Dai primi anni della propria storia la Fiat è cresciuta combinando le due principali strategie di crescita dimensionale della grande impresa: la strategia di crescita diretta, mediante lo sviluppo per linee interne delle proprie capacità produttive e commerciali, da un lato, e la strategia di crescita indiretta, attraverso l’acquisizione (e l’aggregazione in gruppo) di imprese preesistenti, dall’altro. Fino agli anni settanta la formazione di un gruppo polifunzionale, con un discreto ma non assoluto grado di integrazione verticale delle produzioni, fu perseguita dalla Fiat evitando, in linea di massima, una dispersione di risorse, alla lunga non sostenibile, in comparti estranei ai prodotti che ne costituivano il core business, la produzione automobilistica. Da tale punto di vista la Fiat non si è particolarmente distinta - per originalità - dalla maggior parte delle grandi imprese italiane, interpretando le specifiche opportunità istituzionali e i forti vincoli di mercato dell’economia nazionale. La ricostruzione dell’evoluzione dell’azionariato della Fiat non può non considerare, in questo senso, le più generali condizioni ambientali: i vincoli dei mercati dei prodotti finali, il ruolo dei mercati borsistici nella struttura finanziaria, le peculiari propensioni degli investitori e dei risparmiatori, la propensione al rischio, le norme di tutela degli investitori non istituzionali, la possibilità e le condizioni di accesso ai finanziamenti esteri, la composizione prevalente dell’azionariato delle grandi imprese, la configurazione specifica del mercato della proprietà delle imprese, la normativa fiscale relativa alle emissioni azionarie e obbligazionarie, la politica monetaria per i possibili effetti sui tassi (e quindi sui prezzi relativi delle varie fonti di raccolta dei capitali), la politica economica delle autorità centrali. Le strategie di crescita dimensionale, le scelte di finanziamento a lungo termine, le decisioni relative alla gestione dei diritti di proprietà - distributi non simmetricamente tra i vari azionisti - e la riallocazione delle capacità imprenditoriali di fronte a crisi aziendali o a ricambi generazionali non possono essere interpretate astraendo dall’insieme di quelle variabili storiche. La proprietà e il controllo dell’impresa, il finanziamento degli investimenti, la strutturazione del gruppo furono quindi sì, in larga parte, atto di una scelta autonoma degli amministratori della Fiat tra differenti opzioni, ma è facile capire che ogni autonomia decisionale dei gruppi direttivi della società fu, per un’altra significativa parte, iscritta in un quadro - mutevole e variegato - di vincoli dati, il cui effetto sull’andamento aziendale poteva essere ridotto soltanto dalla capacità di individuare e perseguire le soluzioni proprietarie, organizzative e finanziarie che avrebbero consentito di ottenere - nella costante ricerca di un punto di equilibrio non facile - la crescita di lungo andare dell’impresa.
L’evoluzione dell’azionariato Fiat: assetti proprietari, struttura di gruppo e alleanze finanziarie (1899-1966)
Piluso G.
1999-01-01
Abstract
Dai primi anni della propria storia la Fiat è cresciuta combinando le due principali strategie di crescita dimensionale della grande impresa: la strategia di crescita diretta, mediante lo sviluppo per linee interne delle proprie capacità produttive e commerciali, da un lato, e la strategia di crescita indiretta, attraverso l’acquisizione (e l’aggregazione in gruppo) di imprese preesistenti, dall’altro. Fino agli anni settanta la formazione di un gruppo polifunzionale, con un discreto ma non assoluto grado di integrazione verticale delle produzioni, fu perseguita dalla Fiat evitando, in linea di massima, una dispersione di risorse, alla lunga non sostenibile, in comparti estranei ai prodotti che ne costituivano il core business, la produzione automobilistica. Da tale punto di vista la Fiat non si è particolarmente distinta - per originalità - dalla maggior parte delle grandi imprese italiane, interpretando le specifiche opportunità istituzionali e i forti vincoli di mercato dell’economia nazionale. La ricostruzione dell’evoluzione dell’azionariato della Fiat non può non considerare, in questo senso, le più generali condizioni ambientali: i vincoli dei mercati dei prodotti finali, il ruolo dei mercati borsistici nella struttura finanziaria, le peculiari propensioni degli investitori e dei risparmiatori, la propensione al rischio, le norme di tutela degli investitori non istituzionali, la possibilità e le condizioni di accesso ai finanziamenti esteri, la composizione prevalente dell’azionariato delle grandi imprese, la configurazione specifica del mercato della proprietà delle imprese, la normativa fiscale relativa alle emissioni azionarie e obbligazionarie, la politica monetaria per i possibili effetti sui tassi (e quindi sui prezzi relativi delle varie fonti di raccolta dei capitali), la politica economica delle autorità centrali. Le strategie di crescita dimensionale, le scelte di finanziamento a lungo termine, le decisioni relative alla gestione dei diritti di proprietà - distributi non simmetricamente tra i vari azionisti - e la riallocazione delle capacità imprenditoriali di fronte a crisi aziendali o a ricambi generazionali non possono essere interpretate astraendo dall’insieme di quelle variabili storiche. La proprietà e il controllo dell’impresa, il finanziamento degli investimenti, la strutturazione del gruppo furono quindi sì, in larga parte, atto di una scelta autonoma degli amministratori della Fiat tra differenti opzioni, ma è facile capire che ogni autonomia decisionale dei gruppi direttivi della società fu, per un’altra significativa parte, iscritta in un quadro - mutevole e variegato - di vincoli dati, il cui effetto sull’andamento aziendale poteva essere ridotto soltanto dalla capacità di individuare e perseguire le soluzioni proprietarie, organizzative e finanziarie che avrebbero consentito di ottenere - nella costante ricerca di un punto di equilibrio non facile - la crescita di lungo andare dell’impresa.File | Dimensione | Formato | |
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