"Umanesimo postindustriale" ha un duplice proposito: teorico e storico. Il proposito teorico consiste nell’esporre una nozione “aggiornata” di umanesimo cioè una cultura o, altrimenti detto, una strategia di sopravvivenza volta alla pacificazione dei conflitti e al potenziamento della creatività umana. Quello che suggerisco è un percorso tra argomenti e autori (soprattutto quelli qui definiti come “filosofi profetici”) il cui scopo è la fortificazione dell’ideale umanistico, la difesa della “speranza sociale” (Rorty) o, come direbbe Cornel West, l’ampliamento della “cultura del discorso critico”. In sostanza, si cercano risposte a domande del tipo: “quali potrebbero essere i motivi e le argomentazioni per sostenere, oggi, i valori dell’umanesimo?”, “cosa può significare, oggi, essere umanisti?”, “perché possiamo ancora dirci umanisti?”, “da quali dottrine filosofiche l’umanesimo scaturisce?”, “chi sono, in questa fase storica, i suoi più temibili avversari?” Il proposito storico del libro è ugualmente centrale. Infatti, non basta dire che sarebbe bene convertirsi a una cultura umanistica. E’ invece più importante comprendere ciò che già sta avendo luogo. Un buon discorso sull’umanesimo deve richiamarsi a un dibattito recente, descrivere qualcosa che sta capitando tra gli intellettuali, tra quei filosofi che accolgono la sfida della giustizia sociale e che non discutono di etica e società in modo teorico. Esiste, tra gli intellettuali-filosofi, la voglia di dedicarsi ai modi effettivi per massimizzare i valori della giustizia sociale, di trovare gli strumenti tecnici per attuarla, il desiderio di essere promotori o anche solo collaboratori di movimenti, di istituzioni e, in breve, di comunità. Al di là delle questioni teoriche e di principio, lo scopo dell’attività di un numero non trascurabile di filosofi consiste nel minimizzare il livello di sofferenza che la società umana infligge agli esseri viventi e al pianeta stesso, o raggiungere una più equa distribuzione del reddito senza che ciò vada a detrimento delle libertà individuali. Il programma umanistico, così come qui è inteso, già rientra nell’agenda di molti intellettuali. Ma al di là del dibattito tra gli intellettuali, il libro mira alla ricostruzione di alcuni fenomeni storici, di alcuni “fatti” che accadono e che portano a confutare la conclusione pessimistica di Marcuse. Secondo Marcuse la “liberazione delle possibilità inerenti”, ossia di quelle forze reali nella società capaci di criticare, trascendere e trasformare la società stessa, “non esprime più in modo adeguato l’alternativa storica”. Ci sono anzi ragioni per essere persuasi del contrario. Mai come oggi la vitalità delle comunità è in grado di esprimere molteplici possibilità inerenti all’apparato. Esistono esempi significativi del fatto che, all’interno della società postindustriale, alla cultura umanistica è ancora riservato uno spazio. Le scelte individuali, i valori umani, la creatività delle comunità, il “voler fare la differenza” possono ancora avere una efficacia considerevole.

Umanesimo postindustriale: breve apologia della speranza sociale

VALSANIA, Maurizio
2005-01-01

Abstract

"Umanesimo postindustriale" ha un duplice proposito: teorico e storico. Il proposito teorico consiste nell’esporre una nozione “aggiornata” di umanesimo cioè una cultura o, altrimenti detto, una strategia di sopravvivenza volta alla pacificazione dei conflitti e al potenziamento della creatività umana. Quello che suggerisco è un percorso tra argomenti e autori (soprattutto quelli qui definiti come “filosofi profetici”) il cui scopo è la fortificazione dell’ideale umanistico, la difesa della “speranza sociale” (Rorty) o, come direbbe Cornel West, l’ampliamento della “cultura del discorso critico”. In sostanza, si cercano risposte a domande del tipo: “quali potrebbero essere i motivi e le argomentazioni per sostenere, oggi, i valori dell’umanesimo?”, “cosa può significare, oggi, essere umanisti?”, “perché possiamo ancora dirci umanisti?”, “da quali dottrine filosofiche l’umanesimo scaturisce?”, “chi sono, in questa fase storica, i suoi più temibili avversari?” Il proposito storico del libro è ugualmente centrale. Infatti, non basta dire che sarebbe bene convertirsi a una cultura umanistica. E’ invece più importante comprendere ciò che già sta avendo luogo. Un buon discorso sull’umanesimo deve richiamarsi a un dibattito recente, descrivere qualcosa che sta capitando tra gli intellettuali, tra quei filosofi che accolgono la sfida della giustizia sociale e che non discutono di etica e società in modo teorico. Esiste, tra gli intellettuali-filosofi, la voglia di dedicarsi ai modi effettivi per massimizzare i valori della giustizia sociale, di trovare gli strumenti tecnici per attuarla, il desiderio di essere promotori o anche solo collaboratori di movimenti, di istituzioni e, in breve, di comunità. Al di là delle questioni teoriche e di principio, lo scopo dell’attività di un numero non trascurabile di filosofi consiste nel minimizzare il livello di sofferenza che la società umana infligge agli esseri viventi e al pianeta stesso, o raggiungere una più equa distribuzione del reddito senza che ciò vada a detrimento delle libertà individuali. Il programma umanistico, così come qui è inteso, già rientra nell’agenda di molti intellettuali. Ma al di là del dibattito tra gli intellettuali, il libro mira alla ricostruzione di alcuni fenomeni storici, di alcuni “fatti” che accadono e che portano a confutare la conclusione pessimistica di Marcuse. Secondo Marcuse la “liberazione delle possibilità inerenti”, ossia di quelle forze reali nella società capaci di criticare, trascendere e trasformare la società stessa, “non esprime più in modo adeguato l’alternativa storica”. Ci sono anzi ragioni per essere persuasi del contrario. Mai come oggi la vitalità delle comunità è in grado di esprimere molteplici possibilità inerenti all’apparato. Esistono esempi significativi del fatto che, all’interno della società postindustriale, alla cultura umanistica è ancora riservato uno spazio. Le scelte individuali, i valori umani, la creatività delle comunità, il “voler fare la differenza” possono ancora avere una efficacia considerevole.
2005
Franco Angeli
1
160
8846464346
Democratization; Social Philosophy; Social Movements
M. VALSANIA
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