Se si associa l’India a un discorso sulla morte, il primo pensiero va all’idea della reincarnazione, al ciclo di morti e rinascite che fa parte del percorso di ciascuna anima individuale. Parole come reincarnazione, karma, nirvana sono diventate luoghi comuni nel lessico della nostra vita e della nostra cultura a simboleggiare un atteggiamento apparentemente distaccato e un po’ fatalista nei confronti della vita e della morte. Nel calderone di immagini e miti orientalisti contemporanei, l’India ricopre sicuramente un ruolo importante a metà tra il folklore della povertà, perfettamente rappresentato dal film Slumdog Millionaire di Danny Boyle (2008), e la sempreverde fascinazione per tutto ciò che attiene all’ambito della spiritualità, dallo yoga alla meditazione, alla medicina ayurvedica. La lista degli stereotipi a sfondo indiano è lunga e non è nelle possibilità né nello scopo di questo testo analizzarli e smitizzarli; allo stesso tempo, però, non ci si può avvicinare a un discorso sulla morte e sul fine vita nel Subcontinente indiano senza tenere in considerazione il bagaglio di preconcetti che fa parte della nostra visione dell’India, quando ancora oggi è possibile leggere in un manuale di storia per le scuole medie che tra i benefici effetti del colonialismo nel Subcontinente ci fu che gli Inglesi «proibirono il suicidio delle vedove, che venivano arse vive nel rogo della salma del marito».1 Al di là delle distorsioni storiche e culturali nella creazione di un immaginario che da sempre attira l’attenzione ma che allo stesso tempo è poco approfondito e conosciuto al di fuori dei circoli accademici, la panoramica sulla morte e il fine vita nell’India contemporanea proposta in questo articolo ha due obiettivi: primo, quello di aprire una finestra sulla complessità degli aspetti filosofici legati alla concezione della morte e ai rituali che la circondano, soprattutto nella tradizione hindu; secondo, analizzare le tappe attraverso cui si è arrivati oggi a una legge che regolamenta la pratica definita come «eutanasia passiva», ossia la sospensione dei trattamenti medici nei confronti di pazienti in coma o in stato vegetativo permanente o di malati terminali, permettendo così loro di morire.

Chi decide per chi? Il caso di Aruna Shanbaugh e l’eutanasia nell’India di oggi

Tommaso Bobbio
2019-01-01

Abstract

Se si associa l’India a un discorso sulla morte, il primo pensiero va all’idea della reincarnazione, al ciclo di morti e rinascite che fa parte del percorso di ciascuna anima individuale. Parole come reincarnazione, karma, nirvana sono diventate luoghi comuni nel lessico della nostra vita e della nostra cultura a simboleggiare un atteggiamento apparentemente distaccato e un po’ fatalista nei confronti della vita e della morte. Nel calderone di immagini e miti orientalisti contemporanei, l’India ricopre sicuramente un ruolo importante a metà tra il folklore della povertà, perfettamente rappresentato dal film Slumdog Millionaire di Danny Boyle (2008), e la sempreverde fascinazione per tutto ciò che attiene all’ambito della spiritualità, dallo yoga alla meditazione, alla medicina ayurvedica. La lista degli stereotipi a sfondo indiano è lunga e non è nelle possibilità né nello scopo di questo testo analizzarli e smitizzarli; allo stesso tempo, però, non ci si può avvicinare a un discorso sulla morte e sul fine vita nel Subcontinente indiano senza tenere in considerazione il bagaglio di preconcetti che fa parte della nostra visione dell’India, quando ancora oggi è possibile leggere in un manuale di storia per le scuole medie che tra i benefici effetti del colonialismo nel Subcontinente ci fu che gli Inglesi «proibirono il suicidio delle vedove, che venivano arse vive nel rogo della salma del marito».1 Al di là delle distorsioni storiche e culturali nella creazione di un immaginario che da sempre attira l’attenzione ma che allo stesso tempo è poco approfondito e conosciuto al di fuori dei circoli accademici, la panoramica sulla morte e il fine vita nell’India contemporanea proposta in questo articolo ha due obiettivi: primo, quello di aprire una finestra sulla complessità degli aspetti filosofici legati alla concezione della morte e ai rituali che la circondano, soprattutto nella tradizione hindu; secondo, analizzare le tappe attraverso cui si è arrivati oggi a una legge che regolamenta la pratica definita come «eutanasia passiva», ossia la sospensione dei trattamenti medici nei confronti di pazienti in coma o in stato vegetativo permanente o di malati terminali, permettendo così loro di morire.
2019
10
91
112
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Eutanasia, India, Concezione della morte
Tommaso Bobbio
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