Circa 40.000 rifugiati e richiedenti asilo congolesi vivono a Kampala, capitale dell’Uganda. Si tratta in prevalenza di una popolazione giovane, che “naviga” la vita urbana ricevendo scarsa o nessuna assistenza dallo stato ugandese e dalle organizzazioni internazionali. Nonostante l’immagine sovente spettacolarizzata dei processi migratori e dei campi per i rifugiati, molti giovani congolesi conducono a Kampala una vita che si può definire ordinaria, fatta di relazioni ricostruite nel nuovo contesto e di tattiche volte ad assicurarsi la sopravvivenza. In questo quadro, l’intreccio tra pratiche del quotidiano e religione è spesso stretto. Partendo da queste considerazioni, l’articolo si focalizza sull’esperienza quotidiana dei rifugiati congolesi nel popoloso slum di Katwe, analizzando le interazioni complesse che essi stabiliscono con la sfera religiosa. Da un lato, questa viene utilizzata per delineare un orizzonte di riferimento volto a spiegare la condizione di rifugiati; dall’altro, viene manovrata per costruirsi una reputazione nella comunità congolese di Kampala e ottenere mobilità sociale in un contesto generale di immobilità e di incertezza. L’articolo esplora queste tematiche attraverso un approccio influenzato dai recenti sviluppi di una riflessione attorno alle nozioni di «ordinary ethics» e di «lived religion» in antropologia; a questo fine, si concentra in particolare sulle ambigue relazioni che si costituiscono tra i «grandi schemi» del discorso pentecostale (per es., la costruzione del soggetto morale attraverso le norme che definiscono il “buon cristiano”) e le pratiche quotidiane e la vita ordinaria dei rifugiati a Kampala.
Tempi straordinari, vite ordinarie: l’esperienza dei rifugiati congolesi a Kampala, tra norme religiose e strategie quotidiane
Gusman, Alessandro
2020-01-01
Abstract
Circa 40.000 rifugiati e richiedenti asilo congolesi vivono a Kampala, capitale dell’Uganda. Si tratta in prevalenza di una popolazione giovane, che “naviga” la vita urbana ricevendo scarsa o nessuna assistenza dallo stato ugandese e dalle organizzazioni internazionali. Nonostante l’immagine sovente spettacolarizzata dei processi migratori e dei campi per i rifugiati, molti giovani congolesi conducono a Kampala una vita che si può definire ordinaria, fatta di relazioni ricostruite nel nuovo contesto e di tattiche volte ad assicurarsi la sopravvivenza. In questo quadro, l’intreccio tra pratiche del quotidiano e religione è spesso stretto. Partendo da queste considerazioni, l’articolo si focalizza sull’esperienza quotidiana dei rifugiati congolesi nel popoloso slum di Katwe, analizzando le interazioni complesse che essi stabiliscono con la sfera religiosa. Da un lato, questa viene utilizzata per delineare un orizzonte di riferimento volto a spiegare la condizione di rifugiati; dall’altro, viene manovrata per costruirsi una reputazione nella comunità congolese di Kampala e ottenere mobilità sociale in un contesto generale di immobilità e di incertezza. L’articolo esplora queste tematiche attraverso un approccio influenzato dai recenti sviluppi di una riflessione attorno alle nozioni di «ordinary ethics» e di «lived religion» in antropologia; a questo fine, si concentra in particolare sulle ambigue relazioni che si costituiscono tra i «grandi schemi» del discorso pentecostale (per es., la costruzione del soggetto morale attraverso le norme che definiscono il “buon cristiano”) e le pratiche quotidiane e la vita ordinaria dei rifugiati a Kampala.File | Dimensione | Formato | |
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