La nostra società è costantemente impegnata a rimuovere il dolore, così come la morte e la sofferenza, estraniando così il senso della vita e della sua possibile bellezza. Questa rimozione è accompagnata da un linguaggio che aliena la fragilità e la debolezza, riconoscendo, al contrario, la forza, l’arroganza, la violenza e la sopraffazione come costituenti di un nuovo (?) modello antropologico che segna le relazioni umane, sociali e politiche e può ispirare le nuove generazioni. Sono costantemente presenti nella vita quotidiana tracce di questo modello antropologico che affonda le sue radici nella paura della morte e nella tragica constatazione del-la fragilità della vita e della finitudine umana. Questo misconoscimento della fragilità, però, ha come risultato il rischio della impossibilità di una vita autentica e di una realizzazione realmente umana che non può avvenire che a partire dall’assunzione della vulnerabilità come fondamento del proprio farsi. La fragilità, in-fatti, è connotazione ontologica dell’essere umano senza la quale non è possibile ammettere alcun processo di autenticazione e umanizzazione: così l’essere umano resta in attesa del riconosci-mento di questa fragilità come essenza del discorso e del linguag-gio pedagogici. La pedagogia deve rispondere a questa attesa che comporta l’assunzione di una idea complessa di fragilità che ne comprenda le differenti sfaccettature. In questo contributo, ci chiediamo se è possibile pensare a una pedagogia che sia capace di promuovere un’antropologia della fragilità umana come punto di partenza per la costruzione di un orizzonte di speranza umana e sociale, come via per la creazione di una società che fa la differenza anziché generare indifferenza. Tale percorso muove dalla consapevolezza che si tratta di una prospettiva che è di per sé fragile sia perché fragilizza la pedagogia stessa, mettendola in crisi, sia perché può apparire già sconfitta dalla più arrogante pedagogia della forza, della “virilità”.
La società della rimozione. Pedagogia tra dolore, fragilità e attesa di riconoscimento
Lorena Milani
2019-01-01
Abstract
La nostra società è costantemente impegnata a rimuovere il dolore, così come la morte e la sofferenza, estraniando così il senso della vita e della sua possibile bellezza. Questa rimozione è accompagnata da un linguaggio che aliena la fragilità e la debolezza, riconoscendo, al contrario, la forza, l’arroganza, la violenza e la sopraffazione come costituenti di un nuovo (?) modello antropologico che segna le relazioni umane, sociali e politiche e può ispirare le nuove generazioni. Sono costantemente presenti nella vita quotidiana tracce di questo modello antropologico che affonda le sue radici nella paura della morte e nella tragica constatazione del-la fragilità della vita e della finitudine umana. Questo misconoscimento della fragilità, però, ha come risultato il rischio della impossibilità di una vita autentica e di una realizzazione realmente umana che non può avvenire che a partire dall’assunzione della vulnerabilità come fondamento del proprio farsi. La fragilità, in-fatti, è connotazione ontologica dell’essere umano senza la quale non è possibile ammettere alcun processo di autenticazione e umanizzazione: così l’essere umano resta in attesa del riconosci-mento di questa fragilità come essenza del discorso e del linguag-gio pedagogici. La pedagogia deve rispondere a questa attesa che comporta l’assunzione di una idea complessa di fragilità che ne comprenda le differenti sfaccettature. In questo contributo, ci chiediamo se è possibile pensare a una pedagogia che sia capace di promuovere un’antropologia della fragilità umana come punto di partenza per la costruzione di un orizzonte di speranza umana e sociale, come via per la creazione di una società che fa la differenza anziché generare indifferenza. Tale percorso muove dalla consapevolezza che si tratta di una prospettiva che è di per sé fragile sia perché fragilizza la pedagogia stessa, mettendola in crisi, sia perché può apparire già sconfitta dalla più arrogante pedagogia della forza, della “virilità”.File | Dimensione | Formato | |
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