“Voglio una poesia / con i ghirigori di un colino / sulla sfoglia.” Gli adolescenti autori dei versi di questo volume scrivono poesia per dare un senso alla loro realtà, sia come significato sia come esperienza sensoriale: “Che tutta la tua poesia / dia alla pagina bianca la forma / di un prisma che rifrange la luce. // Non andartene senza averne visto tutti i colori.” Per queste ragazze e ragazzi, migranti e rifugiati, si tratta di una realtà segnata da una forte nostalgia dell’infanzia e della casa di origine, da separazioni laceranti: “ora sono un uccello che vola nella brezza, / smarrita sopra la terra aliena (…) siedo inerme in un nido danneggiato, / e non so come aggiustarlo”; insomma, una condizione di disorientamento profondo: “le stesse nuvole qui, ma niente è lo stesso.” Gli autori frequentano tutti la Oxford Spires Academy, una scuola popolare nella periferia industriale della prestigiosa città universitaria. Kate Clanchy ha lavorato come ‘Writer in Residence’ per molti anni in questa scuola, dove si parlano “più di trenta lingue e forse cinquanta dialetti”, scrive nella sua Introduzione, e dove le forme di quelle lingue materne “affiorano attraverso il loro inglese”. Benché molti tra gli autori siano stati vittime di guerre e persecuzioni (“le nazioni hanno parlato alle nazioni / e mi hanno derubato di me stesso”), la sete di esperienza è talvolta incontenibile nei versi, come chi si descrive in fuga dalle pallottole ma “i miei piedi sapevano danzare, / correre sopra i petali di rosa / che grondavano dalle mie punte”. Questo emerge chiaramente anche nelle accorate bio-note che Clanchy ha inserito in appendice per ogni giovane autore/autrice, come quella per Shukria Rezaei, di etnia hazara, fuggita dalle persecuzioni talebane: “Riservata, attenta, ironica, Shukria ha cominciato a scrivere poesie in inglese ancora prima di avere sufficienti parole per farlo, grazie anche alla sua capacità immaginativa e alla forza retorica che le vengono dal suo retaggio persiano. Nell’arco di quattro anni è riuscita a diventare una poeta di notevole spessore, tanto che la sua poesia è stata pubblicata in varie riviste letterarie”. Clanchy è una pluripremiata scrittrice scozzese che da molti anni produce testi dove l’ispirazione si intreccia all’impegno sociale e didattico, volumi portati in Italia con grande cura da Giorgia Sensi per i tipi di LietoColle (La testa di Shakila: Poesie e prose scelte, 2019) e Medusa (Neonato, 2007). Le colombe di Damasco racchiude perfettamente i princìpi, tanto semplici quanto inconsueti (soprattutto in Italia), della Oxford Spires Academy: la scuola come “rifugio di uguaglianza e gentilezza”, la poesia come “primo sport della loro scuola”, come bene comune per quanto “potente e subdola la convinzione che la poesia appartenga solo ai privilegiati”, La stessa gentilezza, curiosità e voglia di apertura che contraddistingue questi versi nei confronti della nuova casa britannica, come scrive la tredicenne siriana Amineh Abou Kerech: “Qualcuno mi può insegnare / come si fa una patria? / Grazie di cuore se lo farete, / sentiti ringraziamenti, / dai passerotti, / dai meli di Siria, / e da me tanti saluti.”
Inerme in un nido danneggiato
Deandrea Pietro
2020-01-01
Abstract
“Voglio una poesia / con i ghirigori di un colino / sulla sfoglia.” Gli adolescenti autori dei versi di questo volume scrivono poesia per dare un senso alla loro realtà, sia come significato sia come esperienza sensoriale: “Che tutta la tua poesia / dia alla pagina bianca la forma / di un prisma che rifrange la luce. // Non andartene senza averne visto tutti i colori.” Per queste ragazze e ragazzi, migranti e rifugiati, si tratta di una realtà segnata da una forte nostalgia dell’infanzia e della casa di origine, da separazioni laceranti: “ora sono un uccello che vola nella brezza, / smarrita sopra la terra aliena (…) siedo inerme in un nido danneggiato, / e non so come aggiustarlo”; insomma, una condizione di disorientamento profondo: “le stesse nuvole qui, ma niente è lo stesso.” Gli autori frequentano tutti la Oxford Spires Academy, una scuola popolare nella periferia industriale della prestigiosa città universitaria. Kate Clanchy ha lavorato come ‘Writer in Residence’ per molti anni in questa scuola, dove si parlano “più di trenta lingue e forse cinquanta dialetti”, scrive nella sua Introduzione, e dove le forme di quelle lingue materne “affiorano attraverso il loro inglese”. Benché molti tra gli autori siano stati vittime di guerre e persecuzioni (“le nazioni hanno parlato alle nazioni / e mi hanno derubato di me stesso”), la sete di esperienza è talvolta incontenibile nei versi, come chi si descrive in fuga dalle pallottole ma “i miei piedi sapevano danzare, / correre sopra i petali di rosa / che grondavano dalle mie punte”. Questo emerge chiaramente anche nelle accorate bio-note che Clanchy ha inserito in appendice per ogni giovane autore/autrice, come quella per Shukria Rezaei, di etnia hazara, fuggita dalle persecuzioni talebane: “Riservata, attenta, ironica, Shukria ha cominciato a scrivere poesie in inglese ancora prima di avere sufficienti parole per farlo, grazie anche alla sua capacità immaginativa e alla forza retorica che le vengono dal suo retaggio persiano. Nell’arco di quattro anni è riuscita a diventare una poeta di notevole spessore, tanto che la sua poesia è stata pubblicata in varie riviste letterarie”. Clanchy è una pluripremiata scrittrice scozzese che da molti anni produce testi dove l’ispirazione si intreccia all’impegno sociale e didattico, volumi portati in Italia con grande cura da Giorgia Sensi per i tipi di LietoColle (La testa di Shakila: Poesie e prose scelte, 2019) e Medusa (Neonato, 2007). Le colombe di Damasco racchiude perfettamente i princìpi, tanto semplici quanto inconsueti (soprattutto in Italia), della Oxford Spires Academy: la scuola come “rifugio di uguaglianza e gentilezza”, la poesia come “primo sport della loro scuola”, come bene comune per quanto “potente e subdola la convinzione che la poesia appartenga solo ai privilegiati”, La stessa gentilezza, curiosità e voglia di apertura che contraddistingue questi versi nei confronti della nuova casa britannica, come scrive la tredicenne siriana Amineh Abou Kerech: “Qualcuno mi può insegnare / come si fa una patria? / Grazie di cuore se lo farete, / sentiti ringraziamenti, / dai passerotti, / dai meli di Siria, / e da me tanti saluti.”I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



