Elizaveta Ivanovna Dmitrieva, giovane poetessa pietroburghese dall’aspetto dimesso quanto il suo nome, patronimico e cognome, dalla quotidianità ordinaria, scandita dalle ore di lezione in un ginnasio della capitale e dalla occasionale composizione di versi, nel 1909 consegnò personalmente alla redazione della raffinata rivista «Apollon» una selezione delle proprie composizioni poetiche. Il direttore della rivista, l’aristocratico esteta Sergej Makovskij, non degnò della benché minima attenzione la timida Elizaveta Dmitrieva, e rifiutò le sue poesie. Ma la giovane poetessa partecipava abitualmente alle riunioni dei poeti alla «Torre» di Vjačeslav Ivanov, ed era apprezzata da poeti affermati come Nikolaj Gumilëv e Maksimilian Vološin. Fu proprio Vološin, nella residenza di Koktebel’, in Crimea, ove soleva riunire amici poeti, artisti e intellettuali, a proporre a Elizaveta Dmitrieva di inventare un nuovo nome, di costruire una nuova, soprattutto, misteriosa identità. Nello scritto Istorija Čerubiny (Storia di Čerubina), composto da Vološin nel 1930, viene rievocata la nascita della nuova identità della poetessa. Lo pseudonimo doveva contenere un elemento esoterico – motivo consueto nella produzione poetica e nell’immaginario del modernismo russo – non immediatamente riconoscibile.Il presente contributo si propone, oltre che di ricostruire la storia dello pseudonimo di Čerubina de Gabriak (e delle connesse implicazioni identitarie definite dai ruoli: il manipolatore del nome diviene anche coautore nascosto) – con riferimento, innanzi tutto, agli studi di V.G.Dmitriev e Ju. I. Masanov – di individuare le connessioni onomastiche fra il nome manipolato e la produzione poetica ad esso attribuita, in un contesto culturale (dunque anche letterario) marcatamente connotato dalla continua reinvenzione e mistificazione del nome e, quindi, dell’identità.
Nomen Numen: nel nome il potere metamorfico di un destino letterario. Il caso di Čerubina de Gabriak
Giulia Baselica
2019-01-01
Abstract
Elizaveta Ivanovna Dmitrieva, giovane poetessa pietroburghese dall’aspetto dimesso quanto il suo nome, patronimico e cognome, dalla quotidianità ordinaria, scandita dalle ore di lezione in un ginnasio della capitale e dalla occasionale composizione di versi, nel 1909 consegnò personalmente alla redazione della raffinata rivista «Apollon» una selezione delle proprie composizioni poetiche. Il direttore della rivista, l’aristocratico esteta Sergej Makovskij, non degnò della benché minima attenzione la timida Elizaveta Dmitrieva, e rifiutò le sue poesie. Ma la giovane poetessa partecipava abitualmente alle riunioni dei poeti alla «Torre» di Vjačeslav Ivanov, ed era apprezzata da poeti affermati come Nikolaj Gumilëv e Maksimilian Vološin. Fu proprio Vološin, nella residenza di Koktebel’, in Crimea, ove soleva riunire amici poeti, artisti e intellettuali, a proporre a Elizaveta Dmitrieva di inventare un nuovo nome, di costruire una nuova, soprattutto, misteriosa identità. Nello scritto Istorija Čerubiny (Storia di Čerubina), composto da Vološin nel 1930, viene rievocata la nascita della nuova identità della poetessa. Lo pseudonimo doveva contenere un elemento esoterico – motivo consueto nella produzione poetica e nell’immaginario del modernismo russo – non immediatamente riconoscibile.Il presente contributo si propone, oltre che di ricostruire la storia dello pseudonimo di Čerubina de Gabriak (e delle connesse implicazioni identitarie definite dai ruoli: il manipolatore del nome diviene anche coautore nascosto) – con riferimento, innanzi tutto, agli studi di V.G.Dmitriev e Ju. I. Masanov – di individuare le connessioni onomastiche fra il nome manipolato e la produzione poetica ad esso attribuita, in un contesto culturale (dunque anche letterario) marcatamente connotato dalla continua reinvenzione e mistificazione del nome e, quindi, dell’identità.| File | Dimensione | Formato | |
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