La presenza del volto puntella fin dagli inizi gli scritti del filosofo Giorgio Agamben ed è tornata alla ribalta con le sue più recenti riflessioni sul virus. L’uomo pandemico è l’uomo del distanziamento sociale, a cui la mascher(in)a impedisce, nasconde il volto. E se il volto, sulla scorta di una tradizione che fa capo a Lévinas, è tutto, se rappresenta il viatico per quello che Heidegger chiama l’aperto, quando lo perde, come accade con le mascherine anti-contagio, “l’uomo oggi scompare”: senza volto, senza linguaggio fuori da “numeri, cifre e menzogne”, l’uomo non è più davvero l’uomo. All’interno di quella che Rastier ha definito una “teologia politica del complotto”, il volto riveste un ruolo strategico; esso incarna una posizione che schiaccia il discorso filosofico sulla cogenza della datità pandemica e sembra rivelarsi, naturalisticamente ontologicizzato e posto come perno metafisico, un dispositivo profondamente conservatore: solo nel volto starebbero l’identità, il soggetto, l’umanità. Per Agamben, che sembra rifiutare ogni possibile, o necessaria, riconfigurazione antropologica, la mascherina è la morte dell’uomo, perché della sua dimensione politica. Una semiotica del volto, allora, pur così distante dalla prospettiva agambeniana (e forse proprio per questo), non può non confrontarvisi, forte dell’intuizione che non vi è opposizione vera tra volto e maschera; il primo, un po’ come la “nuda vita” di cui parla il filosofo, non è che un’astrazione ricavata ex post e posta come fondativa della seconda: ma è a sua volta solo una delle tante maschere semiotiche che l’uomo può decidere di indossare, o meno.
Virus e visus. Il complotto della mascher(in)a
Gabriele Marino
2021-01-01
Abstract
La presenza del volto puntella fin dagli inizi gli scritti del filosofo Giorgio Agamben ed è tornata alla ribalta con le sue più recenti riflessioni sul virus. L’uomo pandemico è l’uomo del distanziamento sociale, a cui la mascher(in)a impedisce, nasconde il volto. E se il volto, sulla scorta di una tradizione che fa capo a Lévinas, è tutto, se rappresenta il viatico per quello che Heidegger chiama l’aperto, quando lo perde, come accade con le mascherine anti-contagio, “l’uomo oggi scompare”: senza volto, senza linguaggio fuori da “numeri, cifre e menzogne”, l’uomo non è più davvero l’uomo. All’interno di quella che Rastier ha definito una “teologia politica del complotto”, il volto riveste un ruolo strategico; esso incarna una posizione che schiaccia il discorso filosofico sulla cogenza della datità pandemica e sembra rivelarsi, naturalisticamente ontologicizzato e posto come perno metafisico, un dispositivo profondamente conservatore: solo nel volto starebbero l’identità, il soggetto, l’umanità. Per Agamben, che sembra rifiutare ogni possibile, o necessaria, riconfigurazione antropologica, la mascherina è la morte dell’uomo, perché della sua dimensione politica. Una semiotica del volto, allora, pur così distante dalla prospettiva agambeniana (e forse proprio per questo), non può non confrontarvisi, forte dell’intuizione che non vi è opposizione vera tra volto e maschera; il primo, un po’ come la “nuda vita” di cui parla il filosofo, non è che un’astrazione ricavata ex post e posta come fondativa della seconda: ma è a sua volta solo una delle tante maschere semiotiche che l’uomo può decidere di indossare, o meno.File | Dimensione | Formato | |
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