Il libro analizza, attraverso le opere di Campanella, Tassoni, Pallavicino, Tesauro, Frugoni, la metamorfosi dei generi, dei codici, delle forme, l’impiego sistematico e ossessivo della retorica (in particolare della metafora) nella civiltà letteraria barocca, e il rapporto intellettuale-potere. Puntualmente intertestuale, il discorso critico si sviluppa dall’indagine sulla scrittura poetica di Tommaso Campanella che, nella poesia della verità conquistata della “Scelta d’alcune poesie filosofiche di Settimontano Squilla cavate da’ suo’ libri detti La Cantica, con l’Esposizione” (1622), una specie di retorica figurata e quasi magica, solenne ed eroica, traduce la dottrina della “renovatio” religiosa e politica con toni profetici e danteschi. Procede attraverso l’esame della deformazione e della degradazione dell’eroico, della mischianza di grave e burlesco, nella “Secchia rapita” (1630) e nel “Manifesto di Alessandro Tassoni intorno le relazioni passate tra esso e i principi di Savoia” (composto intorno al 1625), segni di una condizione politica giunta allo stremo; mentre nell’opera di Ferrante Pallavicino, è la satira, che si spinge all’osceno rovesciamento della retorica gesuitica e all’anarchica eversione di ogni cosa, a esibire l’estrema opposizione dell’autore alle istituzioni politiche ed ecclesiastiche. La celebrazione del principe cristiano e dell’intellettuale cattolico, la riflessione sul potere e sulle sue rappresentazioni sono, invece, al centro delle pagine dedicate al discorso encomiastico l’“Accademia della Fama, tenuta nel gran Museo della Gloria” (1666), di Francesco Fulvio Frugoni, ingegnoso manipolatore di strutture e linguaggi; mentre il legame tra liturgia e politica è discusso nell’analisi dell’idea della perfetta orazione sacra, per governare l’anima con la parola e fondare il consenso politico, teorizzata da Tesauro nel “Cannocchiale aristotelico”, la cui edizione definitiva è stampata nel 1670. Nell’indagine assumono particolare rilievo sia la questione della metafora, che, sotto forma di impresa, di emblema, di apologo, è categoria mentale ed espressiva della predica, sia il problema della citazione, vero e proprio metodo d’invenzione e di strutturazione di ogni discorso tesauriano, e in particolare di quello sacro, di cui “La metafisica del niente” (collocabile tra il 1633 e il 1634) è sublime esempio per l’uso della “teologia simbolica e figurata”e dei “concetti predicabili”, per le tecniche drammatiche e patetiche, per la qualità figurativa e sonora della parola, suggestionata dall’immensa cultura del Tesauro, autore anche di programmi iconologici e di apparati per Torino e i Savoia.
Antitesi barocche
ZANDRINO, Barbara
2003-01-01
Abstract
Il libro analizza, attraverso le opere di Campanella, Tassoni, Pallavicino, Tesauro, Frugoni, la metamorfosi dei generi, dei codici, delle forme, l’impiego sistematico e ossessivo della retorica (in particolare della metafora) nella civiltà letteraria barocca, e il rapporto intellettuale-potere. Puntualmente intertestuale, il discorso critico si sviluppa dall’indagine sulla scrittura poetica di Tommaso Campanella che, nella poesia della verità conquistata della “Scelta d’alcune poesie filosofiche di Settimontano Squilla cavate da’ suo’ libri detti La Cantica, con l’Esposizione” (1622), una specie di retorica figurata e quasi magica, solenne ed eroica, traduce la dottrina della “renovatio” religiosa e politica con toni profetici e danteschi. Procede attraverso l’esame della deformazione e della degradazione dell’eroico, della mischianza di grave e burlesco, nella “Secchia rapita” (1630) e nel “Manifesto di Alessandro Tassoni intorno le relazioni passate tra esso e i principi di Savoia” (composto intorno al 1625), segni di una condizione politica giunta allo stremo; mentre nell’opera di Ferrante Pallavicino, è la satira, che si spinge all’osceno rovesciamento della retorica gesuitica e all’anarchica eversione di ogni cosa, a esibire l’estrema opposizione dell’autore alle istituzioni politiche ed ecclesiastiche. La celebrazione del principe cristiano e dell’intellettuale cattolico, la riflessione sul potere e sulle sue rappresentazioni sono, invece, al centro delle pagine dedicate al discorso encomiastico l’“Accademia della Fama, tenuta nel gran Museo della Gloria” (1666), di Francesco Fulvio Frugoni, ingegnoso manipolatore di strutture e linguaggi; mentre il legame tra liturgia e politica è discusso nell’analisi dell’idea della perfetta orazione sacra, per governare l’anima con la parola e fondare il consenso politico, teorizzata da Tesauro nel “Cannocchiale aristotelico”, la cui edizione definitiva è stampata nel 1670. Nell’indagine assumono particolare rilievo sia la questione della metafora, che, sotto forma di impresa, di emblema, di apologo, è categoria mentale ed espressiva della predica, sia il problema della citazione, vero e proprio metodo d’invenzione e di strutturazione di ogni discorso tesauriano, e in particolare di quello sacro, di cui “La metafisica del niente” (collocabile tra il 1633 e il 1634) è sublime esempio per l’uso della “teologia simbolica e figurata”e dei “concetti predicabili”, per le tecniche drammatiche e patetiche, per la qualità figurativa e sonora della parola, suggestionata dall’immensa cultura del Tesauro, autore anche di programmi iconologici e di apparati per Torino e i Savoia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.