Le donazioni "a non domino" pongono un vasto arcipelago di dubbi, primo fra tutti se e quando possano giudicarsi valide ed efficaci: la legislazione ne tratta in forma indiretta e la giurisprudenza s’è trovata a decidere casi di dettaglio o comunque laterali rispetto al problema della validità. Così, c’è sostanziale concordia sulla circostanza che la donazione stipulata da parti ignare dell’altruità dell’immobile possa fungere da titolo idoneo all’usucapione "ex" art. 1159 c.c.; ma non per questo se ne afferma la validità (allora può essere idoneo un contratto invalido?). Così, c’è sostanziale concordia sulla validità della donazione di cosa altrui quando le parti siano edotte dell’altruità, ma le ragioni che depongono – o deporrebbero – in senso contrario si manifestano altrettanto solide nell’uno e nell’altro caso, quando tutti «sappiano» o quando non «sappia» nessuno. L’unica risposta convincente è dunque quella che risale alla "ratio" del divieto di donare i beni altrui, divieto non testuale e già solo per questo molto critico, ma divieto che tutto sommato ha solidi addentellati nel nostro ordinamento (malgrado il pareggio degli argomenti letterali e malgrado il principio per cui, nel diritto privato, ciò che non sia espressamente vietato dovrebbe essere sempre permesso). In una battuta, si tratta di tutelare con forza la volontà del donante, esposto al rischio di consentire elargizioni premature e sconsiderate, come quella di chi s’accinga a trasferire o a promettere senza contropartita una cosa aliena. Però la "ratio" deve illuminare anche il "quantum" o il "quomodo" del divieto, affinché la legge, sottoposta ad un’interpretazione troppo rigida e unilaterale, non finisca per annichilire più del dovuto l’autonomia dei privati, anche nel quadro delle liberalità.
Le donazioni "a non domino" e le tutele
EDOARDO FERRANTE
2020-01-01
Abstract
Le donazioni "a non domino" pongono un vasto arcipelago di dubbi, primo fra tutti se e quando possano giudicarsi valide ed efficaci: la legislazione ne tratta in forma indiretta e la giurisprudenza s’è trovata a decidere casi di dettaglio o comunque laterali rispetto al problema della validità. Così, c’è sostanziale concordia sulla circostanza che la donazione stipulata da parti ignare dell’altruità dell’immobile possa fungere da titolo idoneo all’usucapione "ex" art. 1159 c.c.; ma non per questo se ne afferma la validità (allora può essere idoneo un contratto invalido?). Così, c’è sostanziale concordia sulla validità della donazione di cosa altrui quando le parti siano edotte dell’altruità, ma le ragioni che depongono – o deporrebbero – in senso contrario si manifestano altrettanto solide nell’uno e nell’altro caso, quando tutti «sappiano» o quando non «sappia» nessuno. L’unica risposta convincente è dunque quella che risale alla "ratio" del divieto di donare i beni altrui, divieto non testuale e già solo per questo molto critico, ma divieto che tutto sommato ha solidi addentellati nel nostro ordinamento (malgrado il pareggio degli argomenti letterali e malgrado il principio per cui, nel diritto privato, ciò che non sia espressamente vietato dovrebbe essere sempre permesso). In una battuta, si tratta di tutelare con forza la volontà del donante, esposto al rischio di consentire elargizioni premature e sconsiderate, come quella di chi s’accinga a trasferire o a promettere senza contropartita una cosa aliena. Però la "ratio" deve illuminare anche il "quantum" o il "quomodo" del divieto, affinché la legge, sottoposta ad un’interpretazione troppo rigida e unilaterale, non finisca per annichilire più del dovuto l’autonomia dei privati, anche nel quadro delle liberalità.File | Dimensione | Formato | |
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