“Lì nella galleria tutta bianca, con le file di immagini (…), mi resi conto che la fotografia era davvero un’arte incredibile. In tutta la storia veniva catturato un istante, ma i momenti precedenti e successivi scomparivano nella corsa del tempo: solo quella frazione di secondo era privilegiata, salva, soltanto perché l’occhio della macchina l’aveva colta” (Città aperta, Einaudi, 2012) L’emozione espressa da Julius, il protagonista flâneur del secondo romanzo di Teju Cole, era percepibile all’interno dello spazio espositivo nella galleria Forma Meravigli di Milano, che ha ospitato, da aprile a giugno 2016, le fotografie di viaggio di Cole. Le fotografie sono state raccolte nel catalogo Punto d’ombra, dove Cole rivela il suo intento: “In questo libro ho evocato la linea del canto in forma di saggio lirico che unisce fotografia e testo”. Entrambe le forme d’arte, fotografia e scrittura, implicano l’isolamento da parte dell’autore nella fase della creazione e il risultato, impresso su pellicola o su carta, sarà oggetto di interpretazione e di ricerca di significato da parte dello spettatore/lettore. In ogni frammento di visione e di vissuto selezionato da Cole l’occhio dello spettatore passa dal generale al particolare. I colori fungono da catalizzatori che velocizzano l’immersione nell’immagine per scoprirne i dettagli, gli oggetti in secondo piano, gli effetti ottici, per giungere così all’interpretazione e all’assegnazione di significato, proprio come suggerisce Cole: “la fotografia rivela quello che il fotografo non aveva visto al momento dello scatto”. La vetrina di Zurigo, ad esempio, con i mappamondi che espongono aree diverse del pianeta, può essere vista fenomenologicamente come raffigurazione dell’io che nell’atto della scrittura si cerca nelle cose del mondo. E nel dettaglio della porta di Rhinecliff, NY, il vetro opaco sembra invitare l’io a smettere di riconoscere il conosciuto per imparare a vedere di nuovo. In Punto d’ombra il testo dà corpo alla fotografia: secondo il filosofo Enzo Paci “la parola distaccata dal corpo non esiste. Non esiste la parola scritta: leggendo la riconduciamo alla sua originaria incarnazione, alla nostra, se non riusciamo a immaginare la persona viva che l’ha scritta. La parola disincarnata, se fosse possibile, non avrebbe senso”. Attraverso la lettura del catalogo si è in relazione con l’autore, e in questa relazione con Cole sono presenti i tratti caratteristici che ne contraddistinguono la narrativa. In Ogni giorno è per il ladro (Einaudi, 2014 – la recensione dell’Indice) tutti i capitoli contengono una fotografia scattata nei luoghi dove Cole ha trascorso la sua infanzia, mentre in Città aperta la sua formazione di storico dell’arte e della musica emerge dal girovagare nelle città. Il tema della città è ripreso nel catalogo: “Tutte le città sono luoghi dove rimangono tracce di quel che è accaduto – Berlino è (…) una sineddoche per violenza organizzata e disorganizzata”. È come se il catalogo rappresentasse un’evoluzione del percorso artistico di Cole, e ci piace pensare di poter emulare il suo proposito: “Continuo a rinviare il mio arrivo a destinazione. La destinazione è arrivare a questo rinvio perpetuo, per non raggiungere mai la destinazione. Sogno tutto il giorno. Di notte sogno di vagare”.

Se Berlino è una sineddoche

Maria Festa
2016-01-01

Abstract

“Lì nella galleria tutta bianca, con le file di immagini (…), mi resi conto che la fotografia era davvero un’arte incredibile. In tutta la storia veniva catturato un istante, ma i momenti precedenti e successivi scomparivano nella corsa del tempo: solo quella frazione di secondo era privilegiata, salva, soltanto perché l’occhio della macchina l’aveva colta” (Città aperta, Einaudi, 2012) L’emozione espressa da Julius, il protagonista flâneur del secondo romanzo di Teju Cole, era percepibile all’interno dello spazio espositivo nella galleria Forma Meravigli di Milano, che ha ospitato, da aprile a giugno 2016, le fotografie di viaggio di Cole. Le fotografie sono state raccolte nel catalogo Punto d’ombra, dove Cole rivela il suo intento: “In questo libro ho evocato la linea del canto in forma di saggio lirico che unisce fotografia e testo”. Entrambe le forme d’arte, fotografia e scrittura, implicano l’isolamento da parte dell’autore nella fase della creazione e il risultato, impresso su pellicola o su carta, sarà oggetto di interpretazione e di ricerca di significato da parte dello spettatore/lettore. In ogni frammento di visione e di vissuto selezionato da Cole l’occhio dello spettatore passa dal generale al particolare. I colori fungono da catalizzatori che velocizzano l’immersione nell’immagine per scoprirne i dettagli, gli oggetti in secondo piano, gli effetti ottici, per giungere così all’interpretazione e all’assegnazione di significato, proprio come suggerisce Cole: “la fotografia rivela quello che il fotografo non aveva visto al momento dello scatto”. La vetrina di Zurigo, ad esempio, con i mappamondi che espongono aree diverse del pianeta, può essere vista fenomenologicamente come raffigurazione dell’io che nell’atto della scrittura si cerca nelle cose del mondo. E nel dettaglio della porta di Rhinecliff, NY, il vetro opaco sembra invitare l’io a smettere di riconoscere il conosciuto per imparare a vedere di nuovo. In Punto d’ombra il testo dà corpo alla fotografia: secondo il filosofo Enzo Paci “la parola distaccata dal corpo non esiste. Non esiste la parola scritta: leggendo la riconduciamo alla sua originaria incarnazione, alla nostra, se non riusciamo a immaginare la persona viva che l’ha scritta. La parola disincarnata, se fosse possibile, non avrebbe senso”. Attraverso la lettura del catalogo si è in relazione con l’autore, e in questa relazione con Cole sono presenti i tratti caratteristici che ne contraddistinguono la narrativa. In Ogni giorno è per il ladro (Einaudi, 2014 – la recensione dell’Indice) tutti i capitoli contengono una fotografia scattata nei luoghi dove Cole ha trascorso la sua infanzia, mentre in Città aperta la sua formazione di storico dell’arte e della musica emerge dal girovagare nelle città. Il tema della città è ripreso nel catalogo: “Tutte le città sono luoghi dove rimangono tracce di quel che è accaduto – Berlino è (…) una sineddoche per violenza organizzata e disorganizzata”. È come se il catalogo rappresentasse un’evoluzione del percorso artistico di Cole, e ci piace pensare di poter emulare il suo proposito: “Continuo a rinviare il mio arrivo a destinazione. La destinazione è arrivare a questo rinvio perpetuo, per non raggiungere mai la destinazione. Sogno tutto il giorno. Di notte sogno di vagare”.
2016
XXXIII
11
33
33
Teju Cole, fotografia, letteratura anglofona
Maria Festa
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1767405
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