Nel 1821 Lord Byron parte da Venezia per un viaggio in mare che tocca Puglia, Sicilia, Corsica (soprattutto) e Sardegna. Alcuni membri della comitiva annotano gli eventi accaduti in quei sei mesi: nasce così questo divertente resoconto di viaggio messo insieme da un anonimo autore con lo scopo di rendere giustizia al carattere di una delle più popolari personalità europee del tempo, uomo “dal cuore eccellente”. Il risultato è una serie di vicende piene di imprevisti grazie anche all’avversione di Byron per la noia, per cui ad ogni capriccio “nulla poteva fermare il suo corso: una tempesta non era più impetuosa né il lampo più veloce nell’abbattersi di lui.” Piccolo dettaglio: questo viaggio non ha mai avuto luogo. Pubblicato nel 1825, si tratta un resoconto fittizio da considerarsi parte di una industria culturale definita da Saglia, nella sua Introduzione, “Byromania”, e che cercava di capitalizzare sull’immensa fama del poeta, amplificata dalla sua morte nell’anno precedente. Gli ingredienti giusti, però, ci sono tutti, a partire da tempeste, annegamenti, naufragi e agguati banditeschi. Il gusto per l’esotico emerge nell’incontro con una nave ottomana che rivela il tipico dualismo orientalista composto di fascino e barbarie; se Byron sembra in ottimi rapporti con il pascià, poi ne rivela l’efferata crudeltà ai compagni di viaggio: “Ora sono stato cortese con lui per salvarci la vita. Mosso dal capriccio, dalla bizza, o dalla speranza di guadagno, non avrebbe esitato a saccheggiare il vascello con tutti noi a bordo”. L’altra faccia dell’esotico si mostra grazie alla natura selvatica e spartana (da ‘buon selvaggio’) della Corsica, dove una donna che fa da guida alla comitiva cattura un cinghiale a mani nude, “con ammirevole destrezza (…) ella rise di cuore della preoccupazione di Sua Signoria [Byron] perché si era bagnata e ci assicurò che ciò le capitava spesso nel corso della giornata e non aveva mai preso un raffreddore in vita sua.” Saglia fa giustamente notare come il resoconto sia composto da una sapiente mescolanza di generi, incluso il racconto del mistero: qual è il segreto della scatola che Byron porta sempre con sé? Inoltre la comitiva comprende un’altra grande figura letteraria, Percy Bysshe Shelley, l’unico poeta romantico che Byron non detestasse. Il testo lo ridicolizza costantemente, forse perché al tempo la popolarità di Shelley era ancora da venire. Ad esempio il suo ben noto radicalismo (ateismo incluso) si scioglie in un pianto di terrore durante la tempesta, ma una volta scampato il pericolo “in ventiquattr’ore tornò a essere lo stesso cane ingrato e libero pensatore di sempre.” Più in generale, Byron viene presentato come bizzoso, sì, ma anche incontenibile nei suoi slanci di generosità gratuita. Nella città di Corte prende a cuore la sorte di due giovani innamorati le cui umili condizioni non permettono loro, per colpa di una vecchia legge, di unirsi in matrimonio. Dopo che la sua donazione ha risolto il problema, nell’osservare la loro felicità pronuncia una di quelle sue osservazioni che costellano il libro: “Invero, nemmeno il selvaggio più barbaro è insensibile alla gentilezza. È valsa la pena venire a Corte soltanto per rendere felici queste persone.”

Il poeta bizzoso

Deandrea Pietro
2019-01-01

Abstract

Nel 1821 Lord Byron parte da Venezia per un viaggio in mare che tocca Puglia, Sicilia, Corsica (soprattutto) e Sardegna. Alcuni membri della comitiva annotano gli eventi accaduti in quei sei mesi: nasce così questo divertente resoconto di viaggio messo insieme da un anonimo autore con lo scopo di rendere giustizia al carattere di una delle più popolari personalità europee del tempo, uomo “dal cuore eccellente”. Il risultato è una serie di vicende piene di imprevisti grazie anche all’avversione di Byron per la noia, per cui ad ogni capriccio “nulla poteva fermare il suo corso: una tempesta non era più impetuosa né il lampo più veloce nell’abbattersi di lui.” Piccolo dettaglio: questo viaggio non ha mai avuto luogo. Pubblicato nel 1825, si tratta un resoconto fittizio da considerarsi parte di una industria culturale definita da Saglia, nella sua Introduzione, “Byromania”, e che cercava di capitalizzare sull’immensa fama del poeta, amplificata dalla sua morte nell’anno precedente. Gli ingredienti giusti, però, ci sono tutti, a partire da tempeste, annegamenti, naufragi e agguati banditeschi. Il gusto per l’esotico emerge nell’incontro con una nave ottomana che rivela il tipico dualismo orientalista composto di fascino e barbarie; se Byron sembra in ottimi rapporti con il pascià, poi ne rivela l’efferata crudeltà ai compagni di viaggio: “Ora sono stato cortese con lui per salvarci la vita. Mosso dal capriccio, dalla bizza, o dalla speranza di guadagno, non avrebbe esitato a saccheggiare il vascello con tutti noi a bordo”. L’altra faccia dell’esotico si mostra grazie alla natura selvatica e spartana (da ‘buon selvaggio’) della Corsica, dove una donna che fa da guida alla comitiva cattura un cinghiale a mani nude, “con ammirevole destrezza (…) ella rise di cuore della preoccupazione di Sua Signoria [Byron] perché si era bagnata e ci assicurò che ciò le capitava spesso nel corso della giornata e non aveva mai preso un raffreddore in vita sua.” Saglia fa giustamente notare come il resoconto sia composto da una sapiente mescolanza di generi, incluso il racconto del mistero: qual è il segreto della scatola che Byron porta sempre con sé? Inoltre la comitiva comprende un’altra grande figura letteraria, Percy Bysshe Shelley, l’unico poeta romantico che Byron non detestasse. Il testo lo ridicolizza costantemente, forse perché al tempo la popolarità di Shelley era ancora da venire. Ad esempio il suo ben noto radicalismo (ateismo incluso) si scioglie in un pianto di terrore durante la tempesta, ma una volta scampato il pericolo “in ventiquattr’ore tornò a essere lo stesso cane ingrato e libero pensatore di sempre.” Più in generale, Byron viene presentato come bizzoso, sì, ma anche incontenibile nei suoi slanci di generosità gratuita. Nella città di Corte prende a cuore la sorte di due giovani innamorati le cui umili condizioni non permettono loro, per colpa di una vecchia legge, di unirsi in matrimonio. Dopo che la sua donazione ha risolto il problema, nell’osservare la loro felicità pronuncia una di quelle sue osservazioni che costellano il libro: “Invero, nemmeno il selvaggio più barbaro è insensibile alla gentilezza. È valsa la pena venire a Corte soltanto per rendere felici queste persone.”
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Byron, Shelley, letteratura odeporica, romanticismo inglese
Deandrea Pietro
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1711328
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