Il lavoro indaga il fenomeno del lobbying nel diritto costituzionale americano, nel diritto dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa e nel diritto italiano. In particolare, tramite l’approfondita analisi della giurisprudenza rilevante in materia, della regolamentazione ove esistente, e di documenti di soft-law, viene esaminato il quadro costituzionale all’interno del quale si inserisce nei rispettivi ordinamenti considerati l’attività di lobbying, attività di cui si propone la qualificazione come “stabile intermediazione” tra portatori di interessi (individuali o più tipicamente gruppi) e decisori pubblici. Si considera dunque in via primaria la risposta data dagli stessi alla questione se il lobbying venga qualificato come attività lecita, se addirittura come diritto fondamentale, o se invece venga tutelato in quanto funzionale al perseguimento di altri obiettivi. Ma nello svolgere questa analisi verranno esplorate a fondo anche alcune questioni di apparente dettaglio, come la liceità o meno di alcune particolari configurazioni dei contratti di lobbying, nonché temi diversi dal lobbying in senso stretto come il finanziamento elettorale, il cosiddetto grassroots lobbying, o la prassi italiana della concertazione: tali aspetti sono infatti ritenuti cruciali per comprendere correttamente il “posto” del lobbying nei rispettivi ordinamenti, il modo in cui esso viene inteso e conseguentemente regolato (o meno), e il perché, e per poter fondare qualunque eventuale ragionamento de iure condendo. L’analisi di tutti questi aspetti conduce a ricondurre il fenomeno esaminato nell’alveo del Primo Emendamento negli Stati Uniti, una disposizione “sacra” che gode di una protezione fortissima ribadita ancora molto di recente, e viceversa a registrarne in Europa e in Italia una protezione solo in funzione di una (auspicata) miglior operatività della democrazia. Stati Uniti ed Europa vengono quindi collocati agli antipodi dal punto di vista delle rispettive concezioni del lobbying, a dispetto delle somiglianze sul piano del diritto positivo e anche per certi aspetti della giurisprudenza in senso lato costituzionale; l’Italia viene considerata in linea con l’impostazione europea. La conclusione, oltre ad esporre tale risultato dell’analisi svolta, riflette sull’opportunità o meno di forme di regolamentazione di tipo vincolante del lobbying, ed enuncia la tesi che, tanto negli Usa quanto in Europa quanto in Italia, a dispetto delle differenze individuate, il lobbying sia non una causa della crisi che la democrazia e il diritto vanno attraversando negli ordinamenti in questione, bensì una conseguenza di essa. Tale crisi viene ricondotta, in tutti e tre gli ordinamenti, al sempre più marcato predominio “volontaristico” del legislatore nella produzione del diritto, il cui potere coercitivo esteso ad ambiti via via crescenti moltiplica le occasioni e le ragioni del lobbying: il lavoro prospetta dunque il recupero di un’impostazione maggiormente evolutiva, dove il diritto cessi di essere ostaggio delle pressioni e degli interessi particolari di minoranze ben organizzate che compongono contingenti maggioranze in grado di imporre il proprio volere a tutta la collettività, per tornare ad essere per quanto possibile il risultato di un processo più spontaneo e consensuale.

"Le mani sulla legge": il lobbying tra free speech e democrazia

DE CARIA, RICCARDO
2017-01-01

Abstract

Il lavoro indaga il fenomeno del lobbying nel diritto costituzionale americano, nel diritto dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa e nel diritto italiano. In particolare, tramite l’approfondita analisi della giurisprudenza rilevante in materia, della regolamentazione ove esistente, e di documenti di soft-law, viene esaminato il quadro costituzionale all’interno del quale si inserisce nei rispettivi ordinamenti considerati l’attività di lobbying, attività di cui si propone la qualificazione come “stabile intermediazione” tra portatori di interessi (individuali o più tipicamente gruppi) e decisori pubblici. Si considera dunque in via primaria la risposta data dagli stessi alla questione se il lobbying venga qualificato come attività lecita, se addirittura come diritto fondamentale, o se invece venga tutelato in quanto funzionale al perseguimento di altri obiettivi. Ma nello svolgere questa analisi verranno esplorate a fondo anche alcune questioni di apparente dettaglio, come la liceità o meno di alcune particolari configurazioni dei contratti di lobbying, nonché temi diversi dal lobbying in senso stretto come il finanziamento elettorale, il cosiddetto grassroots lobbying, o la prassi italiana della concertazione: tali aspetti sono infatti ritenuti cruciali per comprendere correttamente il “posto” del lobbying nei rispettivi ordinamenti, il modo in cui esso viene inteso e conseguentemente regolato (o meno), e il perché, e per poter fondare qualunque eventuale ragionamento de iure condendo. L’analisi di tutti questi aspetti conduce a ricondurre il fenomeno esaminato nell’alveo del Primo Emendamento negli Stati Uniti, una disposizione “sacra” che gode di una protezione fortissima ribadita ancora molto di recente, e viceversa a registrarne in Europa e in Italia una protezione solo in funzione di una (auspicata) miglior operatività della democrazia. Stati Uniti ed Europa vengono quindi collocati agli antipodi dal punto di vista delle rispettive concezioni del lobbying, a dispetto delle somiglianze sul piano del diritto positivo e anche per certi aspetti della giurisprudenza in senso lato costituzionale; l’Italia viene considerata in linea con l’impostazione europea. La conclusione, oltre ad esporre tale risultato dell’analisi svolta, riflette sull’opportunità o meno di forme di regolamentazione di tipo vincolante del lobbying, ed enuncia la tesi che, tanto negli Usa quanto in Europa quanto in Italia, a dispetto delle differenze individuate, il lobbying sia non una causa della crisi che la democrazia e il diritto vanno attraversando negli ordinamenti in questione, bensì una conseguenza di essa. Tale crisi viene ricondotta, in tutti e tre gli ordinamenti, al sempre più marcato predominio “volontaristico” del legislatore nella produzione del diritto, il cui potere coercitivo esteso ad ambiti via via crescenti moltiplica le occasioni e le ragioni del lobbying: il lavoro prospetta dunque il recupero di un’impostazione maggiormente evolutiva, dove il diritto cessi di essere ostaggio delle pressioni e degli interessi particolari di minoranze ben organizzate che compongono contingenti maggioranze in grado di imporre il proprio volere a tutta la collettività, per tornare ad essere per quanto possibile il risultato di un processo più spontaneo e consensuale.
2017
Ledizioni
1
358
9788867056118
lobbying, freedom of expression, free speech, First Amendment, libertà di espressione, libertà di manifestazione del pensiero, libertà di stampa, Primo Emendamento, democrazia, Usa, Unione europea
DE CARIA, Riccardo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1632520
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