invisa alla divinità e destinata dunque alla rovina. In questa prospettiva religiosa, lo ius sacrum venne in soccorso al diritto umano, che su un piano pubblicistico non aveva i mezzi per ottenere un simile risultato, e le norme fondamentali della «costituzione» romana poterono così divenire appunto eterne ed immutabili ed anzi per così dire tutt’uno con le stesse nozioni di civitas e di res publica.

Sacramentum civitatis. Diritto costituzionale e ius sacrum nell'arcaico ordinamento giuridico romano.

ZUCCOTTI, Ferdinando
2016-01-01

Abstract

L’argomento degli articoli qui riuniti, ma già dalla loro origine facenti parte di un disegno unitario, è quello del problema di rintracciare uno strumento giuridico atto a fornire, nell’ambito della costituzione romana, un carattere immodificabile a determinate norme fondamentali che si volevano rendere eterne e parte irrinunciabile della conformazione strutturale dello Stato, come in particolare quella sul carattere per sempre repubblicano di Roma, deciso una volta cacciato l’ultimo re, o come quella della inviolabilità dei tribuni della plebe, cardine essenziale del nuovo assetto patrizio-plebeo dell’ordinamento romano dopo le lotte tra i due ordini che caratterizzarono in particolare gli inizi del V secolo a.C. Infatti tali norme, in quanto votate dall’assemblea del popolo, di per sé potevano essere revocate con una nuova deliberazione dallo stesso organo che le aveva emanate, non esistendo nell’ordinamento romano alcunché di simile alla moderna «legge costituzionale» e quindi una gerarchia di norme che distinguesse quelle fondamentali e per così dire portanti dalle altre decisioni legislative normalmente modificabili. Una più che soddisfacente soluzione in tal senso venne tuttavia con ogni verosimiglianza reperita nella religione e specificamente nello ius sacrum romano, in quanto la città non si limitò a votare semplicemente queste norme in sede comiziale, ma le rese oggetto di un giuramento da parte di tutti i cittadini prestato per se stessi e per i propri discendenti: un giuramento, cioè, che in certo modo poteva essere considerato come fatto da Roma in quanto tale, in una sua lata personalità giuridica di diritto sacrale. Per tal via, simili scelte costituzionali divenivano irremeabili e senza alternativa, dato che il venirvi meno avrebbe violato i giuramenti così prestati e reso Roma una città spergiura, come tale invisa alla divinità e destinata dunque alla rovina. In questa prospettiva religiosa, lo ius sacrum venne in soccorso al diritto umano, che su un piano pubblicistico non aveva i mezzi per ottenere un simile risultato, e le norme fondamentali della «costituzione» romana poterono così divenire appunto eterne ed immutabili ed anzi per così dire tutt’uno con le stesse nozioni di civitas e di res publica.
2016
LED
Collana della Rivista di Diritto Romano
1
182
9788879167963
Zuccotti, Ferdinando
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