Nel profondo è il romanzo d’esordio di Daisy Johnson, la più giovane candidata al Man Booker Prize. Il titolo fa pensare a qualcosa che si contrappone al superficiale: infatti il lettore ha tra le mani il resoconto del viaggio introspettivo nell’infanzia di Gretel, protagonista e voce narrante. Gretel è una trentaduenne lessicografa di Oxford che si trova costretta ad errare col pensiero dietro i fantasmi del suo passato, poiché “la memoria non è una linea retta, ma una serie di giri tortuosi, che vanno avanti e indietro nel tempo”. Mettendo le mani avanti, Gretel comunica subito al lettore che aveva cercato di smettere di ricordare, e cercato “di scordare tutto”, perché dimenticare poteva essere “una forma di difesa”. Il resoconto dell’errare nei meandri della memoria è sezionato in tre parti (Il cottage, La caccia, Il fiume). Nella narrazione questa partizione non è sequenziale e in qualche modo emula la “serie di giri tortuosi” e rappresenta allo stesso tempo le diverse sfaccettature del rapporto conflittuale tra figlia abbandonata (Gretel) e madre biologica (Sarah) che rifiuta il ruolo di genitrice. Il cottage, che evoca l’immagine di stabilità, è il luogo dove convivono l’adulta Gretel e l’anziana Sarah. La caccia, che evoca l’atto del cercare, dell’inseguire, è la fase investigativa del viaggio che permette l’acquisizione dei frammenti mancanti nel puzzle infanzia. Il fiume è il luogo dove risiede un numero esiguo di individui che si sono organizzati in “una comunità tutta loro”, che vivono secondo “le loro regole” dettate dalle “loro autorità”, in altre parole “un altro mondo”. E il fiume è anche il luogo dove convivono Gretel bambina e Sarah genitrice. Per tredici anni Gretel e Sarah vivono isolate su una barca sul fiume, adottano uno stile di vita discutibile e selvatico e comunicano in una lingua che non “parlava nessun altro”. Una sera Sarah ripete il gesto compiuto anni prima e abbandona la secondogenita. A Gretel rimane di Sarah “la tua voce in testa”, con la quale instaura negli anni un dialogo interiore: “la cosa a cui penso in continuazione – ovviamente – è il modo in cui mi hai lasciata (…) telefonare agli obitori era diventata un’abitudine”, forse “solo per avere la certezza che non saresti tornata”. Un’altra forma di riscatto dal passato è la passione, quasi un’ossessione, di Gretel per le parole; è sempre attenta a come parla, e “per vivere aggiorna le voci del dizionario”. Nella “serie di giri tortuosi” il lettore si misura con tematiche che potrebbero turbare la sua sensibilità, come l’incesto, il patricidio, l’omosessualità, l’incapacità di essere madre e l’identità di genere: “i peli tra le gambe erano più spessi, e aggrovigliati. Senza accorgersene, si ritrovò a infilarci in mezzo una mano, in cerca di quello che non c’era, di quello che la forza del pensiero non era bastata a far crescere”. Il ritrovamento di Sarah dopo sedici anni costringe Gretel a rivangare nella sua infanzia, a ricordare, ma soprattutto a scoprire. Tutto ciò, però, permette la conoscenza del passato di Sarah e la ricomposizione dell’immagine frammentata dell’infanzia di Gretel: “Questa è la tua storia – tra bugie e invenzioni – e la storia dell’uomo che non era mio padre e di Marcus, che prima, tanto per cominciare, era Margot – e altre dicerie, altre supposizioni: e infine – quel che è peggio – anche la mia storia”.

La lessicografa cresciuta lungo un fiume

Maria Festa
2020-01-01

Abstract

Nel profondo è il romanzo d’esordio di Daisy Johnson, la più giovane candidata al Man Booker Prize. Il titolo fa pensare a qualcosa che si contrappone al superficiale: infatti il lettore ha tra le mani il resoconto del viaggio introspettivo nell’infanzia di Gretel, protagonista e voce narrante. Gretel è una trentaduenne lessicografa di Oxford che si trova costretta ad errare col pensiero dietro i fantasmi del suo passato, poiché “la memoria non è una linea retta, ma una serie di giri tortuosi, che vanno avanti e indietro nel tempo”. Mettendo le mani avanti, Gretel comunica subito al lettore che aveva cercato di smettere di ricordare, e cercato “di scordare tutto”, perché dimenticare poteva essere “una forma di difesa”. Il resoconto dell’errare nei meandri della memoria è sezionato in tre parti (Il cottage, La caccia, Il fiume). Nella narrazione questa partizione non è sequenziale e in qualche modo emula la “serie di giri tortuosi” e rappresenta allo stesso tempo le diverse sfaccettature del rapporto conflittuale tra figlia abbandonata (Gretel) e madre biologica (Sarah) che rifiuta il ruolo di genitrice. Il cottage, che evoca l’immagine di stabilità, è il luogo dove convivono l’adulta Gretel e l’anziana Sarah. La caccia, che evoca l’atto del cercare, dell’inseguire, è la fase investigativa del viaggio che permette l’acquisizione dei frammenti mancanti nel puzzle infanzia. Il fiume è il luogo dove risiede un numero esiguo di individui che si sono organizzati in “una comunità tutta loro”, che vivono secondo “le loro regole” dettate dalle “loro autorità”, in altre parole “un altro mondo”. E il fiume è anche il luogo dove convivono Gretel bambina e Sarah genitrice. Per tredici anni Gretel e Sarah vivono isolate su una barca sul fiume, adottano uno stile di vita discutibile e selvatico e comunicano in una lingua che non “parlava nessun altro”. Una sera Sarah ripete il gesto compiuto anni prima e abbandona la secondogenita. A Gretel rimane di Sarah “la tua voce in testa”, con la quale instaura negli anni un dialogo interiore: “la cosa a cui penso in continuazione – ovviamente – è il modo in cui mi hai lasciata (…) telefonare agli obitori era diventata un’abitudine”, forse “solo per avere la certezza che non saresti tornata”. Un’altra forma di riscatto dal passato è la passione, quasi un’ossessione, di Gretel per le parole; è sempre attenta a come parla, e “per vivere aggiorna le voci del dizionario”. Nella “serie di giri tortuosi” il lettore si misura con tematiche che potrebbero turbare la sua sensibilità, come l’incesto, il patricidio, l’omosessualità, l’incapacità di essere madre e l’identità di genere: “i peli tra le gambe erano più spessi, e aggrovigliati. Senza accorgersene, si ritrovò a infilarci in mezzo una mano, in cerca di quello che non c’era, di quello che la forza del pensiero non era bastata a far crescere”. Il ritrovamento di Sarah dopo sedici anni costringe Gretel a rivangare nella sua infanzia, a ricordare, ma soprattutto a scoprire. Tutto ciò, però, permette la conoscenza del passato di Sarah e la ricomposizione dell’immagine frammentata dell’infanzia di Gretel: “Questa è la tua storia – tra bugie e invenzioni – e la storia dell’uomo che non era mio padre e di Marcus, che prima, tanto per cominciare, era Margot – e altre dicerie, altre supposizioni: e infine – quel che è peggio – anche la mia storia”.
2020
XXXVII
3
27
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genitorialità, relazione co-genitoriale
Daisy Johnson
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1767283
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