Questo contributo si propone di discutere alcuni aspetti delle disuguaglianze di salute per genere, che scaturiscono dall’analisi di evidenze di ricerca. La salute viene assunta come un macro indicatore dei problemi delle persone, per cui le disuguaglianze di salute non farebbero che riflettere le disuguaglianze nelle esperienze di vita e i differenti gradi di controllo che le persone riescono ad esercitare sulla propria salute (Costa, 2014). Vengono utilizzate nell’analisi numerose evidenze disponibili in letteratura per esemplificare come individuare alla base delle disuguaglianze di genere l’effetto di relazioni asimmetriche di potere a di modelli culturali tradizionali, che operano sottotraccia e resistono al cambiamento. Questa analisi suggerisce di muoversi su diverse coordinate contemporaneamente, attribuendo importanza non solo alle risorse e alle capacità individuali di cui le persone dispongono, ma anche alle differenti possibilità che hanno di tradurle in pratica, mettendo in atto comportamenti adeguati a proteggere la propria salute (Di Monaco e Pilutti, 2014). Da questo punto di vista il contesto di regole (Barbera e Negri, 2008) e di relazioni (Di Monaco e Pilutti, 2017) in cui le persone sono immerse – dalla famiglia, al luogo di lavoro, ai vicini di casa, alle amicizie, all’associazionismo, ecc. – svolge un ruolo fondamentale sia per le reali opportunità di scelta nei comportamenti che consente nei fatti alle donne e agli uomini, sia per i significati che vengono attribuiti nei vari ambienti di vita alle diverse pratiche sociali. I nodi critici mettono in evidenza come si modificano gli effetti sulla salute, in due ambiti chiave del welfare. Il primo riguarda le politiche non sanitarie (istruzione, formazione, lavoro, mobilità, ecc.), il secondo riguarda le politiche sanitarie di prevenzione e cura, che sono generalmente considerate “neutre” rispetto al genere. Tirando le fila delle analisi empiriche, le disuguaglianze sociali che hanno effetti sulla salute, intrecciate al genere, diventano meno visibili e meno facilmente superabili. Talvolta proprio l’apparente uguaglianza di condizioni o neutralità delle regole sembrerebbe suggerire l’assenza di disuguaglianze. Altre volte le disuguaglianze di risorse, capacità e relazioni tra donne e uomini non vengono riconosciute come tali, a causa di stereotipi o specifici modelli culturali. Talvolta vengono ricondotte alle vocazioni e alle scelte differenti per genere. Perfino gli interventi “a favore delle donne” possono rivelare ad un’analisi più attenta ambiguità. L’esatta comprensione di questi fenomeni sarebbe fondamentale per l’assetto di un welfare orientato all’equità di genere nella salute, al fine di calibrare gli interventi in relazione agli effetti che generano, voluti e non voluti, diretti e indiretti, indipendentemente dalle intenzioni di chi le promuove o dai principi di equità cui eventualmente si ispirano. Per modificare gli equilibri descritti, le disposizioni di carattere burocratico formale rischiano di non essere sufficienti. Parrebbe quindi opportuno concentrarsi sulle cause delle disuguaglianze di salute, più che sui sintomi, utilizzando in modo agile e sistematico lo strumento dell’Health equity audit (Hea), ex ante, ex post ed in itinere a seconda delle opportunità, per individuare di volta in volta i meccanismi sociali, ovvero le interdipendenze tra persone nel contesto preso in esame, che le generano. Entrando nel merito della guida alla valutazione sull’equità, proponiamo un percorso con 19 domande per orientare e stimolare il percorso di valutazione svolto da uno o più gruppi di lavoro. In letteratura sono stati sviluppati strumenti che rappresentano una buona dotazione, in particolare proponiamo l’utilizzo di un nostro adattamento tratto dal Bias Free Framework – Building an Integrative Analytical System For Recognizing and Eliminating inEquities – (Eichler, Burke 2006), pensato per aiutare ricercatori, decisori politici e altri soggetti a riconoscere i pregiudizi e a identificare i mezzi per eliminarli. Questo strumento prende le mosse dalla constatazione che i pregiudizi si fondano su un sistema di gerarchie, ovvero su rapporti squilibrati di potere tra gruppi di individui differenti per genere, età, etnia, religione, ecc. La struttura dei rapporti di potere tende a reiterarsi nel tempo e, quindi, identificare i meccanismi attraverso cui si riproducono gli squilibri di potere permette di progettare azioni di contrasto. Il Bias Free Framework individua tre ordini di meccanismi che agiscono per la conservazione dello stato gerarchico con cui è indispensabile confrontarsi nell’affrontare una ricerca o nel progettare e valutare delle policy, per ciascuna di queste problematiche sono richieste infatti azioni differenti. Il primo ordine di meccanismi riguarda l’intenzione e lo sforzo nel conservare una gerarchia: ovvero quando il contesto sociale giustifica e mantiene la differenziazione di gruppi dominanti e non. I gruppi sono quindi definiti e il loro squilibrio è una caratteristica come un’altra, ritenuta normale in quello specifico contesto socio-politico. Questo è ciò che vediamo avvenire, ad esempio, in campo professionale quando, nonostante le elevate credenziali formative, molte donne rimangono inspiegabilmente in posizioni subordinate e non attraversano il «soffitto di cristallo», invisibile ma reale, o non si staccano da un «pavimento appiccicoso», cioè dalle posizioni lavorative più basse, che le trattiene. Il secondo ordine di meccanismi attiene alla reiterazione delle gerarchie che opera attraverso il fallimento nell’esaminare le differenze: quando l’appartenenza ad un gruppo dominante/non dominante non è presa in esame come socialmente rilevante e ci si adatta a un modello standard. O, come nel caso del genere, quando si assume un riferimento come neutro, senza riconoscere le differenze rilevanti dell’essere donne o uomini. Il terzo ordine di meccanismi problematici riguarda l’uso di doppie misure: ovvero quando i gruppi dominanti e non dominanti sono trattati in modo diverso, tale per cui i primi continuano ad essere favoriti. Un esempio di doppia misura può essere rintracciata nelle proposte di assunzioni part time alle donne e full time agli uomini, indipendentemente dai bisogni degli interessati, supponendo per le prime possa essere meno grave rinunciare al full time. Per applicare concretamente questo metodo alle problematiche di genere occorre proporre ai soggetti coinvolti nel processo di valutazione, di cui abbiamo parlato sopra, una riflessione a partire dalle «domande critiche», opportunamente adattate, riferite a ciascuno di questi tre ordini di meccanismi di creazione di disuguaglianze. Lo schema proposto approfondisce quindi la «natura del problema» con le domande di stimolo ed esplora i tipi di intervento da adottare.
L’Health Equity Audit per un welfare equilibrato: dalle disuguaglianze sociali e di genere alle capacità di controllo sulla salute
Silvia Pilutti;Giuseppe Costa;Angelo d’Errico;Roberto Di Monaco
2018-01-01
Abstract
Questo contributo si propone di discutere alcuni aspetti delle disuguaglianze di salute per genere, che scaturiscono dall’analisi di evidenze di ricerca. La salute viene assunta come un macro indicatore dei problemi delle persone, per cui le disuguaglianze di salute non farebbero che riflettere le disuguaglianze nelle esperienze di vita e i differenti gradi di controllo che le persone riescono ad esercitare sulla propria salute (Costa, 2014). Vengono utilizzate nell’analisi numerose evidenze disponibili in letteratura per esemplificare come individuare alla base delle disuguaglianze di genere l’effetto di relazioni asimmetriche di potere a di modelli culturali tradizionali, che operano sottotraccia e resistono al cambiamento. Questa analisi suggerisce di muoversi su diverse coordinate contemporaneamente, attribuendo importanza non solo alle risorse e alle capacità individuali di cui le persone dispongono, ma anche alle differenti possibilità che hanno di tradurle in pratica, mettendo in atto comportamenti adeguati a proteggere la propria salute (Di Monaco e Pilutti, 2014). Da questo punto di vista il contesto di regole (Barbera e Negri, 2008) e di relazioni (Di Monaco e Pilutti, 2017) in cui le persone sono immerse – dalla famiglia, al luogo di lavoro, ai vicini di casa, alle amicizie, all’associazionismo, ecc. – svolge un ruolo fondamentale sia per le reali opportunità di scelta nei comportamenti che consente nei fatti alle donne e agli uomini, sia per i significati che vengono attribuiti nei vari ambienti di vita alle diverse pratiche sociali. I nodi critici mettono in evidenza come si modificano gli effetti sulla salute, in due ambiti chiave del welfare. Il primo riguarda le politiche non sanitarie (istruzione, formazione, lavoro, mobilità, ecc.), il secondo riguarda le politiche sanitarie di prevenzione e cura, che sono generalmente considerate “neutre” rispetto al genere. Tirando le fila delle analisi empiriche, le disuguaglianze sociali che hanno effetti sulla salute, intrecciate al genere, diventano meno visibili e meno facilmente superabili. Talvolta proprio l’apparente uguaglianza di condizioni o neutralità delle regole sembrerebbe suggerire l’assenza di disuguaglianze. Altre volte le disuguaglianze di risorse, capacità e relazioni tra donne e uomini non vengono riconosciute come tali, a causa di stereotipi o specifici modelli culturali. Talvolta vengono ricondotte alle vocazioni e alle scelte differenti per genere. Perfino gli interventi “a favore delle donne” possono rivelare ad un’analisi più attenta ambiguità. L’esatta comprensione di questi fenomeni sarebbe fondamentale per l’assetto di un welfare orientato all’equità di genere nella salute, al fine di calibrare gli interventi in relazione agli effetti che generano, voluti e non voluti, diretti e indiretti, indipendentemente dalle intenzioni di chi le promuove o dai principi di equità cui eventualmente si ispirano. Per modificare gli equilibri descritti, le disposizioni di carattere burocratico formale rischiano di non essere sufficienti. Parrebbe quindi opportuno concentrarsi sulle cause delle disuguaglianze di salute, più che sui sintomi, utilizzando in modo agile e sistematico lo strumento dell’Health equity audit (Hea), ex ante, ex post ed in itinere a seconda delle opportunità, per individuare di volta in volta i meccanismi sociali, ovvero le interdipendenze tra persone nel contesto preso in esame, che le generano. Entrando nel merito della guida alla valutazione sull’equità, proponiamo un percorso con 19 domande per orientare e stimolare il percorso di valutazione svolto da uno o più gruppi di lavoro. In letteratura sono stati sviluppati strumenti che rappresentano una buona dotazione, in particolare proponiamo l’utilizzo di un nostro adattamento tratto dal Bias Free Framework – Building an Integrative Analytical System For Recognizing and Eliminating inEquities – (Eichler, Burke 2006), pensato per aiutare ricercatori, decisori politici e altri soggetti a riconoscere i pregiudizi e a identificare i mezzi per eliminarli. Questo strumento prende le mosse dalla constatazione che i pregiudizi si fondano su un sistema di gerarchie, ovvero su rapporti squilibrati di potere tra gruppi di individui differenti per genere, età, etnia, religione, ecc. La struttura dei rapporti di potere tende a reiterarsi nel tempo e, quindi, identificare i meccanismi attraverso cui si riproducono gli squilibri di potere permette di progettare azioni di contrasto. Il Bias Free Framework individua tre ordini di meccanismi che agiscono per la conservazione dello stato gerarchico con cui è indispensabile confrontarsi nell’affrontare una ricerca o nel progettare e valutare delle policy, per ciascuna di queste problematiche sono richieste infatti azioni differenti. Il primo ordine di meccanismi riguarda l’intenzione e lo sforzo nel conservare una gerarchia: ovvero quando il contesto sociale giustifica e mantiene la differenziazione di gruppi dominanti e non. I gruppi sono quindi definiti e il loro squilibrio è una caratteristica come un’altra, ritenuta normale in quello specifico contesto socio-politico. Questo è ciò che vediamo avvenire, ad esempio, in campo professionale quando, nonostante le elevate credenziali formative, molte donne rimangono inspiegabilmente in posizioni subordinate e non attraversano il «soffitto di cristallo», invisibile ma reale, o non si staccano da un «pavimento appiccicoso», cioè dalle posizioni lavorative più basse, che le trattiene. Il secondo ordine di meccanismi attiene alla reiterazione delle gerarchie che opera attraverso il fallimento nell’esaminare le differenze: quando l’appartenenza ad un gruppo dominante/non dominante non è presa in esame come socialmente rilevante e ci si adatta a un modello standard. O, come nel caso del genere, quando si assume un riferimento come neutro, senza riconoscere le differenze rilevanti dell’essere donne o uomini. Il terzo ordine di meccanismi problematici riguarda l’uso di doppie misure: ovvero quando i gruppi dominanti e non dominanti sono trattati in modo diverso, tale per cui i primi continuano ad essere favoriti. Un esempio di doppia misura può essere rintracciata nelle proposte di assunzioni part time alle donne e full time agli uomini, indipendentemente dai bisogni degli interessati, supponendo per le prime possa essere meno grave rinunciare al full time. Per applicare concretamente questo metodo alle problematiche di genere occorre proporre ai soggetti coinvolti nel processo di valutazione, di cui abbiamo parlato sopra, una riflessione a partire dalle «domande critiche», opportunamente adattate, riferite a ciascuno di questi tre ordini di meccanismi di creazione di disuguaglianze. Lo schema proposto approfondisce quindi la «natura del problema» con le domande di stimolo ed esplora i tipi di intervento da adottare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.