L’uso di riportare in patria i resti dei caduti di guerra e di seppellirli a spese pubbliche in tombe collettive nel corso di una solenne cerimonia culminante nell’epitaphios logos è avvertito dalle fonti dell’età classica come peculiare ed esclusivo di Atene. Qualunque sia la data di avvio di tale pratica, certo essa fu sviluppata e perfezionata negli anni della Pentekontaetia, nel quadro di un’ideologia sapientemente concepita per sostenere l’enorme sforzo bellico richiesto alla cittadinanza. Lungo l’asse che univa l’agorá, il cuore pulsante della polis, all’Accademia, il fulcro indiscusso della paideia dei futuri cittadini fin dall’età arcaica, Atene mise in scena la comunità in armi, allestendo un autentico ‘paesaggio pedagogico’ a beneficio dei giovani che percorrevano abitualmente quella strada in direzione del ginnasio. Contemporaneamente, per legge, ogni forma di commemorazione fu negata ai morti ‘comuni’. La pesante ingerenza dello stato in uno dei campi tradizionalmente più privati della sfera umana non tardò tuttavia a provocare reazioni, i cui segni si colgono bene anche nei cinquant’anni di osservanza più rigorosa della norma. Quando, nell’inverno del 431/0 a.C., Pericle affrescò – nella testimonianza di Tucidide – il quadro per noi più icastico del patrios nomos, di fatto l’ideologia egualitaria connessa alla morte in guerra stava già pericolosamente vacillando.
I funerali per i caduti di guerra. La difficile armonia di pubblico e privato nell'Atene del V secolo a.C
MARCHIANDI, DANIELA FRANCESCA;
2016-01-01
Abstract
L’uso di riportare in patria i resti dei caduti di guerra e di seppellirli a spese pubbliche in tombe collettive nel corso di una solenne cerimonia culminante nell’epitaphios logos è avvertito dalle fonti dell’età classica come peculiare ed esclusivo di Atene. Qualunque sia la data di avvio di tale pratica, certo essa fu sviluppata e perfezionata negli anni della Pentekontaetia, nel quadro di un’ideologia sapientemente concepita per sostenere l’enorme sforzo bellico richiesto alla cittadinanza. Lungo l’asse che univa l’agorá, il cuore pulsante della polis, all’Accademia, il fulcro indiscusso della paideia dei futuri cittadini fin dall’età arcaica, Atene mise in scena la comunità in armi, allestendo un autentico ‘paesaggio pedagogico’ a beneficio dei giovani che percorrevano abitualmente quella strada in direzione del ginnasio. Contemporaneamente, per legge, ogni forma di commemorazione fu negata ai morti ‘comuni’. La pesante ingerenza dello stato in uno dei campi tradizionalmente più privati della sfera umana non tardò tuttavia a provocare reazioni, i cui segni si colgono bene anche nei cinquant’anni di osservanza più rigorosa della norma. Quando, nell’inverno del 431/0 a.C., Pericle affrescò – nella testimonianza di Tucidide – il quadro per noi più icastico del patrios nomos, di fatto l’ideologia egualitaria connessa alla morte in guerra stava già pericolosamente vacillando.File | Dimensione | Formato | |
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